mercoledì 27 marzo 2019

MAIMONIDE. TESHUVA


RITORNO A DIO. 
Norme della Teshuvà


Teshuvà deriva dalla parola biblica shuvà (radice shùv), ossia ritorno. Un testo tipico: «Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele: Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,15). 
Accoglie tutta la gamma dei significati connessi a shuv: ritornare, rispondere, cambiare vita, pentirsi etc. 


Maimònide (ebr. Mōsheh ben Maimōn; l'abbreviazione con cui è noto, Rambam, è una sigla di Rabbī Mōsheh ben Maimōn; arabo Abū 'Imrān Mūsā b. Maimūn b. 'Abd Allāh). - Filosofo, medico e giurista ebreo (Cordova 1135 - Il Cairo 1204). Il pensiero di M. rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medievale. Nella sua opera Dalāla al-ḥā'irīm("Guida dei perplessi") M. tende a dimostrare (fondandosi su Aristotele) che non esiste un contrasto tra la filosofia razionale e gli insegnamenti della religione, che possono coesistere in un armonico equilibrio (Enciclopedia Treccani)


Capitolo I


Breve sintesi del capitolo I
Il cuore della penitenza consiste nella confessione dei peccati: per ottenere il perdono, è necessario confessarli a Dio. Più la confessione è completa, più ottiene misericordia. 
Atti di culto molto stimati come l'offerta di un sacrificio al tempio avevano valore soltanto se accompagnata dalla confessione. Neppure la sottomissione a pene severe (come la fustigazione) o il risarcimento del danno provocato, otteneva il perdono senza di essa. La stessa espiazione ottenuta mediante il rito del capro espiatorio, non era sufficiente senza la confessione. La confessione del peccati, espressa anche al termine di una vita malvagia, ottiene il perdono, anche se, talora, questo non viene concesso subito ma soltanto in seguito ad una preghiera prolungata. Il giorno del Kippùr (espiazione), quando il popolo intero riconosce i peccati commessi, ottiene il perdono di Dio.
Compare una distinzione tra colpa leggera e peccato grave che prevede il Karet, [il taglio], cioè l'estromissione dalla salvezza. 
Chi ha commesso colpe gravi, confessandole, ottiene la sospensione della pena di morte ma riceve il perdono completo soltanto dopo aver accettato di subire le pene meritate. Per colpe gravissime, il perdono viene concesso soltanto in seguito alla morte del peccatore. 


