martedì 2 luglio 2013

Spiritualità russa

Il nostro non sarà un saggio di agiografia: sui podvizniki — personaggi notevoli per i loro sforzi tesi a raggiungere la perfezione cristiana - di cui si parlerà in seguito, diamo soltanto le informazioni strettamente necessarie. Non faremo nemmeno la storia della spiritualità russa: se evochiamo la vita cristiana dei secoli passati presso gli slavi, è unicamente per mostrare quanto sarebbe inesatto affermare che l'Oriente cristiano è «fossilizzato» in una routine plurisecolare.
Vorremmo dare al lettore un'idea della teoria e della pratica ortodosse russe in materia di spiritualità, tenendo conto delle rifrazioni che questa spiritualità ha subito in diversi ambienti.
Come sappiamo, la spiritualità russa è venuta dall'Oriente cristiano, soprattutto da Bisanzio, sia direttamente» sia attraverso le cristianità balcaniche dal secolo XI al XV. Alcune infiltrazioni occidentali, soprattutto nei secoli XVIII e XIX, non hanno avuto che effetti sporadici, locali o effimeri; tuttavia, in certi casi, la spiritualità latina si è mostrata così vicina alla spiritualità orientale autentica, che ha rafforzato fra i russi numerosi slanci verso la perfezione.
La dottrina dei grandi maestri della spiritualità cristiana dal secolo IV all'XI non ha subito, nella Russia ortodossa, alcun cambiamento essenziale, salvo qualche abuso passeggero, ma è stata adattata al carattere russo da asceti eminenti, come san Tichon di Zadonsk (t 1783) e Teofane il Recluso (+ 1894). La spiritualità russa è più comunicativa, più affettuosa, compassionevole, spontanea, più aperta, più familiare — nel senso buono della parola — e forse meno «teologica» della spiritualità bizantina. Essa riflette spesso il carattere massimalistico, come dice Berdjaev, del popolo russo, il suo «tutto o niente», il suo slancio che va dritto alla meta, alla perfezione, alla rottura radicale con il passato, per darsi senza riserve a Dio e al prossimo.
Tracceremo in primo luogo un quadro d'insieme della spiritualità ortodossa russa, per far risaltare i tratti dominanti. Poi esporremo brevemente, corredandola di citazioni, la dottrina dei migliori teorici russi. Infine presenteremo alcuni generi particolari di spiritualità vissuta da personaggi di eminente virtù.
La spiritualità ortodossa russa non ha scuole, nel senso specializzato e definito della parola. Fra i nostri fratelli separati non ci sono ordini religiosi, ciascuno con la propria spiritualità tradizionale. Si possono tuttavia distinguere correnti spirituali diverse, che talvolta più o meno si mescolano, talvolta si oppongono e si combattono. Ci furono anche evoluzioni, dovute a contatti esterni, a influenze politiche o etniche o a reazioni contro queste influenze. Certe volte predominano gli splendori della liturgia, altre volte le austerità dell'ascesi, altre volte ancora la mistica. I principi fondamentali provenienti dalla Scrittura restano gli stessi, ma varia la loro importanza rispettiva. Quale varietà di mazzi si può formare con sette o dieci qualità di fiori! Questa varietà si ritrova in Russia forse più che altrove in Oriente. Anche i lati deboli — deviazioni, lacune, dimenticanze, situazioni senza via d'uscita o rischi — non sono sempre e dovunque gli stessi. La spiritualità russa dal secolo XIII al XVII risentiva di una giuridicità ritualistica esorbitante; quella dei tempi più recenti rischia talvolta di esagerare nell’affrancamento dalle «forme esteriori». Bisogna tener conto anche di un lodevole adattamento alle condizioni di vira dei fedeli. In Russia, come nel mondo cattolico, la madre di famiglia, l'uomo di affari e il monaco hanno maniere differenti di tendere alla perfezione.
Infine, non bisogna dimenticare le categorie o i tipi classici di asceti che si sentivano chiamati all'una o all'altra forma di ascetismo speciale e ben determinata. Segnaliamo soprattutto; 1) i pustynniki, o eremiti del deserto, che adattavano alle condizioni di vita in Russia l’ideale dei primi asceti dell'Egitto; 2) gli zatvomiki, reclusi, la cui vita spirituale era imperniata sulla decisione di non lasciare mai la propria cella o casetta monastica; 3) i molèal'niki, o silenziosi, che offrivano in sacrificio a Dio l'uso della parola, talvolta per decine di anni; 4) gli stranniki, o pellegrini, che, per non attaccarsi alle cose di questo mondo, cambiavano spesso ambiente percorrendo gli immensi spazi della Russia e facendo pellegrinaggi ai celebri santuari; 5) gli strastoterpzy, quei «pazienti nelle sofferenze», degni di nota soprattutto per la dolcezza nei confronti dei persecutori; 6) gli jurodivye che, per amore di Cristo e per umiltà, ricercavano gli affronti; 7) i postniki, o grandi digiunatori; 8) gli starzy che si dedicavano alla direzione spirituale dei fedeli.
L'ortodosso teme la penetrazione nel santuario della propria anima, come nel culto pubblico, di tutto ciò che e profano, mondano, terra terra, materiale. Egli vuole «il cielo sulla terra», diffida della «terra» nel cielo della religione. Nel suo santo dei santi egli ammette soltanto ciò che è trasfigurato, «teofanico», portatore di una presenza particolare di Dio o dei suoi santi in un minimo di forme umane.


