venerdì 13 ottobre 2023

Lettera ai Filippesi 4

 Capitolo 4

1Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi! 

Fratelli miei carissimi e tanto desiderati! Ricompare il sentimento di grande affetto di Paolo verso i destinatari della sua lettera. I componenti della comunità di Filippi sono discepoli, sono collaboratori, sono il gregge a lui affidato, ma sono soprattutto i suoi fratelli e, perciò, desidera incontrarli. Sono la sua gioia perché, nonostante qualche ricaduta, hanno corrisposto ai suoi desideri rendendosi disponibili ad accogliere il Vangelo. Per lo stesso motivo sono la sua corona, un’immagine che richiama la vittoria ottenuta dopo le sue fatiche “atletiche”, le sofferenze affrontate nell’adempimento della sua missione. Ritroviamo espressioni simili nella prima lettera ai Tessalonicesi: «Chi, se non proprio voi, è la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui vantarci davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia» (1 Ts 2,19). La corona richiama anche la ricompensa celeste: «Ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre» (1 Cor 9,25). 

Rimanete saldi nel Signore, carissimi! L’essenziale per tutti è restare saldi nel Signore, continuare a vivere nella realtà nuova nella quale sono stati inseriti per grazia. Si tratta in un fondo di un’applicazione nuova dell’antico insegnamento del profeta Isaia: se non si resta saldi nel Signore, non si sperimenterà alcuna consistenza (Cf Is 7,9b). Il tralcio, se non resta inserito nel tronco della vite, non darà frutto.

Rimane sempre valida l’allerta lanciata da Girolamo: «Ecco l’avversario fa di tutto per uccidere Cristo nel tuo cuore! (Ecce adversarius in pectore tuo Christum conatur occidere)» (Lettera XIV, 2) 

L’invito alla saldezza, abbastanza frequente, viene rivolto per contrastare lo scoraggiamento di fronte alle difficoltà poiché il regno di Dio si ottiene attraversando molte tribolazioni (Cf At 14,22). Il cristiano si trova, quindi, nella situazione di un soldato arruolato: indossa la corazza della giustizia, lo scudo della fede, la spada della Parola (Cf Ef 6, 14-17). «Ti sbagli, fratello, ti sbagli di grosso se pensi che un cristiano non soffra continuamente persecuzioni. Ti si muove guerra ancor più accanita allorché pensi di non essere combattuto. Ora è la lussuria che mi perseguita, ora l’avarizia…, il ventre vorrebbe farsi il mio dio al posto di Cristo; la libidine mi sollecita a cacciare via lo Spirito Santo che abita in me e a violare il suo tempio» (Girolamo, Lettera XIV,4). La speranza della piena partecipazione alla gloria di Dio, un dono spropositato ed immeritato per la sua vastità, rafforza la solidità del credente (Cf Rm 5,2).

 2Esorto Evodia ed esorto anche Sintiche ad andare d'accordo nel Signore. 3E prego anche te, mio fedele cooperatore, di aiutarle, perché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita.

Aveva già raccomandato i suoi fedeli a pensare in sintonia con il Signore, ossia di vivere come Lui. Ora si rivolge un’esortazione prima ad Evodìa poi a Sintìche insistendo perché vivano in questo modo. Probabilmente s’era creato un certo dissidio tra queste due donne ed allora, in questo caso, vivere conforme a Cristo significa ritrovare la concordia, lo stile di vita normale per chi vive nel Signore. Invita un collaboratore anonimo ad aiutarle a ritrovare l’armonia. 

Parlare ad ogni persona, amichevolmente, era già stato lo stile di vita di Gesù e diventerà regola normale per ogni guida della comunità: «Parla a ciascuno in particolare, come fa Dio; sostieni le infermità di tutti, come un atleta perfetto. Dove c’è più fatica, c’è più guadagno. Tanto più bisogna che noi sopportiamo tutto per Dio, affinché lui pure sopporti noi» (Lettera di Ignazio a Policarpo, 1,3. 3,1). 

