mercoledì 7 dicembre 2011

Lettera agli Ebrei 2

Prologo

Il prologo richiama l'insieme del disegno di Dio. Egli vuole comunicare con gli uomini e, dopo aver inviato molti profeti nei tempi antichi, infine manda sulla terra il suo Figlio Gesù. Nel confronto appare un accento di superiorità del Vangelo rispetto agli annunzi profetici, così come il Figlio è superiore ai profeti. Dopo aver procurato la remissione dei peccati, ha conseguito piena autorità presso il Padre, sedendo alla sua destra.

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,  ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato (1,1-4).

Ripercorriamo i vari suggerimenti del Prologo.
Gli interventi di Dio nella storia umana sono presentati come parole. Il Dio della Bibbia parla agli uomini, entra in comunicazione con loro e moltiplica le occasioni di contatto, nonostante la loro indegnità morale. «Da quando i vostri padri sono usciti dall’Egitto fino ad oggi, io vi ho inviato con assidua premura tutti i miei servi, i profeti; ma non mi hanno ascoltato né prestato orecchio, anzi hanno reso dura la loro cervìce» (Ger 7,25- 28). «"Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme...» (Is 40,1-2).
«Dio provvide alla debolezza degli uomini inviando i profeti, persone da loro conosciute, affinché, se erano pigri ad alzare lo sguardo verso il cielo per conoscere il Creatore, ricevessero un insegnamento da esseri vicini a loro. Gli uomini possono apprendere le cose più importanti più direttamente da altri uomini» (Atanasio, L'Incarnazione del Verbo, III, 12).
In questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio… Gesù pure distingue in modo netto la sua missione da quella di altri inviati; Egli è il Figlio mentre gli altri sono soltanto dei semplici servi. Tuttavia tutti sono stati rifiutati. A Dio è costato caro l'aver cercato di parlare con noi: «Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”» (Mc 12,4-7).
«Ogni parola dei Vangeli è di significato più elevato degli altri insegnamenti dello Spirito, perché in quelli il Signore ci ha parlato per mezzo dei profeti suoi servi, mentre nei Vangeli ci ha parlato di persona (Basilio, Omelia su «In principio era il Verbo», 1). «Che cosa c’è di straordinario che Dio abbia inviato dei profeti ai padri? A noi ha inviato lo stesso Figlio. I profeti non videro Dio, mentre il Figlio lo ha visto. Dio ha parlato in molti modi: Parlerò ai profeti, moltiplicherò le visioni (Osea 12,10). La novità attuale non consiste soltanto nel fatto che prima abbia inviato dei profeti e poi il Figlio, ma soprattutto nel fatto che solo il Figlio abbia visto Dio» (G. Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Ebrei, [da ora OLE] I,3)

Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente.
L'impronta, rispetto all'immagine, riproduce esattamente in rilievo tutti i tratti. Gesù manifesta Dio in modo preciso, autentico; come l’impronta esatta lasciata da un sigillo. Cristo, poi, è colui che «sostiene tutto», che conserva nell’esistenza, non con uno sforzo estremo, ma con la potenza semplice della sua parola. La dichiarazione si ispira ad un passo del libro della Sapienza: «La Sapienza è effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente. È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà» (Sap 7,25- 27).
Altri passi simili: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). «Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose» (Col 1,15).
«Il Verbo coesiste eternamente insieme al Padre, come lo splendore con la luce» (Atanasio, Trattati contro gli ariani, 35,2).

Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

La glorificazione di Cristo viene espressa come insediamento alla destra di Dio secondo l'oracolo del salmo (cf. Sal 109,1), ma la precisazione «nell'alto dei cieli» esclude ogni interpretazione terrena di questo dominio: il Figlio è andato a sedersi nei cieli, non sopra un trono mondano. Il Figlio glorificato è divenuto superiore agli angeli, mediante l'attribuzione a lui di un «nome» eccellente, molto diverso da qualsiasi altro. «Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2,9). Il nome definisce la dignità di una persona, ma anche le sue capacità di relazione (rende possibile la comunicazione tra Dio e noi).
«Cristo, dopo aver realizzato l’economia per noi, siede come Dio con Dio, Signore con il Signore e Figlio col Padre vero, poiché è così per natura, anche se è pensato con la carne» (Cirillo d’Alessandria, Lettera a Valeriano, 11). «Dal momento che Cristo ha compiuto la purificazione dei nostri peccati, conserviamoci puri! Custodiamo la bellezza e lo splendore che ci ha infuso ed evitiamo di offuscarli. Sono i peccati a deturparci, quali il maledire, l’offendere e l’ingannare il prossimo» (G. Crisostomo, OLE, I,3). «Sforzati di divenire irreprensibile figlio di Dio e di entrare in quel riposo, nel quale Cristo è entrato come precursore. Sforzati di essere inscritto nella chiesa dei cieli con i primogeniti, per trovarti alla destra della maestà dell’Altissimo. Sforzati di entrare nella città santa, la Gerusalemme di pace, ove è il paradiso. In che modo potrai essere giudicato degno di questi meravigliosi e beati modelli se non versando lacrime di pentimento?» (Macario, Omelie spirituali (II), 25,7).

Cristo autore della salvezza


L’omileta cerca di consolidare la fede dei cristiani nel ruolo salvifico di Gesù interpretando alcuni passi biblici (soprattutto versetti di salmi) alla luce della sua risurrezione, utilizzando la traduzione in greco della Bibbia (LXX).
Gesù, del quale ha già detto che siede alla destra della maestà (1,3), appare superiore agli angeli. Egli è e opera in qualità di Figlio di Dio, dotato di autorità divina. L’esaltazione del ruolo esclusivo di Gesù serve anche a dare assicurazioni sull’efficacia della sua mediazione sacerdotale: più Gesù è vicino a Dio, più la sua parola d’intercessione a nostro favore diventa efficace.

Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? Ebr 1,5 Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio. Ebr 1,6 Mentre degli angeli dice: Egli fa i suoi angeli simili al vento, e i suoi ministri come fiamma di fuoco, Ebr 1,7 al Figlio invece dice: Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli; e: Lo scettro del tuo regno è scettro di equità; Ebr 1,8 hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di esultanza, a preferenza dei tuoi compagni. Ebr 1,9 E ancora: In principio tu, Signore, hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. Ebr 1,10 Essi periranno, ma tu rimani; tutti si logoreranno come un vestito. Ebr 1,11 Come un mantello li avvolgerai, come un vestito anch’essi saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno fine. Ebr 1,12 E a quale degli angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io non abbia messo i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? Ebr 1,13 Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza? Ebr 1,14