Le statue, salvo rare eccezioni, non sono tollerate nelle chiese ortodosse: hanno troppe «forme», non si prestano alla trasfigurazione bene quanto le pitture o i mosaici. La religiosità russa da ampio spazio alle icone, dipinte in spirito di preghiera e di mortificazione, teofaniche, splendenti di tutta una teologia tradizionale, che non hanno nulla di un ritratto.
Per la stessa ragione, sono esclusi dalle chiese gli strumenti musicali, non solo il tamburo, il violino e il flauto, ma anche l'organo. I canti devono essere strettamente liturgici, di carattere piuttosto recitativo. Il canto polifonico è ammesso e spesso assai apprezzato; ma molti, che vogliono essere fedeli allo spirito ortodosso, vedono in esso - non senza ragione — un'infiltrazione d'influenze occidentali indesiderabili.
La stessa mentalità appare nell’avversione per la scolastica e i suoi ragionamenti, giudicati troppo astratti, troppo «profani». La scolastica è considerata un modo di pensare al quale manca la trasfigurazione, la luce divina; essa è di origine pagana, è sterile, genera dispute indefinite; forma dei razionalisti, in spiritualità come in teologia. Si confonde così il razionalismo condannato dalla Chiesa cattolica con l'intellettualismo dì san Tommaso e quello di parecchi padri; si perde di vista il ruolo che san Giovanni Damasceno ha svolto all'origine della scolastica e dei fondamenti dottrinali della spiritualità cristiana.
Lo stesso orientamento verso la trasfigurazione si nota nel campo ecclesiologico della spiritualità. La Chiesa, nel senso stretto della parola, è il tempio, o piuttosto l'assemblea dei fedeli che si uniscono agli uffizi che vi sono celebrati, sotto l'azione divinizzante della santissima Trinità sulla comunità che prega con la gerarchia: il vescovo, i preti, i diaconi. La Chiesa universale è concepita secondo questa chiesa-culto: trasfigurata, teofanica, «torrente di grazie», «carità pura», a rischio di essere confusa nella sua realtà comunitaria sia con lo Spirito Santo, sia con un ideale che non basta ammirare, ma che bisogna realizzare nei fedeli. Questa aspirazione verso «il cielo», verso la Chiesa-carità divina, attesta un profondo spirito di fede, ricorda la dottrina cattolica dello Spirito Santo, anima della Chiesa, ma comporta una tendenza al docetismo ecclesiologico, il rischio di dimenticare che la Chiesa deve essere simile al Cristo suo capo, dunque non solo perfettamente divinizzata, ma anche pienamente umana, «società perfetta» umana.
L'ortodossia, nella sua spiritualità come nella sua teologia, è sinergica, nel senso largo della parola; è di natura sintetica piuttosto che analitica. Il laboratorio o la vivisezione non le si addicono: non si isola la parte dal tutto vitale, per sottoporre F elemento staccato a un esame dettagliato. Si guarda ai principi generali, alle radici comuni, all'insieme vitale, più volentieri che ai casi particolari, ai fiori colti o alle membra separate dal corpo.
La spiritualità ortodossa parla spesso del cuore. Infatti, secondo l'espressione di Teofane il Recluso, attinta da diversi padri, «il cuore è la radice dell'essere umano, la fonte di tutte le sue forze spirituali, psichiche e animali». L'ortodosso ripete volentieri i versetti della Scrittura che parlano del «cuore»; è più riservato quando si tratta di applicarli alle singole situazioni, isolate dall'insieme vitale dell'anima.
Fra gli ortodossi, la differenziazione della teologia in branche specializzate - non parliamo degli autori influenzati dall'Occidente - non è molto approfondita: queste branche si compenetrano, come nella patristica, soprattutto in quella delle origini. La morale coincide quasi con la spiritualità e resta abitualmente su quelle altezze evangeliche da cui si hanno belle e ampie visioni d'insieme. Si lotta contro le passioni, anzitutto contro la passione dominante, considerata come radice di tutte le altre. Nel confessarsi secondo i consigli della maggior parte dei maestri spirituali, più che enumerare tutti i peccati commessi precisandone la specie, si espone al confessore lo stato di disagio dell'anima, la sua malattia spirituale, l'insieme delle sue tendenze; ci si libera da tutto ciò che opprime il cuore. Allo stesso modo, la contrizione e la risoluzione di correggersi vertono sul complesso dell'anima e sulla radice del male, più che sulle azioni concrete e i casi particolari.
L'ortodosso che aspira alla perfezione evita di perdersi in mezzo a una selva di pratiche; non erige compartimenti stagni tra i suoi diversi atti di pietà: meditazione, lettura spirituale, preghiere vocali, ecc. Leggendo un libro edificante, medita, prega. Durante il governo — ritiro spirituale di alcuni giorni — ha raramente un orario determinato; in chiesa, medita volentieri, pensa ai poveri; dopo l'uffizio, fa l'elemosina meditando, recita preghiere attinte dalla liturgia. L'ortodosso fervente medita molto, pratica il bogomysiie, ossia «pensa a Dio»; la sua meditazione è una contemplazione, una pia valutazione delle realtà divine, un orientamento della memoria su avvenimenti o punti di dottrina, più che un'analisi logica, con deduzioni e conclusioni, tratte dai diversi fatti o testi della Scrittura.
Come si sa, nella spiritualità ortodossa ha un ruolo capitale l'idea della somiglianza dell'uomo con Dio e del dovere che egli ha di perfezionare dentro di sé questa somiglianza. Ma l'ortodosso non suddivide l'immagine di Dio in diverse perfezioni per considerarle ciascuna separatamente: egli ammira Dio nel tutto armonioso della sua perfezione, nella sua bellezza trascendente, nel suo splendore, e cerca di realizzare in se stesso, per quanto è possibile, l'immagine sempre più perfetta di questa bellezza spirituale, perseguita per via apofatica, attraverso la negazione della bellezza creata.
In generale, l'idea di bellezza, d'insieme armonioso, di unità nella varietà, è fortemente impressa nella spiritualità orientale. La perfezione morale è di bellezza divina; il vizio, lo spirito satanico, manca di armonia, è brutto, disgregante, ributtante. Non senza una ragione profonda i russi devoti tengono tanto alla bellezza celeste del culto e dei canti sacri.
Al centro della spiritualità ortodossa, c'è il discorso della montagna, le beatitudini. Certamente, il decalogo non è omesso, ma, come abbiamo detto, il russo è «massimalista», non ama «a metà», non gli piacciono le deviazioni, le lentezze. Egli si slancia dritto verso la meta, dunque verso la santità. Questo slancio lo dispone ad aderire così bene alle parole del Signore, riportate nel capitolo 5 di san Matteo, che egli dimentica talvolta altri punti importanti del Nuovo Testamento. Vuole essere pienamente umile, vuole essere disprezzato; in Russia i pazzi per il Cristo, gli jurodivye, erano venerati in particolar modo. Pratica l'umiltà nel linguaggio e nei comportamenti; esercita la dolcezza, la mansuetudine, anche nei confronti dei nemici più feroci, degli assassini, dei briganti; la vita di san Serafino di Sarov (+ 1833) ne offre un bell'esempio. Perdona dal profondo del cuore chi lo ha offeso. E generoso, la sua carità è inesauribile. La compunzione, il pentimento dei peccati commessi gli fanno versare lacrime e invocare la pietà di Dio; l'invocazione del nome di Gesù in spirito di penitenza si addice alla sua anima.
Il vero ortodosso non cerca soltanto di adempiere i comandi di Gesù Cristo, ma pratica l'imitazione della vita del Salvatore, «segue le orme» di Gesù, umile, paziente, dolce, compassionevole.
Si dice spesso che la spiritualità ortodossa è eminentemente mistica. Questo è vero nel senso che fra gli ortodossi la dedizione a Cristo nella vita attiva, in ciò che noi chiamiamo «le opere», nelle scuole, negli ospedali o fra i pagani d'oltremare, è molto meno intensa che fra i cattolici ferventi. E questo l'aspetto negativo di tale misticismo. Ma c'è anche un aspetto positivo: gli ortodossi che hanno una profonda vita interiore, fedeli a tradizioni che risalgono ai primi secoli cristiani, si dedicano alla «preghiera del cuore», alla hesychia, riunione di tutte le facoltà dell'anima nel cuore, procurata dal silenzio, dalla solitudine e dagli sforzi costanti, anche eroici, per fare «entrare lo spirito (o l'intelletto) nel cuore»; questi sforzi, che i maestri spirituali chiamano «vita attiva», vertono tanto sulle facoltà dell'anima quanto sugli atteggiamenti del corpo.
Da qualche tempo si parla molto dell'importanza del «palamismo» nella spiritualità ortodossa. Se con questa parola s'intende semplicemente il raccoglimento e il silenzio nella meditazione, come pure un atteggiamento del corpo atto a favorire l'unione a Dio, il palamismo non caratterizza l'ortodosso più del cattolico. Se si pensa a quella pratica che consiste nel tenere gli occhi fissi sull'ombelico, è questo un procedimento particolare che di per sé non ha nulla di religioso; del resto, questa pratica fu tutt'altro che diffusa fra i russi, a causa degli abusi che rischiava di originare. Infine, se per «palamismo» s'intende la «preghiera di Gesù» («Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me»), constatiamo che essa fu praticata molto tempo prima di Palamas. In Russia la praticarono san Nilo Sorskij, Paisij Velickovskij, poi san Serafino di Sarov e molti altri; del resto, l'invocazione di Gesù in spirito di penitenza ha sempre svolto un ruolo importante nel cattolicesimo. In quanto alla teologia esicasta di Gregorio Palamas, «razionale» e «catafatica», pur se essa non risolve il problema dell'unione dell'anima con Dio e se è forse in contraddizione con la semplicità divina, si avrebbe però torto a vedere in Palamas un panteista.
Il fatto che i monaci orientali pratichino una spiritualità contemplativa non deve far concludere che gli ortodossi trascurino la vita attiva. Senza dubbio, le opere organizzate allo scopo di esercitare in comune la carità evangelica nei confronti dei fanciulli, dei malati, dei bisognosi di aiuto di ogni sorta, o dei popoli pagani, sono meno sviluppate che nel mondo cattolico. Una delle ragioni di questa lacuna è l'assenza di un'autorità superiore centrale, atta a coordinare gli sforzi, a incoraggiarli, a sostenerli nella lotta contro le potenze di questo mondo. Ma il russo devoto si rivela molto generoso nel soccorrere gli infelici, molto caritatevole verso i poveri, i pellegrini, tutti quelli che soffrono, anche i criminali, i prigionieri; nelle vicinanze delle chiese, quando si svolgevano le funzioni religiose, si poteva vedere sempre una folla di mendicanti, sicuri di ricevere abbondanti elemosine. I russi danno prova di squisita delicatezza quando si tratta di soccorrere quelli che si vergognano di mendicare. Nella loro attività caritatevole, essi sono pieni di iniziative. In Russia non sono rari gli atti di eccelsa carità e di dedizione eroica, mentre l'avaro o colui che calcola nel donare viene disprezzato. Il deficit di cui parlavamo poc'anzi dipende da un'ecclesiologia incompleta, fermata nella sua maturazione dal cesaropapismo bizantino, più che da una lacuna spirituale.
La spiritualità ortodossa è ascetica e austera. Vi si trovano talvolta tracce di un antico rigorismo: il timore della rilassatezza provoca reazioni che possono eventualmente superare i limiti stabiliti dai padri, per esempio da san Basilio. In generale, tuttavia, l'ascetismo ortodosso è sano, vigoroso, conforme al vangelo. L'ortodosso fedele alle sue tradizioni da molta importanza ai digiuni, alle astinenze (ci sono quattro grandi digiuni dell'anno liturgico, senza contare quelli dei mercoledì e venerdì e di certe vigilie di feste), e li osserva in spirito di fede e di preghiera. Durante la settimana santa, prende pochissimo cibo. Mortifica severamente il suo bisogno di sonno o di riposo, si priva delle comodità. I grandi asceti russi imitavano le austerità dei padri del deserto; le foreste, con gli orsi e i lupi, sostituivano per loro i deserti dell'Egitto. L'ortodosso pio, anche il. semplice laico, mortifica il suo linguaggio; rinuncia a ridere, a scherzare. Alcuni vivono una vita di dura penitenza, da reclusi. Anche i pellegrinaggi sono tenuti in grande considerazione: si cammina a piedi attraverso l'immensa Russia, si mendica, si sopportano i rigori del clima, spesso la notte si dorme in piena campagna. Non è ignorato l'uso degli strumenti di penitenza, ma si preferiscono le mortificazioni naturali: fame, freddo, disagi, vita dura, veglie, ecc.
La spiritualità ortodossa è liturgica. Nelle campagne della Russia, il popolo aveva poche occasioni di ascoltare prediche solide, capaci di alimentare il fervore. Solamente nel secolo XIX una letteratura di spiritualità, di solito sotto forma di piccoli opuscoli o di fogli (listki), si diffuse nei villaggi, esercitando un'azione di una certa importanza. Al contrario, le chiese sono sempre state numerose; vescovi e laici, ricchi e poveri, tutti consideravano come un dovere il contribuire alla costruzione di qualche chiesa, al suo abbellimento o al mantenimento del clero. Nella chiesa, durante i «servizi divini», così belli e così commoventi nel simbolismo dei loro riti e nella freschezza evangelica delle preghiere paleoslave — che d'altra parte sfuggivano talvolta al popolo e anche a certe persone istruite — i fedeli si sentivano come trascinati in un altro mondo, un mondo di pace spirituale, di adorazione, d'intensa preghiera comune. Nelle città, i fedeli erano in generale meglio istruiti, disponevano di una letteratura religiosa e di begli uffizi, mirabilmente cantati in santuari che i benefattori arricchivano incessantemente. Ma soprattutto nelle chiese dei monasteri, durante lunghe funzioni, celebrate secondo le migliori tradizioni, gli ortodossi di ogni classe sociale e di ogni livello intellettuale trovavano nutrimento spirituale in abbondanza. Ogni anno migliaia di pellegrini affluivano in luoghi eminenti di vita spirituale, quali la Laura della Santissima Trinità vicino a Mosca, la Pecerskaja Laura di Kiev o la famosa Optina Pustyn', vera «università spirituale» della Russia. A Optina gli starzy - padri spirituali rinomati - rafforzavano con un insegnamento appropriato l'effetto delle cerimonie religiose. A partire dal secolo XVI, l'influenza degli starzy fu considerevole in Russia.
Gli ortodossi diffidano delle devozioni di origine più o meno recente, extraliturgica, come, per esempio, la nostra Via Crucis o il nostro rosario. Essi hanno una specie di corona, che serve per contare le giaculatorie, in particolar modo la «preghiera di Gesù». Oltre ai vecchi usi tradizionali, come la consuetudine di accendere un cero davanti a un'i-cona o di chiedere dal sacerdote un moleben — sequenza di preghiere per ottenere una grazia o per grazia ricevuta — l'ortodosso apprezza molto le elevazioni spontanee dell'anima verso Dio, le manifestazioni di devozione viva, sincera, ardente, comunicativa.
Il russo pio ama i santi, i santi dell'antico Oriente, molti santi della Chiesa latina, soprattutto quelli di prima della separazione del secolo XI, ma più ancora i santi russi. Onora i santi di cui parla la Scrittura. Non gli piace il culto eccezionale che i cattolici rendono a san Giuseppe, ma, al contrario, attribuisce una specie di supremazia a Giovanni Battista. Molto popolare è il culto di san Nicola; si ricorre a lui in tutte le difficoltà della vita; le sue icone sono molto diffuse; davanti ad esse si prega, si piange, si geme, si fanno pokiony (prostrazioni), si accendono ceri; ma al di fuori degli uffizi liturgici, il santo non è oggetto di una devozione fìssa. I giovedì sono consacrati a lui. L'anno liturgico lo festeggia due volte: il 6 dicembre e il 9 maggio (la festa del 9 maggio è stata istituita in onore della traslazione delle reliquie di san Nicola a Bari in Italia). Gli altri santi hanno per lo più una «specialità»: guarigione dei malati, benedizione del bestiame, ecc.; a san Nicola ci si rivolge in ogni occasione, in tutte le sventure, nei casi più banali. Lo si ama come si ama un meraviglioso nonno al quale si confidano tutti i propri dolori, quelli del corpo e quelli dell'anima, al quale si chiede tutto e al quale, all'occorrenza, si fanno anche dei rimproveri. Il suo culto è contagioso: in Russia la sua intercessione era richiesta anche da musulmani, da ebrei, da pagani.
E noto quanto in Russia sia vivo e filiale il culto della santa Vergine. E difficile concepire una casa o un'istituzione religiosa dell'antica Russia, a maggior ragione una chiesa o una cappella, in cui non si trovi, al posto d'onore, un'immagine della Madre di Dio. L'ortodosso pio non prega mai e non comincia nessun lavoro di una certa importanza senza invocare il soccorso della «Regina dei cieli», della «Purissima»; lo stesso accade in occasione di un viaggio, di un'azione caritatevole, di un'im-presa da intraprendere, di un'operazione chirurgica da subire. In chiesa egli accende volentieri un cero davanti all'icona della Madre di Dio; in casa sua, fa brillare una piccola lampada davanti alla sua immagine. Dinanzi alle icone miracolose — l'antica Russia ne aveva parecchie — si poteva vedere di solito una folla d'infelici o di pellegrini che pregavano con fervore. Molebny e altre preghiere in onore della Vergine sono chieste costantemente ai sacerdoti. Il rispetto per la Vergine è tale che non si osa dare il suo nome alle bambine; in Russia molte donne si chiamano «Maria», ma il nome indica Maria Maddalena. La Madre di Dio non può essere messa sullo stesso piano degli altri santi patroni, essa è «più venerabile dei cherubini, incomparabilmente più gloriosa dei serafini». Alcuni titoli con i quali i cattolici la designano — nostra Signora, Madonna e altri simili - urtano l'ortodosso, gli sembrano irriverenti, terra terra, non trasfigurati.
Certe manifestazioni di pietà mariana ricordano la nostra devozione ai sette dolori di Maria, al suo Cuore, ma sembra trattarsi di gusti personali o di un'importazione occidentale. Il culto dell'immacolata concezione non contrasta di per sé con la religiosità slava, tuttavia non vi ha mai messo radici, a causa di una certa diffidenza dei capi dell'ortodossia. Gli ortodossi darebbero volentieri credito alle apparizioni di Lourdes e di Fatima. In generale la devozione mariana li commuove, quando proviene dal cuore, come è il caso per il santuario cattolico di Czestochowa, in Polonia, o anche per i «mesi di Maria» che si celebrano in molti paesi slavi.
Tutto il culto liturgico bizantino è incentrato sulla santa comunione che la maggior parte dei maestri spirituali consiglia di ricevere frequentemente; alcuni la vorrebbero quotidiana. La comunione è considerata come il punto culminante della messa, perciò non è consentita al di fuori della messa, salvo come viatico o in casi del tutto eccezionali. L'unio-ne al Cristo eucaristico è ritenuta necessaria a tutti, anche ai bambini. L'ortodosso pio si prepara alla comunione con un giorno almeno di go-venie, vale a dire di presenza in chiesa durante gli uffizi, di digiuni, di raccoglimento, di atti di carità; abitualmente, non riceve l'eucaristia senza essersi prima confessato, anche se la sua coscienza non gli rimprovera nessun peccato grave. La comunione sotto una sola specie è tollerata soltanto in casi eccezionali. Al di fuori della messa, la «santa riserva» è quasi dimenticata, benché sia conservata nella chiesa: non si va a «visitare» l'Ospite divino nel tabernacolo, ad «adorare» il santissimo sacramento. Si raccomanda di salutare in chiesa le «cose sante» (svjatyni), icone, libro del vangelo, reliquie dei santi, santa croce; ma il più delle volte non si parla dell'eucaristia. Ore di adorazione, processioni del santissimo sacramento, «esposizioni» dell'ostia, «benedizioni»; tutto ciò è estraneo alla pietà ortodossa, o per lo meno vi è eccezionale.
Gli orientali attribuiscono una grande importanza al «cuore», questo centro dell'anima, come vedremo meglio esaminando le dottrine dei maestri spirituali. In alcuni predicatori, starzy o missionari, si trovano toccanti considerazioni sul cuore di Gesù. La parola è presa il più delle volte nel senso metaforico, raramente nel senso realistico. Ma l'Oriente cristiano separato non pratica una devozione particolare al sacro Cuore, teologicamente elaborata, «cristallizzata» in forme ufficiali; non dedica acatisti al sacro Cuore. Teme - d'accordo in questo con la Santa Sede — tutto quello che sembrerebbe isolare il cuore di Gesù dalla sua persona. Ogni spiritualità cristiana tiene a rendere un culto a delle persone — Spirito Santo, Verbo incarnato, santissima Vergine, i santi — e per di più la spiritualità ortodossa, lo ripetiamo, non ama scomporre, ma cerca l'unità vivente.
In generale, l'ortodosso trova largamente nelle ricchezze dogmatiche e mistiche della liturgia bizantina di che soddisfare le sue aspirazioni alla «deificazione», all'unione con Dio in tre Persone, il suo attaccamento alla santa Vergine, ai santi e agli angeli. Perciò non sente il bisogno di devozioni extraliturgiche.