Evodia e Sitiche, pur incappate in un fastidioso litigio, non sono cristiane mediocri ma hanno lottato insieme all’apostolo, con grande impegno. Non sono state di meno rispetto ai collaboratori maschi (come Clemente ed altri). Queste donne sono tra le molteplici missionarie del Vangelo che hanno lavorato insieme a Paolo: Febe, Priscilla, Maria, Giunia, Trifena e Trifosa, Perside, Giulia e Olimpas (Cf Rm 16). Sono state vere evangelizzatrici, non delle semplici collaboratrici domestiche. Giovanni Crisostomo, soffermandosi sull’elogio che l’apostolo rivolge a Maria (Rm 16,6), osserva: «Di nuovo Paolo esalta e addita a esempio una donna, e di nuovo noi uomini   siamo sommersi dalla vergogna … ma siamo anche onorati. Siamo onorati, infatti, perché abbiamo con noi donne del genere; ma siamo sommersi dalla vergogna, perché siamo molto indietro al loro confronto. Se apprendiamo, tuttavia, da dove traggono il loro onore, ben presto potremo raggiungerle anche noi. Da dove traggono l'onore? Ascoltino uomini e donne: dai sudori sostenuti per la verità» (Omelia 31,1 PG 60, 668-669).

«Dobbiamo proprio a Paolo un'ampia documentazione sulla dignità e sul ruolo ecclesiale della donna. Egli parte dal principio fondamentale, secondo cui per i battezzati non solo “non c'è né giudeo né greco, né schiavo né libero”, ma paradossalmente neppure “né maschio né femmina”: il motivo è che “tutti siamo uno solo in Cristo Gesù” (Gal 3,28), cioè tutti accomunati nella stessa dignità di fondo, benché ciascuno con funzioni specifiche ( 1Cor 12,7). Ebbene, l’Apostolo ammette come cosa normale che nelle assemblee cristiane la donna possa intervenire a “profetare” (1 Cor 11,5), cioè a pronunciarsi in modo aperto e pubblico sotto l’influsso dello Spirito, purché sia per l'edificazione della comunità; perciò la successiva esortazione a che “le donne nelle assemblee tacciano” (1 Cor 14,34) va piuttosto relativizzata e va compresa […] certo come semplice richiamo concreto al buon ordinamento delle assemblee stesse» (Romano Penna, Battesimo e identità cristiana: una doppia immersione, San Paolo, Milano 2022, 208). 

4Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 

La gioia è il sottofondo permanente della vita cristiana. È la conseguenza dell’amore gratuito di Dio: «L’amore circonda chi confida nel Signore. Rallegratevi nel Signore ed esultate giusti!» (Sal 32,10-11). Questo amore sconfinato si rivela nelle sue grandi opere: «Mi dai gioia, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani» (Sal 92,5). «Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12).

Essa è molto di più d’un sentimento spontaneo o creato da noi ma è frutto dello Spirito (Gal 5,22), il risultato della limpidità di coscienza e della nostra relazione con Dio: «Chi resta fedele alla legge della libertà, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,25). Scaturisce dal perdono e dalla riconciliazione con Dio, l’unico che può ricostruire la nostra persona e la nostra vita, dopo il peccato o nei travagli dell’esistenza: «Fammi sentire gioia e letizia: esulteranno le ossa che ha spezzato» (Sal 51,10). 

5La vostra amabilità sia nota a tutti. 

La gioia interiore affiora nei rapporti esterni come affabilità. Così si manifesta la persona pacificata: «[Antonio], mentre faceva questo [una vita ascetica], non rattristava nessuno, ma anche gli altri avevano gioia di lui… Vedendo questa sua natura, lo chiamavano “colui che ama Dio”. Alcuni lo salutavano come figlio, altri come fratello» (Atanasio, Vita di Antonio, 4,4). «Stando in piedi [Policarpo] pregò pieno della grazia di Dio… e [i soldati] che ascoltavano erano stupiti e si pentivano di essere venuti ad arrestare un anziano talmente santo» (Martirio di Policarpo, 7,3). 

Il Signore è vicino! 

La vicinanza del Signore consiste nella certezza della sua azione futura ma anche della sua presenza attuale. In futuro farà apparire la nuova creazione: «Non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate… Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l'Alfa e l'Omèga, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine. Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all'albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città» (Ap 21,4; 22,12-14). 


6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

La pace piena della vita futura viene anticipata, in maniera parziale, nella fiducia in Dio del credente. Egli sa che può sempre parlare con un Padre, «riversare davanti a Lui il suo cuore» (Sal 62,9); può «affidare a lui il suo peso», per essere da Lui sostenuto (Sal 55,23). Nell’angoscia, unisce il ringraziamento alla sua supplica e, nella relazione con Lui, viene redento dall’ansia (merimna). Viene liberato dalla paura del futuro che può invadere e distruggere chi pensa di dover contare soltanto su se stesso o ha perso la sua fiducia nella paternità di Dio. Questa pace sorprenderà l’amico di Dio  per la sua profondità e vastità. 