Come prima testimonianza, l’omileta cita un versetto del salmo secondo: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato. L’assicurazione era stata rivolta ad un re d’Israele, contestato e rifiutato dai suoi vassalli. Ogni re, era considerato un figlio di Dio e protetto da lui. Tuttavia la dichiarazione rivolta a Gesù Risorto, acquista un significato nuovo: egli è insediato nel cielo e partecipa all’autorità di Dio. La comunità cristiana, guidata da questo salmo, ha considerato la risurrezione non come un semplice ritorno alla vita e neppure soltanto come l’acquisto di una vita nuova ma come l’atto con cui Gesù era stabilito nel regno in qualità di Signore. Anche san Paolo richiama lo stesso versetto parlando all'assemblea nella sinagoga di Antiochia: «Vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata,  perché Dio l’ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato» (Att 13,32-33). Il fatto della resurrezione permette di focalizzare meglio chi sia il sovrano a cui era destinato questo decreto.
Seconda testimonianza: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio (cf. 2 Sam 7,5-17).
In origine questa promessa era stata assicurata dal profeta Natan al figlio del re Davide. In seguito il discendente di Davide fu considerato il prototipo del Messia, descritto come un re ideale, retto di fronte a Dio (1 Cr 17,3-15). Il salmo 89 ha aggiunto che sarà elevato da Dio su tutti i regnanti della terra (Sal 89, 28-29), quale suo primogenito. Gesù Risorto attua in sé queste prospettive messianiche.
Terza testimonianza: Quando [Dio] invece introduce il primogenito nel mondo [celeste], dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio. Il comando è una citazione di una frase del cantico di Mosè (Dt 32,43 LXX). Nel senso originario,  il sovrano a cui era dovuta l’adorazione degli angeli era Dio. Del resto l’adorazione, espresso nella prostrazione, può essere rivolta solo a Lui (Ap. 22, 8-9). Ora, nel contesto presente, l’invito ad adorare Gesù, presuppone che Egli detenga un’autorità pari a quella di Dio. Il mondo in cui Gesù è introdotto è quello eterno (cf 2,5). La superiorità divina di Gesù sugli angeli è affermata con la massima risolutezza.
«Ecco una prova di superiorità: l'adorazione. Immaginiamo un annunciatore che debba presentare un grande personaggio nella reggia e ordini a tutti gli astanti di prostrarsi al nuovo venuto. L'autore fa lo stesso: presenta il Figlio e ordina a tutti gli angeli di adorarlo. L'atto di adorazione fa chiarezza circa la superiorità di Cristo su qualsiasi angelo, che è come quella di un padrone sul suo servo. Dio si serve degli spiriti per farne dei messaggeri ma del Figlio afferma che Egli possiede un trono eterno. Quale differenza! Gli angeli sono creati, il Figlio è increato» (G. Crisostomo, Commento alla lettera agli Ebrei, III,1).
Quarta testimonianza. Mentre degli angeli dice: Egli fa i suoi angeli simili al vento, e i suoi ministri come fiamma di fuoco, Ebr 1,7 al Figlio invece dice: Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli; e: Lo scettro del tuo regno è scettro di equità; Ebr 1,8 hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di esultanza, a preferenza dei tuoi compagni. Ebr 1,9
Nel salmo 103 i venti e i fulmini sono chiamati messaggeri (o angeli) di Dio. Gli angeli sono, allora, creature poste al suo servizio. Al contrario il Figlio riceve un riconoscimento molto diverso: Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli. Tale dichiarazione, così impegnativa, è presa dal Sal 44 (LXX) ed è rivolta di per sé ad un re d’Israele. Rappresentava, in realtà, un titolo protocollare rivolto al Messia (Is 9,5). Questi, come un tempo Mosè (Es 4,16), faceva le veci di Dio. Applicato a Gesù Risorto il testo acquista una nuova luce: è lui che può agire con la piena autorità di Dio. Inoltre Gesù, lungo il corso della sua vita e nella sua passione, ha amato la giustizia e odiato la malvagità. Per questo, mediante la risurrezione, è stato consacrato da Dio e collocato in un ruolo salvifico esclusivo rispetto a qualsiasi altro uomo autorevole.
Quinta testimonianza: In principio tu, Signore, hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. Ebr 1,10 Essi periranno, ma tu rimani; tutti si logoreranno come un vestito. Ebr 1,11 Come un mantello li avvolgerai, come un vestito anch’essi saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno fine. Ebr 1,12
Nel salmo 101 è detto che Dio, il Creatore, rimane per sempre mentre la creazione intera si dissolverà. Egli può creare un altro mondo, come un uomo cambia vestito. L’omileta attribuisce questo compito a Gesù Signore. Il Figlio, già riconosciuto come Creatore insieme a Dio Padre (1,2), è considerato come Colui che, alla dissoluzione di questo mondo, può dare inizio ad una nuova creazione, quella che lui, da risorto, già conosce ma nella quale vuole introdurre i fratelli e i membri dell’umanità. La risurrezione è stata compresa come un intervento di Dio che collocava Gesù come giudice escatologico e iniziatore di una nuova vita. Il titolo di Signore deve essere compreso nel senso più forte (cf. Fil 2,10-11 e Is 46,22-23). Nulla di simile può essere detto ad un angelo.
Sesta testimonianza: E a quale degli angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io non abbia messo i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza?
Sedere alla destra di Dio significa partecipare al potere di Dio. Già Salomone era stato «scelto per sedere sul trono del regno di YHWH su Israele» (ICr 28,5; cf Cr 29,23). Il significato di tale sessione alla destra, però, cambia completamente quando l'oracolo del salmo viene applicato a Cristo risorto. Questi, infatti, non regna sulla terra ma è assiso alla destra di Dio. Quando gli angeli sono presentati presso Dio, non stanno mai seduti, ma in piedi (cf. IRe 22,19; Is 6,1). Gli angeli non sono destinati al comando ma al servizio verso «coloro che devono ereditare la salvezza», cioè gli uomini scelti da Dio.
In conclusione, in questo paragrafo, l'autore della lettera ha espresso l'aspetto divino del nome di Cristo risorto e ha dimostrato la sua infinita superiorità sugli angeli. Cristo è Figlio di Dio, il primogenito, creatore del cielo e della terra, giudice escatologico, Signore presso Dio. Di nessun angelo si può affermare qualcosa di simile. Persuasi della sua regalità divina possiamo rivolgergli questa invocazione:
«Signore Gesù, Verbo incarnato, non vedo la tua divinità, ma poiché tuo Padre mi ha detto: Questo è il mio Figlio diletto, io lo credo, e perché credo, voglio sottomettermi interamente a te, corpo, anima, giudizio, volontà, cuore, sensibilità, immaginazione, tutte le energie; voglio che si compia in me la parola del salmista: tutto è stato posto sotto i tuoi piedi. Voglio che tu sia il mio capo, e il tuo Vangelo sia la mia luce, la tua volontà sia la mia guida; non voglio pensare in modo diverso da te, perché sei la verità infallibile, né agire fuori di te perché sei la mia gloria, né fuori della tua volontà, perché sei la sorgente della vita. Possiedimi interamente per mezzo del tuo Spirito per la gloria del Padre celeste! » .
Per mezzo di quest'atto di fede noi poniamo il fondamento stesso della nostra vita spirituale. E se quest'atto è rinnovato frequentemente allora Cristo, come dice S. Paolo «abita nei nostri cuori» cioè regna in modo stabile, da padrone, da re, nelle anime nostre e, diventa in noi, per mezzo del suo spirito, il principio della vita divina. Rinnoviamo dunque spesso questo atto di fede nella divinità di Gesù, perché ogni volta che lo facciamo, assicuriamo, consolidiamo il fondamento della nostra vita spirituale e lo rendiamo poco a poco irremovibile (Colomba Marmion, Parole di vita, pag 210).
L’omileta interrompe la sua riflessione sulla grandezza divina di Cristo per esortare i suoi ascoltatori ad accogliere la sua opera di salvezza. Se Dio aveva già dato molta importanza alla sua Parola trasmessa a Mose mediante il ministero degli angeli, tanto più dà valore alla nuova rivelazione avvenuta per mezzo del Figlio.

Per questo bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo ascoltato, per non andare fuori rotta. Ebr 2,1 Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, Ebr 2,2 come potremo noi scampare se avremo trascurato una salvezza così grande? Essa cominciò a essere annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro che l’avevano ascoltata, Ebr 2,3 mentre Dio ne dava testimonianza con segni e prodigi e miracoli d’ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà. Ebr 2,4

La salvezza realizzata Da Cristo possiede un valore enorme ed è insensato trascurare un dono così grande. Piuttosto è opportuno dedicarsi con grande impegno al messaggio udito (Cf. 2 Pt 3,15-17).
L’omileta accenna anche alla successione apostolica: la Parola cominciò a essere annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro che l’avevano ascoltata. Clemente annuncia la stessa verità ai suoi fedeli di Roma: «Gli apostoli hanno ricevuto per noi la buona novella da parte del Signore Gesù; Gesù il Cristo è stato inviato da Dio. Il Cristo viene da Dio e gli apostoli dal Cristo: le due cose sono procedute dal volere di Dio. Gli apostoli, avendo ricevuti istruzioni, rassicurati per mezzo della risurrezione del Signore Gesù Cristo, fermi nella parola di Dio con la pienezza dello Spirito Santo, andarono ad annunciare la buona novella. Predicando per campagne e città, stabilivano le loro primizie, provandole nello Spirito, come episcopi e diaconi dei futuri credenti» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 42, 1-4).


Gesù, il fratello degli uomini

Conclusa l’esortazione, l’omileta riprende l’argomento della superiorità di Gesù sugli angeli ma ora comincia a parlare anche della sua solidarietà con gli uomini. Cristo, che ora vive nella gloria divina, ha conosciuto in precedenza una situazione d'inferiorità rispetto agli angeli; ha sofferto e provato perfino l’esperienza della morte. Anzi, «la tesi fondamentale sostenuta da questi versetti è che Gesù è stato glorificato proprio perché è stato solidale con [noi] fino alla morte» (Manzi 1516)

Non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. Ebr 2,5 Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi o il figlio dell’uomo perché te ne curi? Ebr 2,6 Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato Ebr 2,7 e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Ebr 2,8 Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Ebr 2,9

Il predicatore attinge la sua riflessione dal salmo ottavo e parla del mistero pasquale di Gesù basandosi su questo testo. Nel suo significato immediato, il salmo parla della vocazione dell'uomo al dominio universale sul creato (cf. anche Sap 9,2-3), solo in parte realizzato. L’uomo infatti domina sulle creature del mondo ma spesso viene travolto dalle forze della natura. Il salmo, poi, accenna ad un contrasto tra abbassamento e glorificazione: l'uomo è inferiore agli angeli ma superiore a tutte le altre creature.
Alla luce del mistero di Cristo, le espressioni del salmo si rivelano profetiche e corrispondono alle due fasi di questo mistero, che si sviluppa dall'abbassamento dell'incarnazione fino alla morte in croce, alla glorificazione della risurrezione: quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto. Gesù è stato coronato di gloria a motivo della morte che ha sofferto; è stato il suo abbassamento solidale a procurargli la glorificazione. La morte di Gesù, poi, non ha un risultato glorioso per lui soltanto, ma per tutti: per la grazia di Dio egli ha provato la morte a vantaggio di tutti. Ecco fino a qual segno è giunto con la sua solidarietà!
La vocazione dell'uomo al dominio universale ha trovato quindi il suo compimento nel mistero pasquale di Cristo. Ciò che il salmo annuncia riguardo ad ogni uomo, ha trovato riscontro reale nell’uomo Gesù. Questo fatto infonde la certezza che anche ciò che riguarda il dominio universale di Cristo si realizzerà, anche se al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa.
«Motivo sicuro di fede per sperare nella deificazione della natura umana ci è dato dall'incarnazione di Dio, che fa dio l'uomo, nella misura in cui Dio si è fatto egli stesso uomo. Egli, che si è fatto uomo senza il peccato, divinizzerà la natura, - senza trasformarla in natura divina — e tanto la innalzerà quanto egli stesso per l'uomo si è abbassato» (Massimo il Confessore, Capitoli vari, I, 62).
Dopo aver parlato del mistero pasquale in termini tradizionali, l'autore espone lo stesso evento mettendo a fuoco con più precisione la nuova categoria che sta valorizzando: il sacerdozio (2,16). È una funzione che esalta la solidarietà di Gesù. Seguiamo la sua esposizione.

Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Ebr 2,10 Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, Ebr 2,11 dicendo: Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi; Ebr 2,12 e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato. Ebr 2,13

Un primo elemento: Dio invia a noi un pioniere della nostra stessa umanità. Volendo condurre molti figli alla gloria, dopo averli risollevati dall'abisso del male e del peccato, invia un pioniere che condivida la loro situazione, apra loro una via d'uscita e li conduca fuori al suo seguito.
Gli uomini avevano bisogno di una trasformazione morale personale per mezzo di sofferenze. La fedeltà a Dio comporta la sofferenza (vedi ad esempio il caso di Giuseppe; l’essersi rifiutato alle pretese della moglie del governatore gli ha causato l’imprigionamento) ma essi non erano in grado di assumersi un tale impegno, in modo perfetto. Bisognava quindi che vi si sottomettesse il pioniere, anche se personalmente non ne aveva alcun bisogno. Affiora così il principio di solidarietà. Per poter trasmettere la santità agli uomini peccatori, «colui che santifica», cioè Cristo, deve essere membro della stessa razza, altrimenti non ci sarebbe stata una comunicazione diretta della sua santità. Il suo impegno di fedeltà a Dio vale per tutti ed ottiene per loro la perfetta comunione con Dio.
Secondo elemento: Gesù non partecipa alla nostra umanità da privilegiato, ma diventa in tutto simile a noi, condividendo anche gli aspetti più dolorosi della nostra esistenza. La sua solidarietà è effettiva e radicale.

Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, Ebr 2,14 e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Ebr 2,15 Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Ebr 2,16 Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Ebr 2,17 Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova. Ebr 2,18

L'Antico Testamento non pensava di esigere dal sommo sacerdote una misericordia particolare verso gli uomini. In genere il sacerdozio implicava una netta separazione tra la sfera sacra, alla quale il ministro apparteneva, e la sfera profana, comune a tutti. Cristo, invece, è effettivamente diventato simile in tutto ai suoi fratelli, proprio per avere sofferto egli stesso ciò che tutti soffrono. La sua esperienza personale gli da la capacità di comprendere quelli che sono nella prova e fornire loro un aiuto adatto ai loro bisogni.
Gesù appare così misericordioso e degno di fede (ossia affidabile), misericordioso verso gli uomini; affidabile davanti agli occhi di Dio.
Riprendiamo alcuni suggerimenti del testo:
Per il timore della morte eravamo soggetti a schiavitù. «Non solo si affligge, l’uomo, al pensiero dell’avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo; ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre. Il germe dell’eternità che porta in sé, insorge contro la morte. Dio chiama l’uomo a stringersi a Lui con tutta intera la sua natura in una comunione perpetua con l’incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l’uomo dalla morte mediante la morte. E ciò non vale soltanto per i cristiani ma anche per tutti gli uomini nel cui cuore lavora la grazia. Lo Spirito Santo da a tutti la possibilità di venire a contatto col mistero pasquale» (Gaudium et spes 18.22).
«Che significa rendersi in tutto simile ai fratelli? Significa che Cristo è nato, che ha affrontato la crescita, che ha sofferto ciò che doveva soffrire, che è morto. Dopo aver parlato della grandezza del Cristo, parla della sua solidarietà misericordiosa, con un linguaggio diretto e fermo. Lui che è così grande, Splendore di gloria divina e Impronta della sua sostanza, Lui che ha formato i mondi, ha accettato, ha fatto tutto il possibile per diventare in tutto nostro fratello. Pensate ai benefici che ci ha procurato: ha distrutto la morte, ci ha affrancati dalla tirannia del demonio, ci ha fatto l’onore di diventare nostro fratello e ci ha arricchiti di moltissimi doni» (G. Crisostomo, OLE, V,1).
«Cristo ora conosce bene i nostri dolori; non li conosce soltanto da fuori, come Dio, ma per l’esperienza che ne ha fatto come uomo. In seguito alle sue numerose sofferenze, ha imparato a condividere i nostri dolori. Il corpo di Cristo è stato soggetto al dolore. Sa che cosa significhi patire, che cosa significhi passare attraverso la prova. Lo sa come lo sappiamo noi, poiché lo ha provato anche Lui» (G. Crisostomo, OLE, V,2).
A conclusione di questa parte, possiamo formularci una domanda: quale presentazione esprime in modo migliore il mistero di Cristo quella regale o quella sacerdotale? Il messianismo regale era quello più apprezzato ma era più politico che religioso. Cristo è re in un modo che supera l'idea abituale di dominio regale e il suo agire corrisponde piuttosto alla nozione di sacerdote. La passione di Cristo è stata necessaria perché egli fosse reso pienamente solidale con tutti gli uomini, con i più poveri, mentre la glorificazione celeste  è stata necessaria per assicurare alla sua natura umana una relazione perfetta e inamovibile con Dio. Così i nostri peccati sono stati cancellati.


Esortazione

Gesù è superiore a Mosè (3,1-6)

Finora l’omileta ha richiamato due aspetti essenziali del sacerdozio di Cristo: è il Figlio che regna con Dio ma è anche la guida che ha accettato di diventare in tutto simile a noi ed è in grado di venire in nostro aiuto. Egli desidera che i suoi ascoltatori cristiani si affidino lui e lo considerino degno della loro totale fiducia. Cristo merita il credito che gli ebrei davano a Mosé e molto di più. Comincia, allora, una lunga esortazione che ha come riferimento il cammino del popolo d’Israele dall’Egitto alla terra promessa. Dapprima l’omileta elabora un confronto tra le due guide, Mosé e Cristo, poi tra gli ebrei e i cristiani.

Perciò, fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo, Ebr 3,1 il quale è degno di fede per colui che l’ha costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. Ebr 3,2 Ma, in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. Ebr 3,3 Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. Ebr 3,4 In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi. Ebr 3,5 Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo. Ebr 3,6

Ora nella Chiesa si sta realizzando un nuovo Esodo, un cammino verso Dio nella libertà. Gesù è stato stimato da a Dio, come lo fu Mosé (cf. Nm 12, 7-8). Gesù tuttavia merita un credito molto più grande perché è il Costruttore della casa mentre il profeta faceva parte della casa, ossia del popolo. Parlando con più precisione, il Costruttore (o Creatore) è Dio; Gesù è costituito sopra il popolo (la casa) in qualità di Figlio. Noi, se rimaniamo uniti a lui, formiamo la casa o il popolo di Cristo.
L’atto di costruire la casa non allude alla creazione del mondo ma alla edificazione del popolo di Dio. Come Gesù ha creato il mondo insieme con il Padre, così ora crea noi suo popolo, collaborando con Lui, in qualità di Figlio.

«Al tempo della Legge, Mosé era chiamato salvatore di Israele, perché l’aveva fatto uscire dall’Egitto; ora, il vero liberatore, il Cristo, penetra nei recessi del cuore e lo libera dall’Egitto tenebroso e dall’amara schiavitù» (Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II) 11,6).
L’omileta «mostra Mosè tra i servitori, mentre chiama Dio e Signore colui che è nato da una donna, cioè Cristo. Si consideri come gli riconosca i limiti dell'umanità e gli attribuisca l'altezza della gloria superna e della dignità divina. Dicendo Sacerdote e Apostolo, e ribadendo che è divenuto fedele a colui che lo ha fatto, dice che è stato onorato più di Mosè, nella misura in cui chi ha costruito una casa ha un onore maggiore della casa; e poi continua: Ogni casa è fabbricata da qualcuno, ma chi ha costruito ogni cosa è Dio. Quindi il divino Mosè è stato posto tra le opere e le cose fabbricate, mentre Cristo è indicato come il fattore di tutto. In verità è di Dio che si dice che fa ogni cosa. Quindi egli è indubitabilmente anche Dio vero. Mentre Mosè è come il ministro fedele in tutta la casa, Cristo invece è come Figlio a capo della sua casa, e noi siamo la sua casa» (Cirillo di Alessandria, Lettere ai monaci, 22).

La parola di Dio giudica gli uomini (3,7-17)

L’omileta, dopo aver messo a confronto Gesù con Mosé, mette a confronto la comunità degli antichi ebrei con il popolo cristiano. Per fare questo si ispira al messaggio del salmo 94:

Per questo, come dice lo Spirito Santo: «Oggi, se udite la sua voce, Ebr 3,7 non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto, Ebr 3,8 dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant’anni le mie opere. Ebr 3,9 Perciò mi disgustai di quella generazione e dissi: hanno sempre il cuore sviato. Non hanno conosciuto le mie vie. Ebr 3,10 Così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo». Ebr 3,11 Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. Ebr 3,12 Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura questo oggi, perché nessuno di voi si ostini, sedotto dal peccato. Ebr 3,13 Siamo infatti diventati partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda fino alla fine la fiducia che abbiamo avuto fin dall’inizio. Ebr 3,14

Il popolo d’Israele viene rimproverato per la mancanza di fede. (La generazione che uscì dall’Egitto non riuscì ad entrare nella terra, eccetto Giosuè e Caleb; cf. Nm 14,30). I cristiani, tuttavia, corrono lo stesso rischio; si trovano di fronte alla terra promessa (ossia la vita eterna) e sono sul punto di entrarvi: riusciranno a varcare il confine o si ritrarranno nel dubbio proprio nel momento decisivo?
Il salmo si conclude di per sé in modo negativo, ma l’omileta sollecita gli ascoltatori lasciando aperta la speranza: l’oggi di Dio non è tramontato ed Egli rinnova la sua proposta.
Riprendiamo alcuni suggerimenti di questa sollecitazione premurosa.
«Quando il Signore dice oggi, a te si rivolge, a te parla. Non per quarant’anni soltanto Dio è stato vicino a te ma per tutto il tempo della vita ha dimostrato di battersi per la tua salvezza» (Pier Crisologo, Omelie, XLVI, 8).
Dobbiamo esortarci a vicenda ogni giorno. «Chi ha la possibilità di dire una parola utile e non lo fa con generosità, non rimarrà impunito. Quanta responsabilità hanno quelli che potendo aiutare gli infelici unendo le proprie forze alle loro, non vogliono partecipare ai loro sforzi! Sei stato salvato da Dio, salva anche tu. È un impegno che Dio ha assegnato a tutti, superiore ad ogni altra impresa. Nulla invero dimostra tanto la benignità e la bontà del Creatore verso di noi quanto l'aver lasciato le novantanove pecorelle per cercare quella smarrita. Per questo anche tu, cerca di mostrare tutto il tuo amore, pregando per coloro che sono carichi di peccati» (Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso, 217).
L’omileta, poi, continua la sua pressante esortazione. Con una serie di domande retoriche (16-19), il predicatore mette a fuoco il problema nella sua evidenza: gli ebrei non poterono ottenere il dono della terra a causa della loro mancanza di fede (3,19).

Quando si dice: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, Ebr 3,15 chi furono quelli che, dopo aver udito la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè? Ebr 3,16 E chi furono coloro di cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto? Ebr 3,17 E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano creduto? Ebr 3,18 E noi vediamo che non poterono entrarvi a causa della loro mancanza di fede. Ebr 3,19

Negli scritti di san Paolo, riscontriamo una preoccupazione analoga: «Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere» (1Cor 10, 11-13).
Secondo Macario l’egiziano, noi ci arrestiamo nel cammino di fede quando non crediamo più nella possibilità di entrare nella terra promessa, ossia nella vita nuova apertaci dal Signore: «Gli uomini che ritengono impossibile la nuova creazione del cuore puro, operata dallo Spirito, sono paragonabili agli israeliti che non entrarono nella terra promessa per incredulità. La terra promessa, infatti, era un’immagine per significare la libertà dalle passioni, come risultato dell’osservanza dei comandamenti» (Macario l’egiziano, Parafrasi…, 31).