II. I TEORICI DI SPIRITUALITÀ RUSSI ORTODOSSI
I trattati russi di spiritualità sono poco numerosi. Esaminiamo quelli che meritano più particolarmente l'attenzione del lettore desideroso di conoscere la spiritualità ortodossa di tendenza russa, i suoi principi e assiomi.

In primo luogo, segnaliamo l'opera capitale del vescovo 

Teofane il Recluso, 


autore ragguardevole, di cui l'arciprete Gheorghij Fiorovskij scrive: «Teofane Govorov fu un fedele e tipico continuatore della tradizione patristica in materia di ascetismo e di teologia... Egli si sforzava di ricostruire tutta la dottrina della vita cristiana secondo i principi dell'ascetismo dei padri».
Teofane, al secolo Gheorghi] Govorov, nacque nel 1815 a Cernavsk (governatorato di Orël). Fece gli studi di teologia all'Accademia ecclesiastica di Kiev. Per sette anni soggiornò in Medio Oriente, dove studiò i padri orientali. Divenuto vescovo nel 1859, si ritirò dal 1866 in un monastero per dedicarsi all'apostolato della penna; ben presto, fattosi «recluso», condusse una vita molto ascetica; negli ultimi anni celebrava la messa ogni giorno «tutto solo, in silenzio, concelebrando con gli angeli». Morì nel 1894.
Il suo libro, La via della salvezza, è un «compendio di ascetismo» in cui si trovano i principi della spiritualità ortodossa russa. Ebbe larga diffusione ed esercitò una profonda influenza, anche fuori della Russia.
La via della salvezza si divide in tre parti: 1) in che modo comincia in noi la vita cristiana; 2) come si sviluppa e si rinsalda; 3) quello che essa è nella sua perfezione. La nostra attenzione si soffermerà soprattutto su quest'ultima parte.
Parte prima. «L'essenziale della vita cristiana consiste nell'essere in comunione con Dio (bogoobscenie) nel nostro Signore Gesù Cristo» (p. 10). «L'onestà e l'osservanza delle prescrizioni della Chiesa non hanno alcun valore agli occhi di Dio se non hanno Io spirito della vita in Gesù
Cristo» (p. 11).
Bisogna cominciare con la decisione di essere un perfetto cristiano. Ciò presuppone grandi sforzi, ma è lo spirito di Dio che purifica il cuore e «riunisce i tratti dell'immagine di Dio offuscati e spezzati» (p. 14). Per restaurare questa immagine è indispensabile la grazia, che si riceve nel battesimo, «senza il quale non si può entrare nell'universo cristiano» (p. 17).
Genitori e educatori devono vegliare sullo sviluppo dell'azione divina nell'anima del bimbo battezzato. A questo scopo, è bene dare spesso ai bambini la santa comunione, «portarli spesso in chiesa, far baciare loro la santa croce, il libro del vangelo, le icone, coprirli con il vozduch (velo liturgico)»; in casa, è bene «porre spesso il bimbo sotto le icone, benedirlo tracciando su di lui il segno della croce o aspergendolo con l'acqua benedetta, far bruciare l'incenso, benedire la culla, il cibo e tutto ciò che è a contatto con il bambino, far benedire il bimbo dal sacerdote, portare a casa icone della chiesa, celebrare molebny» (p. 25). Tutto ciò «ravviva e alimenta la vita di grazia». Attraverso il loro sguardo, i genitori possono trasmettere al bimbo che li guarda qualcosa della loro devozione (p. 27).
Seguono diversi consigli per la formazione cristiana del fanciullo. Sul suo cuore si agirà soprattutto mediante lo zerkovnost', lo spirito, l'«atmosfera» del santuario, della chiesa; gli si ispirerà il gusto dei canti di chiesa, delle icone, delle preghiere vocali. Gli si insegnerà a comportarsi in maniera «cosciente e coscienziosa» (p. 41). II fanciullo deve «convincersi ragionevolmente che la santa fede è l'unica via di salvezza veramente sicura» (p. 46).
Nel difficile momento dell'adolescenza, il fanciullo verrà posto sotto la guida di un padre spirituale che saprà parlargli come un amico devoto (p. 53), aiutandolo a formarsi una vita spirituale veramente «Ulteriore»; in tutto, compresi gli uffizi religiosi, si eviti «la predominanza di ciò che è esteriore» (p. 60).
Il nostro autore cita ampi brani delle istruzioni pedagogiche di san Giovanni Crisostomo.