«Sprofondiamoci sempre più in questo sguardo di fede, che solo è intelligente e vero. È lo sguardo stesso di Dio. In tutto ciò che egli fa o permette non vede e non vuole altro che il suo amore. Facciamo come lui. Evidentemente le apparenze sono sconcertanti. Il mondo è pieno di male e di odio. Come vedere l'amore in queste manifestazioni? Non lo si vede; lo si crede. Credere è vedere nella luce di Dio; è rimettersi a lui […] Noi abbiamo trovato la nostra vera vita profonda e bisogna restare uniti ad essa. Questa vita profonda è una pace immensa basata sulla fede nell'Amore. Crediamo che l'Amore infinito (senza confini) ci ha visti da tutta l'eternità, ci ha amati, ci ha voluti, ci ha donato l'essere e la vita, ce la conserva, dirige ogni nostro passo, ci avvolge incessantemente e dovunque di una attenzione paterna e materna, e ci offre ad ogni istante tutti i mezzi più sicuri per unirci a lui. Sopprimiamo dal cammino della nostra vita i dubbi, e sostituiamoli immediatamente, appena si presentano, con l’atto di fede nell'Amore. (...) Crediamo questo e avremo la pace, anche quando non sentiremo di averla» (A. Guillerand, cit. in Alla scuola del silenzio, Rubettino, Catanzaro, 59-60.


8In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. 9Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

Il cristiano, liberato dal potere delle tenebre e trasferito nella luce di Dio, coltiva desideri e pensieri in modo conforme alla sua nuova situazione. «Vive con Cristo in Dio» (Col 3,3). Il suo mondo è “celeste”, e per questo si protende a tutto ciò che è nobile ed accoglie ogni forma di bene da qualsiasi parte esso provenga. 

Il bene è sempre creato da Dio: «Ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce» (Gc 1,17).  Da sempre il Signore accompagna ogni generazione, ogni popolo ed ogni uomo perché rimanga nell’ambito della luce: «Tutte le generazioni da Adamo fino ai nostri giorni sono passate, ma coloro che per la grazia di Dio perfetti nella carità, sono nel coro dei beati e questi risplenderanno al sopraggiungere del regno di Cristo. Per riportare anche gli esempi dei pagani, molti re e capi, quando c'era la pestilenza, ammoniti dall'oracolo, si offrirono alla morte, per salvare con il loro sangue i cittadini; molti abbandonarono le proprie città per mettere fine alle sommosse. Sappiamo che molti tra noi si offrirono alle catene, per liberare gli altri molti offrirono se stessi in schiavitù e con il prezzo ho ricevuto diedero da mangiare agli altri» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 50,3 e 55,1-2). 

10Ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi: l'avevate anche prima, ma non ne avete avuto l'occasione. 11Non dico questo per bisogno, perché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. 12So vivere nella povertà come so vivere nell'abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. 13Tutto posso in colui che mi dà la forza. 14 Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.

In questa parte conclusiva della lettera, ringrazia i Filippesi per gli aiuti che gli hanno inviato tramite Epafrodito. L’apostolo è un uomo di profonde relazioni. Egli ama e desidera essere amato. Non si lascia irretire dalla malignità altrui ma ne soffre. Forse stava aspettando da tempo un aiuto da parte dei Filippesi ed ora che esso è giunto, scusa i ritardari: avrebbero voluto soccorerlo da tempo ma nessuno voleva affrontare la pena del viaggio o il rischio di farsi conoscere come amico di una persona sospetta alle autorità. 

I suoi fratelli di Filippi non devono essere troppo preoccupati per sue condizioni di prigioniero perché egli non si è mai lasciato travolgere dagli eventi e ha ridotto al minimo le sue esigenze. Nonostante la sua capacità di autonomia, è ben lieto di poter godere di aiuti che ora lo rinfrancano. Non si mostra più forte di quanto non lo sia realmente e accetta di aver bisogno, come tutti, dell’aiuto di altre persone amiche. È un uomo maturo, capace di soffrire, ma non una fredda macchina da evangelizzazione.

15Lo sapete anche voi, Filippesi, che all'inizio della predicazione del Vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli; 16e anche a Tessalònica mi avete inviato per due volte il necessario. 17Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto. 18Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio. 19Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. 

Ricorda che, in via, normale sceglieva di non farsi mantenere dalle comunità che evangelizzava. Lavorava con le sue mani e si manteneva da sé (Cf At 18,3).  Nessuno, quindi, poteva accusarlo di essere stato uno sfruttatore o di aver adattato il messaggio in base alle preferenze dell'offerente. «Noi non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al vangelo di Cristo» (1 Cor 9,12). 