Il riposo promesso al popolo di Dio (4,1-5)

Il confronto tra il popolo d’Israele e la comunità cristiana prosegue sul tema del riposo. Nel linguaggio biblico riposo viene adoperato in tre significati: corrisponde alla terra promessa ove Israele si riposa dalla peregrinazione precedente e gode dei frutti del suolo; allude al riposo di Dio al termine della creazione; richiama la beatitudine della vita eterna. Il predicatore ritiene che i cristiani non siano più interessati al possesso della terra ma annuncia che possono partecipare al riposo o alla beatitudine stessa di Dio nella vita eterna.

Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. Ebr 4,1 Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. Ebr 4,2 Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto: Così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo! Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. Ebr 4,3 Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere. Ebr 4,4 E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! Ebr 4,5

Poiché dunque risulta che alcuni entrano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, Ebr 4,6 Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori! Ebr 4,7 Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno. Ebr 4,8 Dunque, per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico. Ebr 4,9 Chi infatti è entrato nel riposo di lui, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie. Ebr 4,10 Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza. Ebr 4,11

Ebrei e cristiani hanno udito entrambi un vangelo, l’annuncio di un dono mirabile e gratuito. La maggioranza del popolo non seguì quei pochi che ebbero fede (Nm 13-14). Dio però non promette a vuoto. Nonostante il rifiuto degli uomini, continua a promettere dei beni rilevanti e, al posto della terra, offre ai cristiani la possibilità di partecipare al suo riposo (ossia nella vita eterna). La posta in gioco è elevata e perciò, in caso negativo, si subirebbe una perdita ancora più consistente.
Offre ora ai credenti in Cristo la possibilità reale di godere del suo riposo, quello di cui la Bibbia parla al termine del racconto sulla creazione (Gen 2,2). La proposta permane anche al presente. Noi, allora, dobbiamo affrettarci per entrare in quel riposo (4,11), superando ogni forma di disobbedienza. Per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico al presente e nel futuro:
…quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono: «Chi confida di poter riposare nei piaceri di inganna a causa delle frequenti perturbazioni e a volte accade che proprio alla fine si convince di aver posto il fondamento della sua pace sulla sabbia. Chi, invece, pervaso da Spirito Santo, ha preso su di sé il giogo dolcissimo dell’amore del Signore, anche al presente gode di una qualche anticipazione del riposo futuro» (Beda, Omelie sul Vangelo, II, 17). Il cristiano può entrare nel riposo rappresentato dalla nuova creazione e infine dalla vita eterna: «Se non ho sterminato le genti che sono in me, ossia i vizi, non entrerò a riposare nel santuario di Dio, né diverrò partecipe della gloria del re. Sforzati di divenire irreprensibile figlio di Dio e di entrare in quel riposo, nel quale Cristo è entrato come precursore» (Cf. Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II), 25,7).
Affrettiamoci a entrare in quel riposo: «Dammi, Signore Gesù, di trovare quiete in te. In te, al di sopra di ogni creatura, di ogni bene e di ogni bellezza; al di sopra di ogni gloria ed onore, potere e autorità; al di sopra di tutto il sapere, il più penetrante; al di sopra di ogni ricchezza e capacità; al di sopra di ogni letizia e gioia; infine, al di sopra degli Angeli, degli Arcangeli e di tutto ciò che non sia tu, Dio mio. Qualunque cosa tu mi dia, che non sia te stesso, è ben poco e non mi appaga. In verità, il mio cuore non può realmente trovare quiete, e totale soddisfazione se non riposi in te» (Imitazione di Cristo III, 21).
«Signore Dio, poiché tutto ci hai fornito, donaci la pace, la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto. Tutta questa stupenda armonia di cose assai buone, una volta colmata la sua misura, è destinata a passare. Ma il settimo giorno è senza tramonto. L'hai santificato per farlo durare eternamente. Il riposo che prendesti al settimo giorno è una predizione che ci fa l'oracolo del tuo Libro: noi pure, dopo compiute le nostre opere, buone assai per tua generosità, nel sabato della vita eterna riposeremo in te. Anche allora sarai tu a riposare in noi, come ora sei tu a operare in noi. Tu, Bene mancante di nessun bene, riposi eternamente, poiché tu stesso sei il tuo riposo» (Agostino, Confessioni, XIII, 35-38).
Il tema del riposo si conclude con un pensiero sul giudizio di Dio che ci può ammettere alla comunione con sé o respingerci lontano da lui.

Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Ebr 4,12 Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto. Ebr 4,13

La Parola di Dio, trasmessa prima dai profeti e poi dal Figlio è viva, ossia agisce nei credenti (cf 1 Ts 2,13). Cristo, con il suo sguardo, può penetrare nelle profondità del nostro cuore e valutarci in modo corretto. Nessun uomo può sottrarsi allo sguardo e alla valutazione veritiera del Figlio di Dio.
«La sua ira non è infruttuosa, bensì, come la sua Parola corregge, così anche la sua ira corregge. Quelli che non sono stati corretti dalla Parola, li corregge con l’ira ed è necessario che Dio si serva di quella che è chiamata ira come si serve di quella che è chiamata Parola. La sua Parola non è davvero tale come la parola di tutti: di nessuno infatti la Parola è un Vivente, di nessuno la Parola è Dio, di nessuno la parola era in principio presso Dio» (Origene, Omelie su Geremia, XX, 1).


Cristo sommo sacerdote

Gesù costituito sacerdote di Dio (4,14-5,3)

Conclusa la lunga e pressante esortazione, l’omileta riprende a parlare del sacerdozio di Gesù. Inizia così una esposizione completa sull’argomento che abbraccia gran parte della lettera (4,14-10,18). Un posto significativo della sua riflessione sarà tenuto dal confronto con la figura di Melchisedek.
Come prima qualità, mette in risalto la sua solidarietà a cui aveva già accennato.

Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Ebr 4,14. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Ebr 4,15 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno. Ebr 4,16 Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Ebr 5,1 Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. Ebr 5,2 A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Ebr 5,3

Gesù è salito fino al cielo ma non è assente da noi, non è diventato estraneo alla nostra esistenza. Nell'Antico Testamento Dio si prendeva cura della sofferenza del popolo ma stando sempre al di fuori, dall'alto. In Gesù invece Dio ha sperimentato il dolore umano dall'interno e questa esperienza gli ha lasciato, per così dire, un ricordo indelebile.
Egli è stato come noi ma non ha vissuto l'esperienza del peccato. La sua innocenza lo ha reso meno uomo? L’onestà rende meno uomini? Al contrario, proprio per poter essere integralmente uomini, dobbiamo essere puri di cuore. Il peccato diminuisce la nostra umanità proprio perché rompe la solidarietà tra noi. Il peccatore accusa Dio e i fratelli, ponendosi in antagonismo con loro.
Grazie alla totale solidarietà di Gesù, ora possiamo entrare in dialogo con Dio stesso. Il suo trono non è più soltanto un seggio di santità temibile ma un trono di grazia.
«Se patì per noi, come potrebbe dimenticarsi di noi? Come non sarebbero sempre davanti ai suoi occhi coloro per i quali fu confitto in croce?» (Cirillo d’Alessandria, Commento sul profeta Isaia, IV, 4)
Il predicatore, poi, accenna alla giusta compassione del sacerdote. Nell'Antico Testamento non era evidenziata affatto la solidarietà del sacerdote verso i peccatori. Si insisteva sul fatto che i sacerdoti stavano soprattutto dalla parte di Dio e in alcuni casi era stati molto severi verso i peccatori. I sacerdoti migliori provano una giusta compassione ma Gesù prova una totale compassione.
«I sacerdoti antichi non si preoccupavano di usar misericordia verso chi avesse mancato per negligenza. Cristo invece si è fatto pontefice misericordioso. Egli non solo pretese dagli uomini nessuna pena in riparazione dei peccati, ma anzi li giustificò mediante la grazia e la misericordia» (Cirillo d'Alessandria, Discorsi pasquali, 26,3)
Dopo aver parlato del sentimento di solidarietà e di compassione di Gesù, l’omileta spiega in che modo abbia esercitato la sua solidarietà e in quale maniera abbia ottenuto l’ufficio sacerdotale.

Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Ebr 5,4 Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì Ebr 5,5 come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek. Ebr 5,6 Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Ebr 5,7 Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì Ebr 5,8 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, Ebr 5,9 essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek.