Parte seconda. Molti sono fra i battezzati quelli che cadono nel peccato. Così «la penitenza è divenuta per noi l'unica sorgente di vita veramente cristiana» (p. 99). Ma «solo la grazia è capace di portare l'uomo a pentirsi, per immolarsi e sacrificarsi a Dio» (p. 101). Il peccatore avverte dentro di sé un vuoto spaventoso: l'intelligenza è vuota, perché «ha dimenticato l'Unico che è tutto»; la volontà è vuota, perché non possiede più l'Unico; il cuore è vuoto, non assapora più l'Unico (p. 103). Ma la «grazia eccitante» viene a trarlo dal suo torpore. Tuttavia, se egli ricade, «l'eccitazione divina non gli viene data gratuitamente: è richiesto uno sforzo del peccatore stesso che deve, per così dire, meritare il soccorso divino e ottenerlo mediante la preghiera» (p. 110). E una prova, dopo la quale riapparirà la grazia che «mostra vivamente» l'orrore del peccato e la bellezza del bene morale, e consente di scegliere liberamente tra il bene e il male.
La grazia agisce in diversi modi. Certe volte Dio si mostra egli stesso, come a san Paolo; altre volte fa apparire la santa Vergine, alcuni santi o angeli (p. 113). Talora Dio concede dei miracoli, ma per lo più la grazia agisce in maniera tutta interiore.
Ciò che trattiene l'uomo lontano da Dio è la «condiscendenza nei confronti di se stesso», il mondo e il demonio. Per aiutarci a lottare contro l'irreligione del mondo, la Provvidenza «tiene dinanzi a noi alti due mondi, mondi santi, divini... Sono la natura visibile e la Chiesa di dìo» (p. 120), vale a dire la bellezza del creato e del culto divino.
La grazia eccitante agisce anche attraverso la parola del sacerdote, che deve «esporre la verità quale essa è, senza il velame di considerazioni intellettuali e meno ancora di immaginazioni; la verità è accordata naturalmente allo spirito; esposta con semplicità e sincerità, essa lo raggiungerà» (p. 126). La predicazione si esercita anche attraverso le cerimonie, i canti sacri, i libri pii, le conversazioni edificanti, le icone, l'in-segnamento (p. 127).
Il peccatore deve lottare anzitutto contro il proprio corpo: «Rifiutagli le delizie e i piaceri... Prolunga le veglie, togli qualcosa dal tuo regime alimentare abituale, aggiungi ai tuoi lavori un nuovo lavoro» (p. 134). Egli deve anche convenire il suo cuore, sottometterlo alla ragione, perché esso è cieco e ci inganna: «Quando il cuore vuole attaccarsi a qualche oggetto, consulti la ragione e non agisca da solo precedendola» (p. 137).
Le passioni, il mondo e Satana suggeriscono mille pretesti per far trionfare il peccato. Bisogna reagire con energia: «Con uno sforzo più vigoroso dello spirito, convinciti di alcuni pensieri capaci di allontanare questa ebbrezza; aiutati con questi pensieri per scuotere e piegare il tuo cuore inerte... Immagina di essere nella situazione di un uomo che una spada sta per colpire» (p. 141), «Sali con il pensiero sul Golgota» (p. 142). «Rientra in te stesso, spezzati, colpisciti, correggi i tuoi giudizi. Tratta del tuo caso con Dio. Esortati, persuaditi. Per accedere alla conversione, non c'è che una porta: un serio esame interiore» (p, 145). Non si tratta di atteggiarsi a sapiente, ma di essere ragionevole. Non bisogna «trascorrere da un pensiero all'altro» (p. 147), ma lasciare a ciascuno il tempo di penetrare nel cuore. Sarà utile «rivestire il pensiero con un'immagine che rimanga presente allo spirito e non cessi di stimolarlo. La cosa migliore è riunire in una sola immagine, se possibile, diversi pensieri che colpiscono... Questa immagine rimane allora più facilmente presente all'anima, in cui agisce con maggior forza» (p. 147)7.
7 Alcuni autori russi moderni sostengono che la spiritualità ortodossa respinge ogni uso dell'immaginazione. Come vediamo, ciò è inesatto. Come i padri spirituali cattolici, gli ortodossi mettono in guardia contro le divagazioni dell'immaginazione, ma non considerano questa facoltà come cattiva di per sé.