Gesù aveva permesso che l’apostolo ricevesse un compenso per le fatiche. Anzi, il soccorso anche minimo, come un bicchiere d’acqua fresca, prestato ad un evangelizzatore sarebbe stato molto apprezzato da Dio stesso (Cf Mt 10,42). Paolo non si oppone certo a queste istruzioni, anzi le ribadisce (Cf 1 Cor 9,4-12) ma vuole agire secondo un criterio pastorale scaturito da una generosità spiccata. Il suo vanto è quello di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitogli dal Vangelo (Cf 1 Cor 9,18). Con Gesù condivide l’idea che l’efficacia della predicazione, dipende dallo stile vissuto dall’annunciatore. Mentre ascolta, la gente osserva e soppesa l’autenticità del messaggero. 

Con i Filippesi aveva potuto agire diversamente dal solito perché l’avevano stimato subito senza ombre di dubbio e avevano voluto aiutarlo in modo spontaneo. Se è libero dalla necessità di lavorare, Paolo può donarsi interamente alla sua missione, senza intoppi (Cf At 18,5). 

Paolo non si rallegra soltanto per il valore dei doni ricevuti ma anche perché i suoi amici di Filippi si sono arricchiti, a loro volta, con le loro opere d’amore. Li ha resi ricchi con la sua predicazione ed li arricchisce più ancora nel dare loro l’occasione di aiutarlo. Come aveva già ricordato, il culto più gradito a Dio è una vita santa. Era già un’opinione antica: «Chi osserva la legge vale quanto molte offerte; chi adempie i comandamenti offre un sacrificio che salva. Chi ricambia un favore offre fior di farina, chi pratica l'elemosina fa sacrifici di lode» (Sir 35,1-4). 

Non sollecita i Filippesi ad occuparsi di lui, mentre egli aveva esortato i suoi fedeli a prendersi cura seriamente dei bisognosi. Organizzando una colletta a favore dei poveri di Gerusalemme, così scrive ai Corinzi: «Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,6-7). Dio ricompensa i donatori e li arricchisce perché possano profondersi in altri atti di generosità. 

Nel periodo successivo al tempo degli apostoli, alcuni evangelizzatori scelsero l’itineranza per darsi alla predicazione ma nelle varie Chiese sorse la necessità di discernere i veri missionari da approfittatori disonesti. «Se chi viene è di passagggio, soccorretelo per quanto potete, ma non rimarrà presso di voi se non due o tre giorni. Nel caso invece che voglia risiedere presso di voi, se ha un mestiere lavori e mangi. Se non ce l’ha, provvedete con saggezza per evitare che un cristiano viva presso di voi nell’ozio. Se non vuole comportarsi in questo modo, è uno che traffica con Cristo» (Didaché, 12,1-5). 


20Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
21Salutate ciascuno dei santi in Cristo Gesù. 22Vi salutano i fratelli che sono con me. Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare.
23La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito.

Conferma il monoteismo biblico perché il destinatario ultimo della glorificazione è sempre Dio Padre, dal quale tutto deriva e al quale tutto ritorna. Tuttavia l’amore del Padre oramai raggiunge gli uomini per mezzo della grazia di Gesù (v.23). L’amore di Gesù per noi è un riflesso perfetto di quello di Dio e il Padre può comunicarsi a noi per mezzo del Risorto che ha dato tutto se stesso per noi e continua a servirci secondo il vero modo di essere Dio. 


Il “tachigrafo” (stenografo) aveva scritto sotto dettatura ciò che l’apostolo voleva comunicare e poi l’aveva ricopiato su carta di papiro. A questo punto, Paolo scrive di suo pugno le parole conclusive e in questo modo autentica il suo scritto. L’uso appare evidente alla conclusione della lettera ai Galati: «Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, ora, di mia mano» (Gal 6,11)

Tuttavia non è questa la sua unica precauzione, né riduce il saluto ad una semplice parola augurale (come si faceva a quel tempo) ma coglie l’occasione per favorire la comunione con i destinatari e l’amicizia tra costoro e le altre comunità, come appare nel congedo della lettera ai Colossesi: «Salutate i fratelli di Laodicea e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa. E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi» (Col 4,15-16). 

Con lui ad inviare il saluto ci sono altri fratelli. Alcuni lavorano all’interno dell’amministrazione statale. La menzione è utile per rincuorare: il Vangelo penetra ovunque e l’apparato che sembra solo ostile potrà trasformarsi in una realtà più positiva. 


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