Il sacerdote non può pretendere la funzione sacerdotale ma riceverla in dono da Dio. Aronne era stato designato sacerdote da Dio. Neppure Gesù osò assumere questo titolo ma accolse il conferimento da parte del Padre. L'autore cita due salmi a conferma. Il primo proclama la dignità filiale di Gesù: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato (Sal 2). Il secondo attesta anche la sua dignità sacerdotale: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek (Sal 109). Non sono due titoli estranei tra loro. Il fatto che Gesù sia Figlio e possieda una relazione profonda ed intima con il Padre lo rende capace di intercedere per noi nel modo più efficace possibile.
In che modo Gesù è diventato o è stato designato come sacerdote? Durante la sua passione, provando una situazione d’angoscia, ha pianto e supplicato Dio che poteva salvarlo dalla morte. La passione di Cristo è anche una preghiera intensa, un'offerta di domande e suppliche. Ogni sommo sacerdote viene costituito tale per offrire, e Cristo ha offerto delle domande. Ogni preghiera autentica è al tempo stesso un'offerta, nel senso che si accompagna sempre a una disponibilità ad accogliere la soluzione voluta da Dio. Gesù, allora, non ha offerto soltanto preghiere ed invocazioni ma la sua sottomissione a Dio, o meglio un pieno abbandono a lui.
«Nell'angoscia della morte imminente, Gesù prova l'intenso desiderio, molto umano, di esserne liberato. Assume questo desiderio e lo presenta a Dio in una preghiera di supplica, ma con profondo rispetto di Dio, cioè senza pretendere di imporre qualcosa a Dio, lasciando a lui, al contrario, la scelta della soluzione. Il seguito degli eventi ha mostrato che la volontà di Dio è consistita nel dare a Gesù la forma di esaudimento più perfetta: la vittoria sulla morte, completa e definitiva, per mezzo della morte stessa» (Vanhoye).
Gesù pregò dicendo: se è possibile, passi da me questo calice (Mt 27,53): «Egli in realtà voleva ciò che rifiutava, ma era proprio del Verbo il volerlo (era venuto per questo), mentre il timore era proprio della carne. Il Verbo unì il proprio volere alla debolezza umana per far scomparire anche questa e rendere l’uomo coraggioso di fronte alla morte. Con la sua presunta viltà, ha reso gli uomini coraggiosi e privi di timore. Dal coraggio dei martiri appare chiaro che non era la divinità a temere, ma che il Salvatore stava eliminando la nostra viltà» (Atanasio, Trattati contro gli ariani, 57,1).
Gesù, in questo modo, impara ad obbedire. Da sempre aveva vissuto un atteggiamento di perfetta adesione alla volontà di Dio. Tuttavia un conto è nutrire una disposizione di docilità e un altro vivere in concreto l'obbedienza come virtù provata. La disposizione preliminare diventa una virtù concreta quando sono affrontate e superate delle dure prove. In questo senso ha imparato l’obbedienza.
Inoltre, grazie al suo pieno abbandono, Gesù è diventato causa di salvezza eterna. Nella passione di Cristo la natura umana è stata rinnovata in modo totale. Prende origine un uomo nuovo, che corrisponde perfettamente all'intenzione divina, perché ha accettato di imparare l'obbedienza nel travaglio del dolore.
«Cristo diede se stesso come esempio e per suo mezzo all’uomo è possibile pervenire alla misura dell’età adulta e alla perfezione dello Spirito. Per dare questo esempio il Verbo di Dio viene tentato dal Maligno, per divina disposizione. Sopporta oltraggi, disprezzi e violenze, indicando quale disposizione dobbiamo mostrare a coloro che ci disprezzano e ci infliggono la morte. L’uomo sia come sordo e muto che non apre la bocca. Conficcato alla croce con i chiodi, gridi con forte grido a Colui che può salvarlo da morte e dica: purificami dai miei peccati. Allora, divenuto immacolato, trova Colui che gli ha sottomesso tutte le cose e regna e riposa con Cristo» (Cf. Macario l’egiziano, Parafrasi…, 50)

Adulti nella fede (5,11 – 6,3)

L’omileta ha cominciato ad esporre l’argomento che gli sta più a cuore: Gesù è sacerdote al mondo di Melchisedek. Tuttavia teme che i suoi ascoltatori non riescano a seguirlo; teme che rimangano ancora bambini, incapaci di recepire le profondità del messaggio che sta svolgendo con fervore.

Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire. Ebr 5,11 Infatti voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ebr 5,12 Ora, chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Ebr 5,13 Il nutrimento solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male. Ebr 5,14 Perciò, lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è completo, senza gettare di nuovo le fondamenta: la rinuncia alle opere morte e la fede in Dio, Ebr 6,1 la dottrina dei battesimi, l’imposizione delle mani, la risurrezione dei morti e il giudizio eterno. Ebr 6,2 Questo noi lo faremo, se Dio lo permette. Ebr 6,3

Come ci sono due età della vita (infanzia e maturità), ci sono due alimenti, latte o cibo robusto. Anziché parlare degli stessi argomenti, paragonabili al latte, vorrebbe poter offrire un alimento nutriente, capace di sostenere persone adulte.
Paolo, a sua volta, aveva vissuto la stessa difficoltà: «Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali. Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?» (1Co 3, 1-3) «Prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio» (Fil 1,9-11).
La tradizione spirituale riprenderà volentieri il tema della crescita e del passaggio attraverso varie età: «La manna data a Israele nel deserto è il Verbo di Dio che basta a ogni spirituale diletto di quelli che lo mangiano, che assume ogni gusto, secondo il diverso desiderio di quelli che lo mangiano. Perciò, per chi è stato generato dall'alto mediante lo Spirito [ed è ancora principiante], diviene [soltanto] puro latte spirituale; per chi è debole, diviene erbaggi che riconfortano nella lotta contro le passioni; a chi, grazie all'abitudine, ha i sensi dell'anima esercitati al discernimento del bene e del male, offre cibo solido. Il Verbo di Dio ha infinite altre potenze che non possono essere qui contenute. Ma se uno, una volta sciolto dalla vita, è divenuto degno [di grandi ricompense], afferrerà tutte o alcune delle potenze del Verbo, per il fatto di essere stato qui fedele nel poco. Infatti, l’intera somma dei doni divini dati quaggiù è cosa da poco e misurata, in confronto a quelli futuri» (Massimo il Confessore, Duecento capitoli, I, 100).
Secondo il nostro predicatore, oltre ad un certo infantilismo, i cristiani che ascoltano questa istruzione corrono un altro rischio ancora più grave, quello dell’abbandono della fede.

Quelli, infatti, che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo Ebr 6,4 e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro. Ebr 6,5 Tuttavia, se sono caduti, è impossibile rinnovarli un’altra volta portandoli alla conversione, dal momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia. Ebr 6,6 Infatti, una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa, se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio; Ebr 6,7 ma se produce spine e rovi, non vale nulla ed è vicina alla maledizione: finirà bruciata! Ebr 6,8

I battezzati hanno ricevuto da Dio i doni migliori, il rinnovamento nello Spirito Santo e un’anticipazione della vita eterna. Se rifiutano questi doni eccellenti e respingono le manifestazioni più grandi dell’amore di Dio, è molto difficile che possano riprendersi. Come trattare un terreno che, dopo aver ricevuto le cure migliori possibili, ancora risulta sterile? (Cf. 1Gv 5, 16-18).
«Badate, fratelli: quanto maggiore è la conoscenza di cui siamo stati ritenuti degni, tanto più grande è il pericolo che corriamo» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 41, 4). «L’elargizione della misericordia celeste provoca negli uomini lo stesso effetto della pioggia. Dopo un’abbondante pioggia, la zolla coltivata fa germogliare molteplici semi, quella non coltivata si colma di erbe e spine inutili. Una medesima pioggia opera due effetti diversi e contrari. Così, mentre la misericordia di Dio attende con pazienza, chi obbedisce è convertito, chi non si pente è indurito» (Fausto di Riez, La grazia, II, 1).
L’omileta, però, non si chiude nel pessimismo. I fratelli hanno dato buona prova di sé: hanno confessato la fede nella persecuzione e solidarizzato tra loro. Sono stati capaci di corrispondere alla grazia e Dio può comunicare i suoi tesori.

Anche se a vostro riguardo, carissimi, parliamo così, abbiamo fiducia che vi siano in voi cose migliori, che portano alla salvezza. Ebr 6,9 Dio infatti non è ingiusto tanto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che tuttora rendete ai santi. Ebr 6,10 Desideriamo soltanto che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine, Ebr 6,11 perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che, con la fede e la costanza, divengono eredi delle promesse. Ebr 6,12

Dovrebbero nutrire una fiducia in Dio sempre più grande perché Egli non dimentica il bene operato (Cf. Rm 15,25.31; 2 Cor 8,4; 9,1.12). Non solo promette ma s’impegna con un giuramento per dare garanzie sicure della sua fedeltà.

Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso Ebr 6,13 dicendo: Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza. Ebr 6,14 Così Abramo, con la sua costanza, ottenne ciò che gli era stato promesso. Ebr 6,15 Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro, e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine a ogni controversia. Ebr 6,16

«Vedi la bontà e la severità di Dio. Egli non è soltanto soave o soltanto tagliente. Se fosse solo soave, disprezzeremo quanto mai la sua bontà; se fosse tagliente senza essere soave, dispereremmo dei nostri peccati» (Origene, Omelie su Geremia, IV, 4).

Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento, Ebr 6,17 affinché, grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. Ebr 6,18 In essa infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, Ebr 6,19 dove Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto sommo sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedek. Ebr 6,20

Dio assicura gli uomini aggiungendo, alla semplice formulazione di una promessa, un più solenne giuramento. Promessa e giuramento hanno per oggetto la vita futura. La nostra speranza, perciò, non è incerta. Siamo come una nave che, pur sballottata dai flutti, è ancorata saldamente. La nostra ancora è Cristo Risorto, sommo sacerdote al modo di Melchisedek. Con questa allusione al sacerdozio, dopo aver conclusa l’esortazione l’omileta riprende l’argomento principale sul quale intende far riflettere i fedeli.
È possibile già dal presente entrare fino al di là del velo. Vivendo nella carità i cristiani possono pregustare la vita eterna: «I fedeli che osservavano la legge spirituale amavano non soltanto quelli che facevano loro del bene, ma anche quelli che li perseguitavano. Il Signore vedendo la pazienza del loro cuore che non si ritraeva dalla carità, li condusse all’interno del velo, laddove il Signore è già entrato per noi come precursore e si deliziavano dei frutti dello Spirito» (cf. Pseudo Macario, Omelie spirituali (II), 37,4)

Gesù sacerdote al modo di Melchisedek (7,1-27)

L’omileta ha affermato che Gesù è un sacerdote perfetto, ossia che realizza al meglio il suo ruolo. Tuttavia, quando viveva in terra, non apparteneva alla classe sacerdotale. Era un laico e non poteva svolgere alcuna funzione cultuale. Com’è possibile, allora, considerarlo un sacerdote? È possibile soltanto se esiste un altro tipo di sacerdozio differente da quello che officiava nel tempio. In verità, il sacerdozio di Levi, incaricato del servizio al tempio, non è l’unico. La Bibbia parla di un sacerdozio più antico e introduce Melchisedek, sacerdote del Dio Altissimo, verso il quale perfino il patriarca Abramo mostra grande rispetto.
Perché rievocare questa figura antica? L’oracolo del salmo 109 («Tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedek») preannunciava che il futuro messia sarebbe appartenuto a questo sacerdozio misterioso. Gesù Risorto, assiso alla destra del Padre, stabilito come Signore, è riconosciuto anche come sacerdote secondo tale ordine. Inoltre la ricomparsa di questo tipo di sacerdozio, superiore a quello levitico, lascia presagire la scomparsa di quest’ultimo. Vediamo intanto come il libro della Genesi presenti la figura di Melchisedek:

«Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaòmer e dei re che erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro... Intanto Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Ed egli [Abramo] diede a lui la decima di tutto» (Gen 14,17 - 20)

Torniamo ora alla riflessione della lettera agli Ebrei sulla figura di Melchisedek.