La meditazione non basta, bisogna interromperla spesso per la preghiera: «Se durante la meditazione un sentimento cade nel cuore..., alzati e prega... Prega con semplicità, come un fanciullo, brevemente; è meglio pregare senza parole... Non comporre preghiere... Se l'ardore della preghiera diminuisce, ritorna alla meditazione, per passare di nuovo alla preghiera... Ripeti spesso delle giaculatorie» (p. 149).
E molto importante che il peccatore pratichi la carità: «Moltiplica le elemosine, asciuga le lacrime degli infelici» (p. 150).
Quali sono gli effetti della grazia eccitante? Essa risveglia il sentimento di dipendenza nei riguardi di Dio; l'uomo vede la sua bruttura morale, «presente» la felicità di vivere in Dio. Questa grazia, come un lampo, proietta luce su ogni cosa.
Il peccatore deve convertirsi in piena libertà: «II fine della libertà umana non è né in se stessa né nell'uomo, ma è in Dio. Dando la libertà all'uomo. Dio, per così dire, cede all'uomo una parte del suo potere divino, affinché l'uomo la sacrifichi liberamente in olocausto a Dio» (p. 174).
Il peccatore si esaminerà ripetendo i dieci comandamenti di Dio e le beatitudini, o ripercorrendo con il pensiero «la legge veramente cristiana», secondo il Nuovo Testamento. Nel corso di quest'esame di coscienza, egli si giudicherà come cristiano, tenendo conto del proprio stato, della propria situazione, delle circostanze; ma quel che conta soprattutto è «entrare più profondamente nel cuore corrotto», conoscere bene le passioni dominanti e specialmente quella tendenza che è alla radice di tutti i peccati (p. 176).
La conversione presuppone una leale confessione. E questa l'unica via di salvezza. Il convertito deve essere deciso «a seguire il Cristo Salvatore» e a fare la penitenza imposta dal confessore, o che egli gli avrà «chiesto, se il confessore non ha imposto nulla» (p. 189). Verrà poi la santa comunione che «è alla base della vita conforme a Cristo» (p. 192). Il tempo che separa la confessione e la comunione deve essere passato nel raccoglimento, nella pace del cuore, nella meditazione sull'eucaristia o su qualche passo del Nuovo Testamento (p. 193).
Parte terza. L’autore vi parla della perfezione spirituale.
L'ideale al quale deve tendere il convertito è «l'unione vivente con Dio» (p. 199). Al momento della conversione, quest'unione non è che una pura luce; poi diviene «operante», vissuta. «Al suo primo entrare nell'anima mediante i sacramenti, questa grazia consente all'uomo di gustare pienamente la felicità dell'unione con Dio» (p. 203). Più tardi, essa «si nasconde»; ma resta tuttavia nell'uomo, agisce in lui; talvolta lo consola, ma abitualmente l'anima è immersa nella notte. Infine, dopo questo periodo di prove, «Dio comincia ad abitare nell'uomo in maniera particolare» (p. 205); «si da egli stesso al cuore, e l'uomo è reso degno di essere uno spirito con il Signore...; diviene pienamente dimora dello Spirito Santo» (p. 206).
Così, «la vera vita della grazia non è all'inizio che un piccolo seme, una scintilla; un granello seminato in mezzo alle spine, una scintilla tutta coperta di ceneri...» (p. 210). Per molto tempo «Dio non può prendere interamente dimora nell'uomo...; l'abitazione non è ancora pronta» (p. 211). Le passioni devono essere a poco a poco domate: quelli che si danno pienamente a Dio fin dall'inizio sono rari.
L'anima che vuole camminare verso la perfezione deve prendere una guida, perché «di solito Dio ci conduce per mezzo di altri» (p. 218). «Satana non si avvicina a quelli che si sono affidati a un direttore di coscienza» (p. 219). E anche necessaria una regola di vita per fissare gli esercizi di pietà: lettura, preghiera, meditazione, ecc... La vita non regolata «non è una vita». «Si avvolge un bimbo nelle fasce perché non diventi un mostro, un gobbo; allo stesso modo, tutta l'attività spirituale deve essere avvolta nelle regole... Senza regole, si è come senza appoggio, si cade e ci s'inganna inevitabilmente» (p. 221).
«Chi desidera conservare un fervore inestinguibile deve; a) abitare all'interno di se stesso; b) contemplare un mondo nuovo; c) mantenersi nei sentimenti e nei pensieri mediante i quali sale come su dei gradini fino ai piedi dell'altare di Dio» (p. 228).
«La gallina che ha trovato qualche chicco da un segnale ai suoi pulcini, e tutti accorrono da ogni parte verso la loro madre per mettere il loro becco nel punto in cui essa ha fissato il suo. Allo stesso modo, quando la grazia divina agisce nel cuore di un uomo, lo spirito di quest'uomo entra nel suo cuore, e con lo spirito tutte le forze dell'anima e del corpo. E questa la legge dell’abitazione nell'interno: tieni il tuo spirito nel tuo cuore, e raduna lì, grazie ai tuoi sforzi, tutte le forze della tua anima e del tuo corpo» (p. 228). Radunare le proprie forze nel proprio cuore: ecco l'atto per eccellenza, la grande impresa (podvig) della vita spirituale: «La concentrazione dello spirito nel cuore è l'attenzione (vnimanie); la concentrazione della volontà è la vigilanza (bodrennost'), la concentrazione del sentimento è la sobrietà (trezvenié)» (p. 229). Colui a cui manca uno di questi tre elementi, non ha «l'abitazione nell’interno» (vnutr-prebyvanié). Questi atti dell'anima devono essere accompagnati da atteggiamenti del corpo: l'attenzione esige che gli occhi siano volti verso l’interno; la vigilanza richiede «una tensione dei muscoli in tutto il corpo, nella direzione del petto»; la sobrietà presuppone «la rimozione degli umori emollienti che salgono verso il cuore» (ihid.). Il mattino, al risveglio, «discendi all'interno di te stesso, verso il tuo cuore, nel tuo petto; subito chiama, attira, trascina lì tutte le forze della tua anima e del tuo corpo...; fa' così finché la coscienza vi si sia insediata come nella propria dimora e vi stia attaccata come il vischio su un muro» (ihid.).
L'uomo che ha compiuto questo rientro in se stesso si trova come in una grande sala dove scopre «un mondo nuovo». E «il primo colpo della grazia che chiama». Ma subito dopo, «la visione, come l'abitazione nell’interno, è affidata da Dio alla libertà dell’uomo»; a lui dunque spetta mantenerla viva (p. 232). In altre parole, l'uomo deve collaborare con la grazia.
Su quali realtà verte questa «visione»? Anzitutto sull’onnipresenza e l'onnipotenza di Dio: Dio tiene tutto nella sua mano; poi sull'economia della salvezza: la morte, il giudizio, il paradiso, l’inferno (p. 233). La prima di queste realtà disporrà il cristiano a «sentirsi come un bimbo fra le braccia di sua madre»; la seconda farà di lui un «soldato nell'esercito, un figlio nella casa paterna, un operaio abile nel lavoro, un compagno fra i suoi amici, o un uomo in mezzo alla sua famiglia». La visione della morte ci rivelerà a noi stessi come colpevoli. Il paradiso e l’inferno saranno presenti attraverso P immaginazione, il primo come un giardino magnifico, l’altro come un abisso di fuoco: tra i due, l'uomo avanza su una stretta passerella (p. 235).
Si contempleranno queste verità, una dopo P altra, soffermandosi a lungo su ciascuna. «Non è una meditazione, è una contemplazione immobile dell’intelligenza; è la fede nell’oggetto contemplato» (p. 236). Ci si aiuterà con immagini e con quadri che illustrano queste realtà; si ricorrerà a libri che «le descrivono in modo vigoroso», se ne parlerà; ci si raffigurerà sul proprio letto di morte. Si manterrà viva l’immagine «impressa» nell’anima (p. 237), per conservare i sentimenti salutari una volta provati: è questa «l’attività vitale spirituale» (p. 240). Si sceglierà nel Salterio una preghiera in cui sono espressi tutti questi sentimenti, ma «non c'è mezzo più sicuro per imprimerli (nella mente e nel cuore) che l'assistere agli uffizi della chiesa» (p. 241).
Questo lavoro spirituale inizia con il timore di Dio e termina con un «umile abbandono alla sua volontà» (p. 242).
La tendenza alla perfezione esige che si dia a tutte le facoltà dell'a-nima una formazione veramente cristiana.
Per abituare l'intelligenza a giudicare secondo la fede, si farà grande uso della lettura spirituale. I principianti leggeranno soprattutto vite di santi; quelli che sono «progrediti» leggeranno di preferenza le opere dei padri; i «perfetti» leggeranno di preferenza la sacra Scrittura. Prima della lettura ci si raccoglie, si prega per qualche istante; durante la lettura, ci si sofferma su ogni passo finché sia penetrato nel cuore, A questa formazione cristiana dell'intelligenza concorrono le conversazioni con persone esperte nella vita spirituale,
Per educare cristianamente la volontà, bisogna sottomettersi, obbedire, rispettare i comandamenti di Dio, «il regolamento della Chiesa, le leggi della società e della famiglia...; si osserverà tutto ciò secondo la volontà di Dio e in suo onore» (p. 257).
Per formare il cuore e acquisire «il gusto delle cose sante, divine, spirituali», l'educatore per eccellenza è la liturgia. «Il nostro tempio è il paradiso sulla terra». Il cristiano assisterà al mattutino, alla messa, ai vespri, senza trascurare gli «uffizi privati»; cercherà di restare sempre nel? «atmosfera speciale della vita liturgica». Per formarsi allo spirito di preghiera, utilizzerà qualche buon libro; pregherà «in piedi, facendo inchini o prostrazioni, genuflessioni e segni di croce, leggendo, talvolta cantando»; reciterà queste preghiere «come all'orecchio di Dio» (p. 262).
La preghiera comporta diversi gradi. Si comincia con la preghiera «attiva, corporea», lettura, inchini, atteggiamenti del corpo. Viene poi la preghiera «attenta», quella dell'intelligenza. Infine, si arriva alla preghiera del cuore, la preghiera senza parole. Quando è diventata continua, la preghiera del cuore lascia il posto alla preghiera «spirituale», quel dono dello Spirito Santo che prega in noi (p. 263). Il mezzo più facile per giungervi è di ripetere con attenzione la preghiera di Gesù, mantenendo «la coscienza di sé nel cuore» e «trattenendo un po' il respiro» (P- 265).
Per pregare bene è necessaria la mortificazione del corpo. Bisogna dominare i sensi, seguire non i loro appetiti, ma la ragione, mortificarsi gradualmente (p. 270). L'esperienza personale indica ciò che è opportuno eliminare nel proprio comportamento: ogni elemento mondano sarà escluso; bisogna «purificare tutta la propria vita esteriore, rimuovere tutto ciò che è passionale» (p. 272).
Il mezzo per eccellenza per alimentare la vita divina in noi è la santa comunione. «Fin dalle origini, i veri zelatori della pietà hanno considerato come il bene più grande la comunione frequente... La persuasione comune di tutti i santi è che non c'è salvezza senza la comunione, ne progresso nella vita spirituale senza la comunione frequente» (p. 277). La santa comunione deve essere il coronamento, l'apice del govenie, al quale ci si dedica di norma durante le quattro quaresime dell'anno. Il govenie consiste nel raccogliersi, nel digiunare più del solito, nel frequentare gli uffizi sacri, nel leggere libri edificanti, nel distribuire elemosine, nel fare una buona confessione. Ci si sforzerà di conservare lo spirito del govenie per tutto Panno praticando il digiuno del mercoledì e del venerdì, confessandosi ogni volta che «il peccato appesantisce la coscienza», «confessandosi a Dio» tutte le sere, o anche durante la giornata, parlando dei propri problemi di coscienza con un padre spirituale prudente, praticando almeno la «comunione spirituale» a ogni messa (pp. 278ss).
Le passioni devono essere combattute energicamente. Satana agisce in noi soprattutto attraverso i «cattivi pensieri». Perciò, nella sua lotta, il cristiano veglierà anzitutto sui suoi pensieri, «perché il cuore e la volontà non sono mobili quanto il pensiero; le passioni e i desideri sorgono raramente da se stessi, il più delle volte sono generati da pensieri. Da ciò questa regola: tronca il pensiero, e tutto sarà troncato» (p. 295).
Allo scopo di dominare così i propri pensieri, ci sì sforzerà di essere sempre occupati e di avere i sensi esteriori «legati». La vigilanza è dunque indispensabile. Essa ha due aspetti: la «sobrietà», che regge il nostro interno, e la «considerazione» (blagorassmotrenie), che consiste nel prevedere le situazioni nelle quali ci si troverà, e nel decidere il comportamento da tenere (p. 297).
Alcuni di questi pensieri sono molto sottili e si presentano sotto buone apparenze; è il caso allora di applicare il discernimento degli spiriti traendo profitto dall'esperienza acquisita; ma è ancora più importante «non fidarsi della propria ragione e sottoporre ogni pensiero al proprio direttore di coscienza (rukovoditel’)» (p. 305).
«La purificazione definitiva di tutto il nostro essere... è opera del Signore, purificazione esteriore attraverso le prove, purificazione intcriore attraverso le lacrime» (p. 312).
La vita spirituale culmina nella «comunione vivente con Dio». Essa consiste nel vedere Dio e nel sentire che si è visti da lui, nel fare tutto per la sua gloria (p. 318). Si è «immersi in Dio». È «il silenzio dello spirito o il rapimento in Dio», è il «distacco da tutto». Solamente i puri di cuore vedranno Dio (p. 320). «L'anticamera» di questa perfetta unione con Dio è descritta in questi termini: «Abbandonarsi perfettamente a lui... e rinunziare alla propria libertà» (p. 321).
Teofane il Recluso espone il fondo del suo pensiero sulla preghiera di Gesù in una delle sue lettere, pubblicate dal monastero russo San Panteleimon del Monte Athos8;
8 «Raccolta delle lettere del vescovo Teofane», serie I, Moskva 1898, p. 17.
«La preghiera Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me è una preghiera composta di parole, come ogni altra preghiera. Di per sé, la preghiera di Gesù non rappresenta nulla di particolare; tutta la sua forza deriva dalla disposizione interiore con la quale la si recita. Tutti gli accorgimenti che vengono descritti — sedersi, inchinarsi, ecc. - in altre parole la maniera artificiale di praticare questa preghiera, non è cosa adatta a tutti e, se non si ha un istruttore, rappresenta un pericolo. Meglio astenersene. Un solo accorgimento è obbligatorio, e per tutti: mediante l'attenzione restare nel cuore. Tutto il resto è aggiunta estranea che non conduce allo scopo ricercato. Si parla tanto dei frutti della preghiera di Gesù, come se al mondo non ci fosse niente di più sublime! Si ha torto. Si crede di aver trovato un talismano! Di questi frutti nulla è proprio delle parole di cui questa preghiera è composta ne dell'uso verbale che ne viene fatto. Tutti questi frutti possono essere ottenuti altrettanto bene senza la preghiera citata, e anche senza nessuna preghiera composta di parole, mediante la semplice elevazione dello spirito e del cuore verso Dio. L’essenziale è acquisire l'abitudine di pensare a Dio e di vivere alla sua presenza. A ciascuno si può raccomandare: "Acquisisci questa abitudine in un modo o nell'altro; recita la preghiera di Gesù, oppure fa' delle prostrazioni, o va in chiesa, fa' quello che vuoi, ma arriva a pensare sempre a Dio". Ho conosciuto a Kiev un uomo che non usava nessun metodo, ignorava la preghiera di Gesù, e possedeva nondimeno tutti i frutti di cui si parla».
L'ultimo libro di Teofane il Recluso è intitolato: Lineamenti di morale cristiana9. E un trattato di morale, ma vi domina la spiritualità. Segnaleremo soltanto alcuni passi caratteristici.
9. Nacertanie christianskogo nravoucenija, a cura del monastero San Panteleimon del Monte Athos; seguiremo la seconda edizione, Moskva 1895.