A. Se si è trasgredito a un qualsiasi precetto della Torà, positivo o negativo che sia, sia intenzionalmente sia per errore, quando si fa ritorno a Dio e si desiste dal peccato, si è tenuti a fare piena confessione delle colpe commesse dinanzi a Dio Benedetto, in ossequio al detto: «Se un uomo o una donna commette un qualsiasi peccato di cui possa macchiarsi un essere umano, faccia confessione del peccato commesso» (Numeri 5, 6-7). E questa confessione dev'essere pronunciata con le proprie labbra. Il confessarsi in questo modo è appunto un precetto positivo della Torà. Come ci si confessa? Pronunciando le parole: «O Signore, ho peccato, ho trasgredito e ho commesso una colpa dinanzi a Te, facendo questo e questo... ed ecco che me ne pento e ho vergogna delle azioni commesse e (prometto che) mai più ricadrò nello stesso peccato». E queste parole rappresentano la parte essenziale della confessione dei peccati. E quanto più uno si dilunga nella confessione rendendola completa ed esauriente, tanto meglio. Perciò [ai tempi del Bet ha-Miqdàsh Casa del Santo = Tempio di Gerusalemme] chi era incorso in peccato o colpa e portava i suoi sacrifici per la colpa commessa per errore o intenzionalmente non veniva assolto ipso facto in forza dei suoi sacrifici, ma solo dopo avere fatto Teshuvà e dopo avere confessato le sue colpe, poiché è detto: «E faccia confessione delle colpe commesse» (Levitico 5, 5). E ancora, chi si era macchiato di colpe per le quali il tribunale aveva emesso sentenza di morte o lo aveva condannato alla fustigazione non veniva assolto in forza dell'esecuzione o della fustigazione se prima non aveva fatto Teshuvà e confessato le sue colpe.
Analogamente chi ferisce o danneggia economicamente, o comunque arreca danno al prossimo, non viene assolto dalle colpe commesse, se pur ha risarcito il danneggiato in proporzione del danno infertogli, finché non confessa la sua colpa e fa Teshuvà col fermo proponimento di non ricadere mai più nel peccato commesso, poiché è detto: «Di qualsiasi peccato di cui possa macchiarsi un essere umano» (Numeri 5, 6).
B.  Per quanto concerne il capro espiatorio poiché questo rappresentava l'espiazione collettiva di tutto Israele, il Kohèn Gadòl [Sommo Sacerdote] pronunciava su di esso la confessione in nome di tutto Israele in ossequio alla prescrizione: «E confesserà su di esso tutti i peccati dei figli d'Israele» (Levitico 16,21).
Questo capro espiatorio [che veniva mandato nel deserto] espiava tutte le colpe elencate nella Torà, sia le lievi che le gravi, sia quelle commesse intenzionalmente, sia quelle commesse per errore, sia quelle nominate dal Kohèn Gadòl, sia quelle non pronunciate esplicitamente. Tutte le colpe venivano espiate dal capro espiatorio, purché il peccatore avesse fatto Teshuvà. Ma se il colpevole non aveva fatto Teshuvà, il capro espiatorio non espiava che le sole colpe lievi. E quali sono le colpe lievi e quali le gravi? Le colpe gravi sono quelle per le quali è prevista la condanna a morte da parte del tribunale o la pena del karèt, nonché il giuramento vano e la menzogna. Anche se per queste due ultime colpe non è prevista la pena del karèt, esse sono considerate colpe gravi. Sono invece considerate colpe lievi le trasgressioni di tutti gli altri precetti, negativi o positivi, purché non comportino la pena del karèt.
C. Ai nostri tempi, in assenza del Bet ha-Miqdàsh [Casa del Santo, Tempio di Gerusalemme] e dell'altare dell'espiazione, non ci rimane che l'istituto della Teshuvà. La Teshuvà espia tutte le colpe. Anche se uno fosse stato malvagio per tutti i suoi giorni e avesse fatto Teshuvà solo all'ultimo momento, non gli si ricorderebbe nulla delle sue trasgressioni passate in ossequio al detto: «E l'empietà del malvagio non lo farà vacillare il giorno in cui rientrerà dal sentiero del peccato» (Ezechiele 33,12) e anche la potenza del giorno di Kippùr è in grado di espiare le colpe di quanti ritornano e fanno Teshuvà com'è detto: «Poiché in questo giorno vi saranno espiate le colpe» (Levitico 16, 30).
D. Pur se la Teshuvà espia tutte le colpe e pur se la potenza del giorno di Kippùr espia, ci sono delle colpe che vengono espiate subito e altre che non vengono espiate se non dopo un certo tempo. In qual modo? Se uno ha trasgredito un precetto positivo, la cui trasgressione non comporta la pena del karèt e ha fatto Teshuvà, non si muove dal posto di preghiera, finché non viene assolto. E di questi trasgressori è detto: «Fate ritorno a Dio, figli indisciplinati, perdonerò le vostre trasgressioni» (Geremia 3, 22). Se uno ha trasgredito un precetto negativo, la cui trasgressione non comporta la pena del karèt, né quella della condanna a morte da parte del tribunale e ha fatto Teshuvà, la Teshuvà ha la forza di sospendere la punizione e il giorno di Kippùr espia la colpa. Di questi trasgressori è detto: «Poiché in questo giorno vi saranno espiate le colpe» (Levitico 16, 30).
Se uno ha commesso una colpa per la quale è prevista la pena del karèt o la condanna a morte da parte del tribunale e ha fatto Teshuvà, la Teshuvà assieme al giorno di Kippùr ha la forza di sospendere la punizione, e le sofferenze nelle quali incorrerà completeranno l'espiazione. Ma non potrà ottenere un'espiazione completa prima di incorrere nelle sofferenze (yissurìm). E di questi trasgressori è detto: «E li colpirò con la frusta per le loro malefatte e con le piaghe per le loro colpe» (Salmi 89, 33).
Ma anche questa punizione non è sempre sufficiente. Lo è quando il peccatore, commettendo la trasgressione, non ha anche profanato il Nome. Se lo avesse fatto, anche se poi ha fatto Teshuvà, se è sopravvenuto il giorno di Kippùr ed egli è sempre un ba'àl teshuvà e se sono sopravvenute anche le sofferenze, con tutto ciò non ottiene un'espiazione completa fino al sopraggiungere della morte. La Teshuvà, il Kippùr e le sofferenze hanno assieme la forza di sospendere la punizione e la morte espia la colpa. E infatti è detto: «E mi è stato sussurrato all'orecchio dal Signore delle Schiere Celesti che mai vi saranno espiate queste colpe prima che moriate» (Isaia 22,14). 




Nella vita cristiana: 

Gesù, con la sua vita d'amore, totalmente obbediente a Dio fino alla morte, è stato l'espiazione dei peccati del mondo intero: «Il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato» (1 Gv 1,7). Il cristiano accetta di accogliere la riconciliazione già creata da Dio: «In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). 


L'accettazione della riconciliazione presuppone la confessione dei peccati: «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Gv 8,9). «Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto potente è la preghiera fervorosa del giusto» (Gc 5,16). «Fratelli, il Signore non cerca nulla da nessuno tranne che si faccia a lui la confessione» (Clemente Romano). «Se, presso i giudici terreni, il [reo] appare nella situazione di uomo inerme e privo di ogni possibilità di difesa, presso Dio si trova ad usufruire di una invincibile risorsa. Il colpevole, infatti, che non può essere salvaguardato da alcuna iniziativa, viene soccorso soltanto da una sincera confessione. Questo [è il dono che] viene concesso ai penitenti: mentre desiderano essere assolti, essi stessi hanno il coraggio di condannare le proprie azioni» (Cassiodoro)


La conversione è ritorno a se stessi e a Dio: «Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te...» (Lc 15,17-18). 
Il ladrone che si pente sulla croce, a conclusione di una vita trascorsa nel peccato, è il simbolo del pentimento e della confessione espiatrice: «E disse:«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,42-43).

Esiste, tuttavia, un peccato che conduce alla morte.  Anania e Saffira espiano la loro colpa con la vita (Cf At 5,1-11). 


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