Presentazione del re Melchisedek (7,1-3)

Questo Melchisedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’avere sconfitto i re e lo benedisse; Ebr 7,1a lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Anzitutto il suo nome significa «re di giustizia»; poi è anche re di Salem, cioè «re di pace». Ebr 7,2 Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre. Ebr 7,3

Sapendo che Cristo ha ottenuto la gloria filiale e che è sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek, l'autore esamina la figura di questo re-sacerdote: un re ideale, promotore di giustizia e di pace, che funge anche da sacerdote. Il suo sacerdozio è di un genere particolare, perché non si ricollega a una linea sacerdotale, ad una stirpe. Non ha nemmeno dei limiti cronologici («né principio di giorni, né fine di vita»), e corrisponde quindi in un certo modo al «sacerdote in eterno» dell'oracolo del Salmo 109. Corrisponde soprattutto al Figlio di Dio, perché il Figlio di Dio non ha «né principio di giorni, né fine di vita». Per tutti questi aspetti, l'immagine biblica di Melchisedek costituisce una prefigurazione del Cristo glorificato. La risurrezione infatti è una nuova creazione, nella quale non intervengono né padre, né madre umani. Per essa, Gesù ha ricevuto la pienezza della gloria di Figlio.

Abramo offre la decima a Melchisedek ed è benedetto (7, 4-10)

Considerate dunque quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino. Ebr 7,4 In verità anche quelli tra i figli di Levi che assumono il sacerdozio hanno il mandato di riscuotere, secondo la Legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo. Ebr 7,5 Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario delle promesse. Ebr 7,6 Ora, senza alcun dubbio, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. Ebr 7,7 Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece, uno di cui si attesta che vive. Ebr 7,8 Anzi, si può dire che lo stesso Levi, il quale riceve le decime, in Abramo abbia versato la sua decima: Ebr 7,9 egli infatti, quando gli venne incontro Melchìsedek, si trovava ancora nei lombi del suo antenato. Ebr 7,10

Melchisedek è un personaggio che riceve grande onore nella Bibbia: percepisce la decima sul bottino di Abramo e poi benedice il patriarca. Questi due fatti mettono Melchisedek in una posizione di superiorità rispetto ad Abramo.
Dopo aver riscosso la decima da Abramo, Melchisedek lo benedice. Ci sono due tipi molto diversi di benedizioni: quelle che, provenendo dagli uomini, esprimono dei sentimenti di lode e di riconoscenza e quelle che, discendendo da Dio e trasformando la situazione, sono portatrici di fecondità. In questo secondo caso si deve dire: l'inferiore è benedetto dal superiore [il padre trasmette la benedizione ai suoi figli (Gen 27,28-29.39-40); il re al suo popolo (2Sam 6,18; IRe 8,14.55)]. Benedicendo Abramo, il re-sacerdote Melchisedek manifesta un potere ricevuto da Dio che lo rende superiore al patriarca, proprio perché è l'inferiore ad essere benedetto dal superiore.
La Scrittura, poi, manifesta la superiorità di Melchisedek non solo su Abramo, ma anche sul sacerdozio levitico perché quello ha prelevato la decima dall'antenato genealogico dei sacerdoti leviti. Levi, che riceve le decime dal popolo, ha dovuto prima pagarle a Melchisedek. In che modo? Si ricorre qui al principio della solidarietà familiare: ciò che compie l'antenato vale per tutti i discendenti. Levi, che ancora non era nato, esisteva già nel suo antenato; ha quindi preso parte all'omaggio reso da Abramo a Melchisedek. Levi ha versato la decima a quel re, e quindi tutti i leviti si trovano in situazione di inferiorità rispetto a lui.
Infine i sacerdoti leviti sono degli uomini che muoiono, mentre di Melchisedek il testo biblico dice che vive (in realtà ciò non è affermato in modo esplicito ma lo si deduce in modo implicito).

Sostituzione dell’antico sacerdozio (7, 11-25)

Ora, se si fosse realizzata la perfezione per mezzo del sacerdozio levitico – sotto di esso il popolo ha ricevuto la Legge –, che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek, e non invece secondo l’ordine di Aronne? Ebr 7,11 Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della Legge. Ebr 7,12 Colui del quale si dice questo, appartiene a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all’altare. Ebr 7,13 È noto infatti che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. Ebr 7,14 Ciò risulta ancora più evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchìsedek, un sacerdote differente, Ebr 7,15 il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile. Ebr 7,16 Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek. Ebr 7,17 Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità – Ebr 7,18 la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci avviciniamo a Dio. Ebr 7,19 Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; Ebr 7,20 costui al contrario con il giuramento di colui che gli dice: Il Signore ha giurato e non si pentirà: tu sei sacerdote per sempre. Ebr 7,21 Per questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore. Ebr 7,22 Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Ebr 7,23 Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Ebr 7,24 Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore. Ebr 7,25

Perché parlare di un nuovo sacerdozio, secondo Melchisedek, visto che esisteva già quello di Levi? Il sacerdozio del tempio non ha esercitato un ruolo adeguato e Dio ha dovuto sostituirlo. I riti della consacrazione del sommo sacerdote non rendevano perfetto colui per il quale si compivano. Erano riti esteriori, che colpivano la psiche ma non trasformavano il cuore, scendendo in profondità.
La contestazione dei riti coinvolge anche la Legge. Se il sacerdozio secondo l'ordine di Aronne fosse stato pienamente soddisfacente, Dio non avrebbe avuto necessità di annunciarne un altro; l'oracolo invece parla proprio di un ordine sacerdotale ben diverso, che è secondo Melchisedek (non secondo Aronne). Per parlare della comparsa di un altro sacerdote, l'autore ha scelto un verbo significativo anistemi, «far alzare», che può significare anche «risuscitare». L'altro sacerdote è stato «suscitato», mentre Cristo è stato «risuscitato». Il cambio di sacerdozio è radicale: alla legge prescritta dagli uomini, si oppone una potenza di vita indistruttibile.
All'argomento teorico, il predicatore aggiunge la constatazione di un fatto che lo conferma. Cristo infatti appartiene a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all’altare. È noto infatti che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. Gesù non fu della tribù di Levi, alla quale Dio ha riservato in modo esclusivo il sacerdozio «secondo l'ordine di Aronne», ma della tribù di Giuda (essendo discendente di Davide, che era membro della tribù di Giuda). Il suo sacerdozio non può essere conforme a quello levitico ma deve avere di un genere ben diverso.
La riflessione dell’autore prosegue affermando l'abrogazione di un precetto anteriore (quello che stabiliva il sacerdozio del tempio), e l'introduzione di una speranza migliore, quella che risulta dalla costituzione di un sacerdote che è un perfetto mediatore e ci da quindi la possibilità di avvicinarci a Dio. La situazione non è stata semplicemente cambiata ma nettamente migliorata.
Questa affermazione di superiorità si fonda anche su una differenza: nessun giuramento divino ha confermato la costituzione di un sacerdozio levitico, mentre l'oracolo sacerdotale del Salmo 109 basa su un giuramento divino la costituzione di un sacerdote in eterno: «II Signore ha giurato e non si pentirà». Il sacerdozio di Cristo secondo l'ordine di Melchisedek è quindi irrevocabile, mentre non lo era il precedente. Questo carattere irrevocabile fa sì che Gesù sia garante di un'alleanza migliore.
L'eternità qualifica, infatti, il nuovo sacerdozio di Cristo: da una parte, ci sono dei sacerdoti che si succedono e sono quindi numerosi; dall'altra, un sacerdote unico, che rimane in eterno. L'opera dei sacerdoti antichi restava fortemente incompleta, perché era interrotta dalla morte. Al contrario, né la morte né alto ostacolo impedisce all'opera di Cristo di essere completa. Essa si realizza per mezzo di un'intercessione. Cristo risorto è sempre vivo e quindi sempre intercede per noi.
«Il mio Salvatore piange anche ora i miei peccati. Non può rallegrarsi fino a che io rimango nella iniquità. Perché non può? Perché Egli stesso è avvocato per i nostri peccati presso il Padre (cf 1 Gv 2,1). Fino a quando noi non ci comportiamo in modo da ascendere al regno, egli non può bere da solo quel vino che ha promesso di bere con noi. Lui che ha preso le nostre ferite e per noi ha patito — come medico delle anime e dei corpi —, ora trascurerebbe la putredine delle nostre ferite? Proprio per questo sta ora davanti al volto di Dio a intercedere per noi, sta davanti all'altare per offrire per noi a Dio la propiziazione. Aspetta dunque che ci convertiamo, che imitiamo il suo esempio, che seguiamo le sue orme, per allietarsi con noi e bere con noi il vino nel regno del Padre suo» (Origene, Omelie sul Levitico, VII,2).

Conclusione (7, 26-27)

Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Ebr 7,26 Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso. Ebr 7,27 La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.