«La piena giustificazione, ossia la piena soddisfazione della giustizia divina, consiste non solo nel sacrificio propiziatorio, ma anche nell’arricchimento dell’uomo in stato di grazia mediante opere di giustizia» (p. 12). Ciò non può provenire che dall’ uomo-Dio, il Verbo incarnato.
Un altro fondamento della vita cristiana è l'unione vivente con il corpo della Chiesa, che ha per capo il Cristo (pp. 27ss).
La regola che determina il destino dell’uomo è l'unione con Dio, perché l'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio (pp. 32ss).
L'uomo contribuisce alla sua giustificazione mediante il sacrificio della propria libertà, la penitenza, la fede (pp. 38ss). Senza la grazia, egli non può nulla.
Ci sono doveri di giustizia e doveri di carità; si mediterà spesso sui propri doveri (pp. 100, 94,200). Contrariamente a quel che insegna «una certa branca del mondo protestante», è opportuno distinguere tra precetti e consigli evangelici (p. 101). E bene anche distinguere tra peccato mortale e peccato veniale (pp. 164ss)10.
10. Su questo punto, come su molti altri, il nostro autore si discosta dalla maggior parte dei moralisti ortodossi e sembra seguire i moralisti cattolici.
L'uomo è costituito di spirito, anima e corpo. «A quelli che non vogliono distinguere tra spirito e anima, si può proporre tuttavia di chiamare spirito il nostro essere incorporeo, nelle sue attività superiori, e anima il nostro essere incorporeo nelle sue attività inferiori» (p. 188).
Ogni buona azione cristiana è frutto della collaborazione della ragione con la grazia (p. 132).
L'intelletto è la «facoltà superiore di conoscenza», «l’oggetto della conoscenza mediante l’intelligenza è l'Essere supremo, Dio, con le sue perfezioni infinite, e l’ordine divino eterno degli esseri» (p. 214). Si conosce resistenza del mondo invisibile «non immediatamente, ma per mezzo di conclusioni logiche» (p. 215). «La nostra fede nella fede deve essere intelligente» (p. 337),
L'immaginazione è una «facoltà inferiore di conoscenza». Essa può avere «un grande valore» nel comportamento. La sua attività può essere buona o cattiva. Bene utilizzata, «è molto utile alla ragione, vivificando il pensiero mediante le immagini» (p. 251).
La vita di fede si alimenta attraverso la comunicazione e la preghiera di Gesù (p. 374). Ci si santifica anzitutto e soprattutto per mezzo dei sacramenti. «Il primo posto dopo i sacramenti spetta al digiuno con il governo»; vengono poi gli uffizi liturgici, il culto (p. 418). Si deve partecipare alla preghiera comune in chiesa. «Se qualcuno se ne separa volontariamente, la sua preghiera solitaria diventa del tutto insignificante. Quando si svolge la preghiera comune, la preghiera di ciascuno riveste la forza della preghiera di tutti... In chiesa Dio manifesta la sua presenza particolare... Si deve dunque rispettare questa dimora di Dio..., onorare i ceri, le vesti e i vasi sacri, le icone, e soprattutto la croce e il vangelo; una venerazione ancora più intensa deve essere rivolta alle sante reliquie e alle icone miracolose» (p, 420; anche pp. 445ss),
«La casa in cui si abita diventa anch'essa un tempio quando vi si prega» (p. 421). «Assistete alla messa il più spesso possibile...; con la compunzione e le suppliche, innestatevi (priveitesi) sul sacrificio che è offerto» (p. 423).
Il cristiano deve invocare a ogni preghiera la santissima Vergine, il suo angelo custode e il suo santo patrono (p. 430); deve pregare per i defunti e soprattutto offrire il santo sacrifìcio (p. 431).
«Agli occhi di Dio, tutti gli uomini formano una sola famiglia; ciò che egli da a uno di loro, lo da a tutti. L'avarizia dello spirito deve essere considerata più criminale dell'avarizia di denaro, nella misura stessa in cui lo spirito è più prezioso della materia» (p. 448). Perciò bisogna praticare la carità in tutte le sue forme. In altre parole, «abbiamo il dovere di tendere alla perfezione, o — ed è la stessa cosa — d'imitare il Signore Gesù Cristo, di rappresentarcelo in noi stessi, d'itnprimere le sue perfezioni in noi» (p. 470)11.
11 Alla fine di quest'opera si trovano alcune considerazioni sul ruolo riservato allo zar nella Chiesa.
Per comprendere bene l'orientamento spirituale di Teofane il Recluso, bisogna tener conto dei punti seguenti: 1) egli ha tradotto in russo la celebre Filocalia, pur se con aggiunte e omissioni rispetto al testo originale: così, per esempio, ha fatto ampi tagli nei testi di Palamas; 2) ha composto anche una raccolta di scritti degli antichi maestri su «La preghiera e la sobrietà»; questi maestri sono: Basino, Giovanni Crisostomo, Efrem, Giovanni Climaco, Nilo il Sinaita, Esichio, Filoteo il Sinaita, Isacco il Siro, Barsanufio e Giovanni; 3) ha scritto commenti sulle lettere di san Paolo; 4) predicava spesso sulla penitenza, insistendo sul suo ruolo nella vita cristiana.


Fra i teorici russi della spiritualità ortodossa uno dei primi posti spetta al vescovo
Ignatij Brjancaninov, 

che esercitò una profonda influenza su molti dei suoi contemporanei.
Dmitrij Brjancaninov nacque il 6 febbraio 1807 a Pokrovskoe (governatorato di Vologda), da genitori nobili e agiati, piuttosto mondani. Adolescente, si sentiva attratto dall’ideale monastico, ma per obbedienza verso suo padre entrò in una scuola militare per ingegneri. Nel 1827, dopo aver superato grandi difficoltà, il giovane entrò nel convento Aleksandr' Svirskij, da dove passò successivamente in diversi altri monasteri. Nel 1831, Dmitrij ricevette la tonsura monacale e il nome di IgnatiJ. Ben presto ordinato sacerdote, nel 1857 fu nominato vescovo del Caucaso. Morì nel 1867.
II vescovo Ignatij non compose un trattato completo di teologia ascetica, ma scrisse una serie di articoli sulle questioni importanti di spiritualità, Prendiamo in considerazione soprattutto i suoi Saggi ascetici12.
121 suoi scritti sono stati riuniti e pubblicati con il titolo Socinenija Episkopa Ignatia («Opere del vescovo Ignatij»). La prima edizione è del 1865-1867; ad essa ci riferiamo.
Egli voleva limitarsi a una spiritualità strettamente ortodossa orientale. Le sue fonti sono gli antichi asceti orientali: Giovanni Damasceno, Pietro Damasceno, Marco, Pacomio, Cassiano, Giovanni Climaco, lo Pseudo-Macario, Gregorio il Sinaita, Barsanufio, Teofilatto di Bulgaria, Isacco il Siro, Isaia l'Eremita, Doroteo, Esichio di Gerusalemme, Filoteo il Smalta e alcuni altri meno noti. Fra gli autori russi, Ignatij menziona Nilo Sorskij, Tichon di Zadonsk, Serafino di Sarov e — cosa straordinaria da parte di un avversario delle influenze occidentali — Dmitrij di Rostov.
Ignatij non espone un insieme dottrinale completo e bene articolato; per non alterare il suo insegnamento, non cercheremo di sistematizzarlo, ma ci limiteremo a citare i punti più salienti.
La penitenza. Se non si fa penitenza dei propri peccati, non si può avere «un'idea giusta delTeternità e dei propri doveri», si vive in «una cecità spaventevole». La penitenza trasforma i più colpevoli in santi. «La sua forza è fondata sulla forza divina: il Medico è onnipotente e il rimedio che egli prescrive è onnipotente» (vol. II, pp. 69-78). Secondo i padri, si raggiunge la perfezione della vita spirituale quando «tutti gli esercizi spirituali confluiscono in una sola penitenza che abbraccia tutta la vita,,. La visione del proprio peccato e la penitenza che essa suscita sono attività che non hanno fine sulla terra» (II, 91). «La vera preghiera è la voce della vera penitenza» (II, 168). «Si deve ricorrere il più spesso possibile al sacramento della penitenza» (II, 478).
L'umiltà. «La vera umiltà è una grazia divina... E un mistero divino, incomprensibile per l'uomo; è la sapienza suprema... L'umiltà è la vita celeste sulla terra... L'umiltà non ha coscienza dell'umiltà... La falsa umiltà ha sempre un aspetto affettato, si mette in mostra... II principio dell'umiltà è la povertà di spirito... la sua perfezione, è la carità di Cristo... L'umile si rimette interamente alla volontà di Dio; non vive della propria vita, vive di Dio... L'umiltà è la veste mistica di Cristo, la sua forza mistica» (I, 615-627). «Soltanto Pumiltà e la penitenza che da essa è generata permettono di ricevere il Cristo! Esse sole ci danno di che acquistare la conoscenza di Gesù Cristo; esse sole ci mettono in condizione di avvicinarci a Gesù Cristo, di diventare suoi; esse sono il solo sacrificio che Dio esige e accetta dal!'umanità decaduta» (III, 250). L'umiltà deve essere sempre il frutto della vigilanza e della sobrietà (IV, 209-218, ecc.).
Il digiuno. «Il digiuno consiste in un'incessante moderazione nell’uso del cibo, unita a una scelta ragionevole degli alimenti». «All'uomo appena creato e collocato nel paradiso, fu intimato un solo comando, quello di digiunare». «La preghiera è debole se non si appoggia sul digiuno, e il digiuno è sterile se su di esso non è edificata la preghiera». Un'astinenza eccessiva indebolisce l'uomo e lo rende incapace di compiere nobili imprese d'ordine spirituale (II, 107-114). «Un digiuno troppo severo è ancora più nocivo degli eccessi dalla tavola» (I, 55). Il digiuno è necessario «soprattutto ali'intelligenza e al cuore» (III, 96).
L'ortodossia. L'ortodosso fedele alla sua Chiesa «pensa a Dio ad ogni ora, dovunque... la domenica e nei giorni di festa, frequenta il tempio di Dio con assiduita; a casa prega mattino e sera; è caritatevole verso i poveri e i pellegrini, fa penitenza per i suoi peccati e si comunica, sopporta generosamente le pene mandate da Dio, studia con fervore la parola di Dio» (III, 531). Un libro è utile alle anime soltanto se è scritto da un ortodosso pio (I, 40). «La purezza e la rettitudine della coscienza sono possibili solamente nel seno della Chiesa ortodossa» (I, 370), La transustanziazione del pane nel corpo di Gesù Cristo e del vino nel suo sangue non può essere reale che «nella messa celebrata da un vescovo o da un sacerdote ortodosso» (III, 464). La vera fede «è conservata in tutta la sua purezza e in tutta la sua pienezza nella Chiesa ortodossa, istituita" dall'uomo-Dio in Oriente, diffusa dall’Oriente attraverso il mondo; finora la fede conserva la sua integrità solamente in Oriente» (II, 473).
L’uomo, immagine e somiglianza di Dio. Come il sole in una goccia d'acqua, la santissima Trinità si riflette nell’uomo. Perciò, l'uomo è «pieno di una bellezza multiforme». Il mondo è un magnifico palazzo, in mezzo al quale Dio ha posto la sua immagine. «L'essenza stessa della nostra anima è l'immagine di Dio; anche caduta nel peccato, anche nelle fiamme dell’inferno, l’anima continua a essere l'immagine di Dio», «II nostro intelletto è l'immagine del Padre; la nostra parola (la parola non pronunziata è di solito chiamata pensiero) è l'immagine del Figlio; il nostro spirito è l'immagine dello Spirito Santo». L'incarnazione è l’adorazione da parte di Dio della sua immagine. «Con la redenzione Dio ha glorificato la sua immagine più che nella creazione dell’uomo». «La bellezza della somiglianza... raggiunge la sua perfezione nel? adempimento dei precetti evangelici; il modello di questa bellezza e la sua pienezza, è il Signore Gesù Cristo». «Immagine intelligente di Dio! Considera a quale gloria, a quale perfezione, a quale grandezza sei chiamata!» (II, 119-130). «Onora come un'immagine di Dio il cieco, il lebbroso, l'alienato, il criminale, il pagano» (I, 605).
La preghiera di Gesù. Su quest'argomento, Nilo Sorskij trova formule ammirevoli. Ripetendo: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore», si deve «guardare il fondo del proprio cuore..., far tacere il pensiero», restare in piedi, seduti o coricati se si è deboli di salute. Si «respira piano piano», si «frenano tutti i moti del sangue» (II, 326). Si può usare un rosario per contare le invocazioni. E utile fare prostrazioni, tenere la mano sinistra sul petto, restare in una semioscurità, stare seduti su uno sgabello basso (per umiltà); «l'ardore della carne e del sangue non deve trovare posto nella preghiera» (II, 355). D'altra parte, non bisogna attribuire troppa importanza al «meccanismo» del corpo; esso «può essere assai ben sostituito da una recitazione tranquilla, una breve pausa dopo ogni invocazione, una respirazione calma...» (IV, 148). La preghiera di Gesù «è stata istituita dal Signore Gesù Cristo stesso» (I, 123), quando insegnava che la preghiera doveva essere fatta nel suo nome. E un peccato che «adesso la pratica della preghiera di Gesù sia quasi abbandonata dai monaci» (II, 277).