L’omileta conclude la sua prima esposizione prolungata sul sacerdozio di Cristo. Gesù è santo. Per dire «santo» l'autore non usa il termine abituale, hagios, «consacrato», ma un altro termine, hosios, che esprime una santità morale (corrispondenza alla volontà di Dio). L'insistenza sull'integrità morale, richiamata con tre aggettivi (santo, innocente, senza macchia) è una novità in rapporto al sommo sacerdote antico, dal quale si esigeva una perfetta integrità fisica (Lv 21,17-23) e un'assoluta purità rituale (Lv 22,1-9), mentre si prevedevano, al contrario, le sue inadempienze e quindi la necessità di offrire sacrifici per i suoi peccati. È chiaro che un sommo sacerdote peccatore non era adatto a esercitare una mediazione tra il popolo e Dio.
La posizione del nostro sommo sacerdote è definita poi da due espressioni, la prima di significato negativo: «separato dai peccatori»; la seconda di significato positivo: «elevato sopra i cieli». Esse si applicano entrambe al Cristo risorto. Nella sua vita terrena Cristo non era «separato dai peccatori»; ne accettava il contatto e addirittura li ricercava, perché non era «venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). D'altra parte, poteva essere soggetto all'opposizione da parte dei peccatori che persistevano nel male. Ora la sua passione l'ha portato alla glorificazione presso Dio, che lo mette al di fuori di ogni oltraggio, perché lo colloca ora al di sopra dei cieli.
Dopo aver definito le qualità di Cristo sommo sacerdote, il predicatore parla della sua attività o piuttosto della sua privazione di attività sacrificale. I sommi sacerdoti antichi si trovavano continuamente nella necessità di «offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo» (v. 27). Questa necessità non esiste più per Cristo, perché il suo sacrificio è stato perfettamente efficace. Ciò che i sommi sacerdoti dovevano fare continuamente, Cristo l'ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso. Solo il Figlio di Dio eterno può essere «sacerdote in eterno». Per essere vero sacerdote, è necessario che egli sia anche uomo; bisogna, inoltre, che sia un uomo reso perfetto per mezzo delle sofferenze dell'esistenza umana (2,10) ed elevato così alla gloria filiale. Tale è la situazione del Cristo glorificato.
La persona umana di Cristo è totalmente santa e risanante: «Se uno tocca la carne di questo sacrificio, subito viene santificato, se è impuro; viene sanato se ha un male. Così, per esempio, la donna emoroissa: comprese che egli era la carne del sacrificio, carne santissima; e per questo si avvicinò. Non osa toccare la carne santa stessa, ma toccò la frangia del vestito, di cui era ricoperta la carne santa, e per questo contatto di fede, fece uscire dalla carne una potenza che la sanò dal male che pativa. Queste carni le hanno toccate anche tutti quei Gentili che hanno creduto. Le ha toccate coloro che dicevano: Fummo anche noi un tempo stolti, sviati, assoggettati a brame e piaceri diversi, vivendo nel male e nell’invidia, odiosi, odiandoci l'un l'altro. Ma quando rifulse la bontà di Dio nostro Salvatore e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvato mediante il lavacro della rigenerazione e del rinnovamento nello Spirito Santo. (Tt 3,3-7). Se uno tocca la carne di Gesù nel modo che sopra abbiamo spiegato, con fede totale, se si accosta con piena obbedienza a Gesù, come al Verbo fatto carne, costui tocca la carne del sacrificio ed è santificato» (Origene, Omelie sul Levitico, IV, 8).

Gesù inaugura la novità (8,1 - 9,9)

Comincia ora un’altra parte della riflessione dell’omileta. L’essenziale è già stato detto ma egli prosegue la meditazione portando l’attenzione su altri aspetti di grande rilievo; eccoli: Gesù è salito presso Dio e non è entrato soltanto nell’adito più sacro del tempio di Gerusalemme; ha inaugurato la nuova alleanza che sostituisce l’antica; ha superato i sacrifici del tempio, offrendo se stesso a Dio; la sua alleanza è un testamento che ci dona la vita eterna in eredità. Il suo sacrificio è stato efficace e definitivo.
Riprendiamo la riflessione dall’inizio, esaminandola punto per punto.

Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli, Ebr 8,1 ministro del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito. Ebr 8,2

Cristo regna alla destra di Dio Padre, non siede come sovrano sulla terra (come avveniva per il re di Giuda) ma nel cielo stesso. È lui il Signore al quale Dio parla nel salmo 109: Dice il Signore [Dio] al mio Signore: siedi alla mia destra.
Gesù l’aveva già fatto conoscere al Sinedrio durante il suo processo « Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo» (Mt 26,63-64)» L’apostolo Pietro lo aveva annunciato nel suo discorso a Pentecoste: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.  Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. Davide infatti non salì al cielo; tuttavia egli dice: Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi. Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,32- 34)
«Chiunque è sacerdote fra gli uomini, in confronto a Cristo è piccolo e debole. È lui il sommo sacerdote che può penetrare i cieli, andare al di là di tutta la creazione e ascendere fino a colui che abita la luce inaccessibile, a Dio Padre. Egli è veramente il grande sacerdote che rimette i peccati non mediante il sangue di tori e di capri, ma mediante il proprio sangue» (Origene, Omelie sul Levitico, XII, 1).
Dopo aver contemplato la figura del nuovo sacerdote, l’omileta s’inoltra nella critica al tempio e ai vecchi riti.

Ogni sommo sacerdote, infatti, viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anche Gesù abbia qualcosa da offrire. Ebr 8,3 Se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la Legge. Ebr 8,4 Questi offrono un culto che è immagine e ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu dichiarato da Dio a Mosè, quando stava per costruire la tenda: «Guarda – disse – di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte. Ebr 8,5 Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse. Ebr 8,6

I sacerdoti offrono sempre qualche dono. Che cosa offre Gesù? Non viene detto ancora. Si sa che egli non fa parte dei sacerdoti del tempio i quali prestavano però un culto provvisorio. L’omileta è interessato a parlare della provvisorietà delle istituzioni dell’Antico Testamento.
Perché quel culto deve essere considerato tale? Mosé aveva istituito tutti i riti applicando un modello celeste che gli era stato fatto conoscere ma anche quel modello esemplare era soltanto un abbozzo del culto che sarebbe stato esercitato da Gesù.
«Nei sacrifici delle vittime materiali, che la stessa santissima Trinità, solo vero Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento, comandava venissero offerti dai nostri padri, veniva prefigurato il graditissimo dono di quel sacrificio con cui il Figlio di Dio avrebbe offerto misericordiosamente se stesso per noi. Egli infatti, secondo l'insegnamento dell'Apostolo ha dato se stesso per noi offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore (Ef 5,2)» (Fulgenzio di Ruspe, Sulla fede in Pietro, XXII, 62).
Più ancora: Gesù ha inaugurato una Nuova Alleanza rendendo superata quella antica. Il profeta Geremia aveva annunciato che l’Alleanza stipulata al Sinai sarebbe stata sostituita con un’altra:

Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra. Ebr 8,7 Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice: Ecco: vengono giorni, dice il Signore, quando io concluderò un’alleanza nuova con la casa d’Israele e con la casa di Giuda. Ebr 8,8 Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri, nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto; poiché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza, anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore. Ebr 8,9 E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Ebr 8,10 Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, né alcuno il proprio fratello, dicendo: «Conosci il Signore!». Tutti infatti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro. Ebr 8,11 Perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati. Ebr 8,12 Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire. Ebr 8,13

Per esprimere la novità, il greco dispone di due aggettivi: neos, esprime la novità nel tempo (ad es., «il vino nuovo», Mt 9,17, cioè fermentato da poco); kainos, può indicare un nuovo tipo di realtà (un «vino nuovo», Mt 26,29, non più terreno ma celeste). I Settanta hanno scelto kainos, il che suggerisce che si tratta di un nuovo tipo di alleanza.
Quali caratteristiche nuove presenta l’Alleanza promessa rispetto a quella del Sinai? Le leggi di Dio, invece di essere scritte su tavole di pietra, sono scritte da lui nel cuore degli uomini; grazie alla docilità di cuore, è assicurata una perfetta relazione reciproca tra Dio e il popolo e si stringe una relazione personale di ciascuno con Dio; è accordato il perdono gratuito di Dio di tutte le colpe. Il termine cuore designa tutto l'aspetto interiore della persona, memoria, volontà e affettività. Dio farà in modo che la sua volontà sia compresa profondamente dalle persone e accettata sinceramente, con amore.
A rendere «antica» la prima alleanza è quindi Dio stesso. L'autore si mostra convinto della fine della prima alleanza come istituzione legislativa e cultuale (il che non significa affatto la fine del legame di amore tra Dio e il suo popolo, cf. Rm 11,28-29) e si mostra altrettanto convinto della permanente validità dell'Antico Testamento come rivelazione.
Il comportamento dei cristiani di Corinto elogiati da Clemente dimostra che la Legge divina ora è scritta nei cuori: «Non provavate rimpianto per nessun bene compiuto, pronti per ogni opera buona. Adorni di quel modo di vita che è eccellente, compivate ogni cosa nel timore di Dio: i comandamenti e i precetti del Signore erano scritti nella larghezza dei vostri cuori» (Clemente Romano, Lettera ai corinzi, 2, 7-8). Anche Pseudo-Macario insiste sull’importanza dell’incisione della Legge nel cuore: «Cristo è stato immolato e il suo sangue ci ha asperso e ci ha provvisto di ali; ci ha dato infatti le ali dello Spirito Santo perché senza impedimenti potessimo spiccare il volo nell’atmosfera divina. Ai giudei fu data una legge scritta su tavole di pietra, a noi invece delle leggi spirituali scritte sulle tavole del cuore» (Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II), 47,2-3)
Secondo Origene, noi possiamo favorire l’azione dello Spirito Santo memorizzando le parole del Signore, affinché egli possa scriverle in noi. «Il vero ritorno a Dio è leggere le cose antiche, conoscere gli uomini che sono stati graditi a Dio, imitarli; leggere i libri del Nuovo Testamento, le parole degli apostoli. Dopo la lettura, scrivere tutte queste cose nel cuore, vivere in modo ad esse conforme, perché non sia dato anche a noi il libello di ripudio ma possiamo giungere all’eredità santa» (Origene, Omelie su Geremia, IV, 6).

L’antico e il nuovo tempio (9,1-9)

Dopo aver annunciato il cambio d’alleanza, dalla antica alla nuova, l’omileta parla della sostituzione del tempio e del culto. Come primo passo, descrive in breve la struttura del tempio e poi i riti che vi si svolgevano.

Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Ebr 9,1 Fu costruita infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Ebr 9,2 Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con Ebr 9,3 l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza. Ebr 9,4 E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. Ebr 9,5

La descrizione del santuario è piuttosto sommaria. Si accenna alla sua divisione in due parti, chiamate prima e seconda tenda: la prima tenda corrisponde al Santo, la seconda al Santo dei Santi (cioé luogo santissimo). Le separazioni esprimevano la distanza della santità di Dio rispetto alla nostra povertà morale.
Dalla descrizione del luogo, passa a descrivere i riti che vi si svolgevano.

Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrare il culto; Ebr 9,6 nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per ignoranza. Ebr 9,7 Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda.