Illusioni, presunzioni, fantasticherie. «Molto spesso la salmodia, praticata con assiduita e abbondanza, genera la presunzione e le sue conseguenze» (II, 365). La «preghiera esteriore» (salmodia, tropari, canoni) è adatta soprattutto ai principianti: bisogna cercare «la preghiera dello spirito». Troppe «preghiere esteriori recitate con le labbra... nutrono il fariseo intcriore» (II, 366). I monaci che hanno rifiutato la preghiera di Gesù, o in generale «!'azione dello spirito», e «si accontentano di una partecipazione assidua agli uffizi in chiesa» sono in stato di presunzione e d'illusione (I, 152), Quando la chiesa di un monastero è troppo sontuosa, «l'anima del monaco è inevitabilmente vanitosa, piena di presunzione e di sufficienza, priva di compunzione, non cosciente dei suoi peccati» (IV, 248).
Bisogna diffidare dei propri ragionamenti e desideri: «La ragione e la volontà della natura decaduta sono interamente corrotte dal peccato» (I, 4).
«Diffida della fantasticheria che può farti credere che vedi Gesù Cristo...; è il semplice gioco di una presunzione orgogliosa» (I, 20). «L'anima della preghiera è l’attenzione... detesta la fantasticheria» (I, 57). «Le sacre icone sono adottate dalla santa Chiesa allo scopo di evocare ricordi pii, sensazioni edificanti, ma non per eccitare la fantasticheria... conserva il tuo spirito senza immagini» (I, 59). Occorre evitare anche i gusti intellettuali, domare la curiosità, «non perdere il tempo prezioso della preghiera e le forze dell’anima nell'acquisire conoscenze fornite dalla scienza umana» (I, 73).
L'illusione «deriva dalla caduta originale... Siamo tutti ingannati... Gesù Cristo ci salverà dall'abisso delle seduzioni che vengono da noi stessi e dai demoni» (I, 132). «La più pericolosa e difettosa maniera di pregare consiste nel creare fantasticherie...; con queste immaginazioni si asseconda la presunzione, la natura decaduta, la propensione al peccato»; tutto ciò è «invenzione e menzogna» (I, 136).
Aggiungiamo alcune osservazioni.
1. Sul cattolicesimo il vescovo Ignatij ha delle idee del tutto sbagliate. «Francesco d'Assisi, Ignazio di Loyola e gli altri asceti del mondo latino vivevano in una fortissima illusione satanica» (IV, 90). L'Imitazione di Cristo «emana lussuria raffinata e orgoglio», diffonde «un cattivo odore di passioni» (ibid.). Questo libro contiene «una dottrina menzognera» (I, 41); predica «l’unione con Dio non preceduta da purificazione attraverso la penitenza...; l’imitazione è apprezzata soprattutto dagli schiavi della sensualità» (I, 151). «Nelle confessioni d'Occidente, non resta più che la lettera e l'illusione»14, ecc. Ignatij è stato probabilmente indotto in errore da qualche libello. Del resto, egli si mostra talvolta ingiusto anche nei confronti di parecchi asceti russi ortodossi, come i celebri starzy del convento Optina Pustyn che accusa di «camminare nelle tenebre e di tenere i loro discepoli nell'oscurità»15.
I4 L, Sokolov, Episkop Ignatij SrjanSaninov («II vescovo Ignatij Brjancaninov»), II, Kiev 1915, Allegaci, p. 113.
15 Citazione in Sokolov, Allegati, p. 239.
2. Secondo Ignatij, Adamo ed Eva «avendo ricevuto la vita naturale della natura umana, ricevettero anche la vita soprannaturale mediante l'unione con la natura divina» (II, 464).
3. In alcune pagine molto belle sull'eucaristia, Ignatij arriva ad affermare che «la santa comunione è stata istituita per essere ricevuta tutti i giorni; la partecipazione alla vita di Cristo deve vivificare il cristiano tutti i giorni» (III, 158).
4. Ignatij ammira l’abitudine di san Dmirri] di Rostov e di Tichon di Zadonsk di dedicarsi «a sante meditazioni... sul soggiorno di Gesù Cristo sulla terra, sulle sue terribili e salutari sofferenze..., e anche sull'uomo, il suo destino, la sua caduta» (IV, 153). Egli rileva che questa abitudine era già propria dei padri della Chiesa. La maggior parte delle sue opere sono vere e proprie meditazioni. Egli insiste soltanto sul dovere di meditare in spirito di penitenza e di compunzione. Non si può dire dunque che la meditazione sia del tutto estranea alla spiritualità ortodossa.
Il vescovo Pietro, al secolo Teodoro Ekaterinovskij, vescovo di Ufa, poi di Tomsk, fece gli studi all'Accademia ecclesiastica di Mosca. Compose diversi libri di spiritualità. Analizzeremo il più importante: Indicazione del cammino verso la salvezza16, che è un trattato di teologia ascetica.
16 Ukazame putì k spaseniju, Moskva 1872. A questo libro rimandano le indicazioni delle pagine seguenti.
Questo libro è di più ampio respiro che i lavori del suo contemporaneo Ignatij Brjancaninov. Pur attingendo dagli antichi maestri orientali — lo Pseudo-Dionigi, lo Pseudo-Macario, Antonio, Isacco di Siria, Barsanufio, Gregorio il Sinaita, Massimo il Confessore, Giovanni Climaco, Esichio, Doroteo, Marco, Efrem, Diadoco, Pietro Damasceno, Simeone il Nuovo Teologo — il nostro autore utilizza largamente le opere dei padri della Chiesa più conosciuti, sia orientali che occidentali: Giovanni Crisostomo, Giovanni Damasceno, Gregorio Magno, Agostino, Cipriano, Basilio, Girolamo, Ambrogio. Gli scrittori russi Nilo SorskiJ e Tichon di Zadonsk sembrano essergli più familiari. Siamo dunque in presenza di una vasta sintesi, da cui non è escluso l'Occidente dei primi secoli. L'opera è tutta impregnata dei temi così cari agli ortodossi: l’uomo immagine di Dio, la bellezza spirituale, la meditazione contemplativa, la vigilanza nel raccoglimento, l'astinenza, il combattimento contro le passioni, il cuore come centro delle facoltà dell'anima, la preghiera di Gesù; vi si trovano anche alcune idee provenienti dai padri, ma precisate soprattutto in Occidente, come la subordinazione del cuore alla ragione illuminata dalla grazia e dalla volontà, la soddisfazione, la comunione frequente. Tuttavia il vescovo Pietro non è influenzato dai teologi cattolici del Medioevo o dei tempi moderni; come Ignatij e Teofane, quando si tratta dell'azione dello Spirito Santo nella Chiesa cattolica, egli entra in un mondo che gli rimane estraneo.
Alcuni passi dell’Indicazione del cammino verso la salvezza mostrano il suo orientamento spirituale.
«L'uomo è un essere ragionevole e libero; in virtù della sua natura egli deve dunque agire sempre in maniera ragionevole, ponderata» (così comincia il libro). «La vera carità consiste in una piena aspirazione intellettuale dell’anima verso Dio, soprattutto in una disponibilità totale al suo volere...» (p. 385). «Nella nostra intelligenza è innata l'idea di verità» (p. 338). «Il cuore è cieco... II valore e Futilità degli esseri possono essere giudicati soltanto dalla sana ragione, le cui direttive sono necessarie al cuore» (p. 246). «Il ruolo primario della ragione è quello di dirigere la principale forza dell'anima, la volontà, nel suo sforzo per acquisire le virtù» (p. 340).
«Il Salvatore ha più di una volta invitato i suoi discepoli a essere vigilanti, e affinché nessuno pensi che ciò fosse detto solamente agli apostoli, egli insistette: Lo dico a tutti, siate vigilanti... Ci sono quattro specie di vigilanza» (p, 28); e cioè: Pesarne di coscienza, l'allontanamen-to delle occasioni di peccato, la preparazione delle armi di difesa, l'arte di condurre il combattimento. Si manterrà la vigilanza anche durante il sonno; a questo scopo, «bisogna dare prima all'anima buone disposizioni» (p, 106).
«Contemplare Dio è avvicinarsi a lui attraverso la conoscenza e la disponibilità dell'anima... Allontanarsi dalla contemplazione di Dio... è privarsi della luce e del calore divino» (p. 475). Affinché l'anima sia in raccoglimento, sono indispensabili «l’isolamento, la tranquillità esteriore e il silenzio interiore» (p, 476).
L'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. La sua vocazione è dunque di «manifestare in sé le perfezioni che rendono simili a Dio»; egli deve continuamente «sviluppare dentro di sé, rendere più luminosa l'immagine di Dio» (p. 6). «L’immagine di Dio brilli in tutti i nostri pensieri, sentimenti e azioni» (p. 13). Il principale compito dell'uomo è di «crocifiggere la propria carne..., di purificare, di rinnovare dentro di sé l'immagine di Dio, offuscata dal peccato..., e di innalzare poi il proprio spirito mediante una continua contemplazione di Dio» (p. 255). Bisogna dunque cominciare sempre con la penitenza. «Il fondamento dell'amore di Dio, l'amore eterno, e anche la nostra anima stessa, creata a immagine di Dio; in questa immagine di Dio sta il motivo della carità...» (p, 379).
La meditazione è necessaria per trionfare sulle passioni, per esempio l'avarizia (p- 67). «L'umiltà è indispensabile; la si acquisisce meditando sulla grandezza di Dio e sul nostro nulla..., sulla nostra dipendenza da Dio in tutto» (p. 292). Nella meditazione si impara a conoscere la volontà di Dio (p. 314). I santi trovano la loro gioia «nel cantare i salmi con devozione, nel conversare filialmente con Dio, nel pregare, nel meditare su Dio e le sue perfezioni» (p. 355).
«Per mezzo delle buone opere l'uomo dimostra la sincerità del suo pentimento, soddisfa alla giustizia di Dio, paga il debito dei suoi peccati, ripara l'offesa che ha fatto a Dio e il male che ha causato al prossimo, corregge il suo cuore, reprime le sue passioni, radice di ogni male...» (p. 207).
E meglio astenersi dai piaceri, anche leciti, «per avere il merito della rinunzia» (p. 53). E biasimevole cercare «la beatitudine eterna senza fatiche e meriti» (p. 263).
Amare Dio è «tendere ad unirsi a lui per godere della bellezza ideale delle perfezioni divine» (p. 379). Per «vivificare il cuore» è bene «contemplare spesso la mirabile bellezza del cielo..., la bellezza che appare con splendore in tutta la natura...», ma per fare questo bisogna avere «apprezzato la natura secondo la saggia ragione» (p. 354). «Tendere a godere della bellezza di Dio, contemplata nelle perfezioni divine e nei loro riflessi, vale a dire nelle diverse creature, è una virtù essenziale e un bisogno del nostro cuore...» (p. 351).
Fedele alla tradizione dei primi secoli, il vescovo Pietro insiste sulla comunione frequente; «più spesso ci si comunica, meglio è» (p. 227). L'eucaristia è «il simbolo e il mezzo per realizzare la carità fraterna fra tutti i cristiani che, mediante la comunione di un solo pane, diventano un solo corpo del Cristo-capo» (p. 215).
Nella confessione si devono dichiarare al sacerdote non solo i peccati commessi, ma anche «le tendenze dominanti dell'anima, le passioni, le inclinazioni, le abitudini» (p. 210; questa insistenza sul combattimento contro le passioni è caratteristica della pietà ortodossa).
Come tutti i grandi asceti cristiani orientali, il vescovo Pietro tiene alla «sobrietà», alla vigilanza del cuore. Anche durante gli uffizi si deve diffidare dei «sentimenti di tenerezza» che nascono talvolta «quando si ascolta un canto di chiesa armonioso» (p. 180). Andare in chiesa per trovarvi consolazioni sensibili è un «adulterio spirituale».
Fra i teorici dell'alta spiritualità citati dal vescovo Pietro non troviamo Palamas, che tuttavia occupa un posto importante nella Filocalia a cui il nostro autore sospirava volentieri. Come tutti i maestri spirituali sia dell'Oriente che dell'Occidente, egli attribuisce un ruolo fondamentale al raccoglimento delle facoltà dell’anima, sostenuto da atteggiamenti appropriati del corpo, ma diffida dei metodi psicofisici che alcuni consigliano; questi metodi gli sembrano troppo artificiali: «Certi asceti propongono alle persone inesperte nella vita spirituale... un modo artificiale per raccogliere i pensieri: ci si siede in un luogo isolato, si scacciano tutte le preoccupazioni e i pensieri che attraversano la mente, respirando profondamente, si introduce e si trattiene l'intelletto nel cuore, si recita la preghiera di Gesù senza però ripeterla troppo spesso, per non nuocere all'attenzione con l'abbondanza eccessiva delle parole. Questo metodo si addice soltanto alle persone poco colte e sembra essere troppo meccanico. Affinché i nostri pensieri non si disperdano, bisogna pregare con il cuore..., bisogna avere nel cuore il pentimento dei propri peccati e supplicare Dio di accordarci perdono e soccorso» (p. 170).
Citiamo infine questo bei passo, così «orientale» e nello stesso tempo così «occidentale»: «In ogni tempo tutti i santi consideravano come il mezzo più efficace per raggiungere la perfezione il culto della santissima Vergine, Madre di Dio, e l'invocazione del suo soccorso. Essendo vicina al cuore di suo Figlio, ella non teme di chiedere molto a Dio; il suo intervento ha grande forza e grande efficacia; essendo una Madre dal cuore compassionevole e una protettrice particolare della purezza morale, è sempre venuta in aiuto a quelli che ricorrevano alla sua protezione» (p. 177).


Stanislas Tyszkiewicz

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