L’omileta distingue tra i sacrifici ordinari dei sacerdoti da quello annuale celebrato soltanto dal sommo sacerdote nel giorno dell’Espiazione. L’accesso al luogo della presenza di Dio (ossia il Santo dei Santi) era di fatto interdetto. Con questa restrizione lo Spirito Santo voleva mostrare che la via per giungere presso Dio non era ancora stata manifestata (v. 8).
«Il nostro ritorno a Dio è stato possibile unicamente per opera di Cristo Salvatore, che ci ha partecipato lo Spirito di santificazione. È lo Spirito infatti a metterci in rapporto con Dio e unirci a lui: ricevendolo, siamo resi partecipi della natura divina. In qual modo siamo resi consorti della natura divina, se non perché Dio è in noi e noi siamo uniti a lui per la partecipazione dello Spirito?» (Cirillo d’Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni, XI, 10).

Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda. Ebr 9,8 Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre: Ebr 9,9 si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. Ebr 9,10

Il predicatore presenta l'organizzazione del culto antico come una figura per il tempo presente. Che cosa vuoi dire con questo? Osserviamo la fine del passo: fino a un tempo in cui sarebbero state riformate. Ritroviamo qui una distinzione corrente nel giudaismo tra il «tempo o mondo presente», in cui prolifera il male, e «il tempo o mondo futuro», nel quale Dio stabilirà il suo regno.
Un altro elemento: i doni e i sacrifici che erano offerti non avevano il potere di rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre. Erano compresi come un modo per piacere a Dio e ottenere così i suoi favori. Si cercava, quindi, di cambiare le disposizioni di Dio. L'autore suggerisce una prospettiva del tutto diversa: i sacrifici devono cambiare le disposizioni degli uomini, non quelle di Dio. Devono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre il culto. Perché un sacrificio diventi un'azione che renda perfetto interiormente colui che l'offre, è necessaria la mozione dello Spirito Santo; solo lo Spirito Santo è capace di purificare e santificare la «coscienza». Nel frattempo, quel sistema aveva una sua utilità, perché attestava che una mediazione tra l’uomo e Dio era necessaria.
Tutte prescrizioni valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. Queste ultime parole  preparano il paragrafo seguente, aprono una prospettiva su un tempo di riforma, che porterà rimedio alla soluzione. Questo tempo - lo si può percepire - sarà quello della «liturgia» di Cristo, menzionato all'inizio della sezione (8,2.6), sacrificio di natura completamente nuova, in grado di rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre.
Questa situazione infatti adesso è stata cambiata. «Ora, quanti ne sono giudicati degni, entrano in una tenda non costruita da mani d’uomo, dove il Cristo è entrato per noi quale precursore» (Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II) 47,2). «La prima via, quella tramite Adamo, perì ed inclinammo verso la morte. Il benigno Verbo di Dio, per volere del Padre, rivestì la carne per vivificare nel proprio sangue la carne che il primo uomo aveva ucciso tramite il peccato e per realizzare per noi una via nuova e vivente tramite il velo, ovvero tramite la propria carne. Non fu qualcun altro ma il Signore stesso, principio della nuova creazione, ad essere creato come via» (Atanasio, Trattato contro gli ariani, 65, 1.3)

Un sacrificio di natura nuova (9,10–14)

Ora l’omileta presenta quale sia il culto di Gesù e fa sapere in che cosa sia consistita la sua offerta (cf 8,3). Alla liturgia dell'Antico Testamento, che ha appena criticato, l'autore oppone quella di Cristo, perfettamente efficace. Cristo entrò, con la sua natura umana, nel santuario, cioè nell'intimità celeste di Dio, e trovò una redenzione eterna. Non viene descritta una cerimonia, ma si espone il significato religioso della morte e della glorificazione di Cristo.

Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Ebr 9,11 Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Ebr 9,12

Cristo è sacerdote dei beni futuri. I beni futuri designano le realtà escatologiche, i beni del mondo nuovo inaugurato dalla risurrezione di Cristo. (Nella vita terrena, i beni messianici non sono già tutti presenti, perché i cristiani non sono ancora entrati con Cristo nel riposo di Dio).
attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo. Che cos'è questa tenda? Non è altro che il corpo di Cristo; non il suo corpo mortale, ma quello glorificato, «reso perfetto» dalla sua passione, vissuta come un'offerta di amore filiale e fraterno.
«Designa la sua carne e ha ragione di chiamarla un tabernacolo più perfetto, poiché il Dio Verbo e la potenza dello Spirito abitano in esso. Non appartiene a questa creazione nel senso che non è composto di quei elementi terreni che noi vediamo ma è tutto pervaso dallo Spirito. È lo Spirito che l’ha costruito» (G. Crisostomo, CLE, XV, 2)
Entrò una volta per sempre nel santuario in virtù del proprio sangue. Gesù si reca presso Dio stesso. Con la sua risurrezione, torna presso il Padre. Questo è l’essenziale.
Il predicatore parla poi anche del sangue di Gesù. La formula del primo annuncio della fede (kerygma) non parlava del sangue di Cristo (cf 1 Cor 15,34) ma soltanto della sua morte, in senso esistenziale. Parlando invece del sangue di Cristo, l'autore introduce una prospettiva sacrificale.
Ora l'Antico Testamento esprime infatti due posizioni contraddittorie in rapporto al sangue dei sacrifici. Da una parte sono comandati da Dio ma dall'altra sono criticati: i sacrifici, infatti, erano offerte di doni ma non della stessa persona. Avevano un valore ma soltanto parziale. La Lettera agli Ebrei fa sua la contestazione profetica delle immolazioni di animali, ma non si ferma alla critica e apre una prospettiva positiva. Non si accontenta di valorizzare soltanto una semplice disposizione interiore di offerta personale, ma assieme, a questa, mantiene il valore irrinunciabile dell'azione concreta (e del ruolo del sangue).
Ottenendo così una redenzione eterna... L'ingresso di Cristo nel santuario non è semplicemente un vantaggio straordinario per la sua natura umana ma è un atto di mediazione sacerdotale che manifesta che egli ha «trovato una redenzione eterna» per tutto il popolo. Il verbo «trovare» suggerisce che la situazione sembrava senza uscita e che una soluzione non era facile da «trovare». La redenzione ottenuta con il sangue di Cristo è effettivamente una straordinaria novità. Questa redenzione si distingue radicalmente dalla liberazione dell'esodo e da altri interventi divini temporanei, verificatisi nel corso della storia, perché è «eterna»; si situa a un livello che trascende il tempo; introduce nell'eternità di Dio ed è quindi definitiva e completa, il che implica un'efficacia nel più profondo della coscienza umana.
«Il sacrificio di Cristo ha un valore eterno. Esso viene offerto ogni giorno per nostra consolazione, anzi, in ogni ora e momento, perché ne abbiamo un fortissimo aiuto. Perciò l'Apostolo dice: procurandoci una redenzione eterna» (Eb 9,12). Di questo santo ed eterno sacrificio divengono partecipi coloro che sono veramente contriti e fanno penitenza dei peccati commessi, e che sono fermante decisi a non riprendere più i loro vizi, ma a perseverare con costanza la ricerca della virtù» (Giovanni Fisher, Commento sui salmi, 129).
L’omileta prosegue affermando che il culto di Cristo (l’offerta di se stesso a Di) purifica la coscienza degli uomini. Inoltre egli parla anche del ruolo dello Spirito Santo.

Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, Ebr 9,13 quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Ebr 9,14

Il sangue di Cristo è in grado di purificare le coscienze. La sua oblazione è molto diversa dai sacrifici antichi, perché è stata: un'oblazione personale, di un essere umano immacolato, fatta sotto l'impulso dello spirito eterno. Mentre nell'Antico Testamento era il sangue a dare valore ai sacrifici, nel caso di Cristo è il suo sacrificio che ha dato valore al suo sangue.
«Teniamo lo sguardo fisso sul sangue di Cristo e comprendiamo quanto è prezioso per suo padre, dal momento che è stato versato per la nostra salvezza e ha portato a tutto il mondo la grazia del pentimento» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 7,4).
«Là un sacerdote rivestito di debolezza entrava nel santuario offrendo sacrifici per se stesso e per il popolo, qui un vero sacerdote, il Cristo, si è accostato all’altare dell’alto, pronto a purificare quelli che lo chiedono e la loro coscienza macchiata. Dice infatti il Signore: sarò con voi fino alla fine del mondo» (Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II) 32,5).
Riprendiamo l’allusione allo Spirito eterno. Cristo ha compiuto la sua oblazione sotto l'impulso dello «Spirito eterno», ossia ha affrontato la sua passione «nella potenza dello Spirito». Il battesimo di Gesù prefigurava la sua morte (cf. Mc 10,38-39; Lc 12,30) e se lo Spirito è allora sceso su di lui, è stato per accompagnarlo quando ha dovuto affrontarla.
A proposito dell'azione dello Spirito nell'offerta sacrificale di Cristo, s. Giovanni Crisostomo suggerisce che lo Spirito ha adempiuto la funzione che nei sacrifici dell'Antico Testamento era attribuita al fuoco dell'altare. Era il fuoco dell'altare, infatti, che faceva salire verso il cielo, sotto forma di fumo, i sacrifici offerti a Dio. Il fuoco di Dio ora è lo Spirito Santo, l'unico capace di effettuare la vera trasformazione sacrificale.
«Cristo si è offerto a Dio per mezzo dello Spirito Santo. L’espressione per mezzo dello Spirito Santo, significa che questa non è salita a Dio mediante il fuoco o mediante qualche altro strumento» (G. Crisostomo, OLE, XV, 2).
Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente. Le opere morte sono evidentemente i peccati. Esse formano un'antitesi con il Dio vivente. Le opere morte rendono impossibile una relazione positiva con il Dio vivente; la loro eliminazione è indispensabile. All'efficacia, che possiamo definire negativa, per l'eliminazione delle colpe, si aggiunge l'efficacia positiva per la messa in relazione con Dio.
«I sacerdoti non erano in grado di guarire l’anima mediante l’offerta di doni, poiché non potevano guarire nemmeno se stessi. La guarigione avviene soltanto per mano del Signore. È detto: Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29), cioè il peccato dell’anima che crede in lui e l’ama con tutto il cuore. Lo Spirito prescriveva al lebbroso di andare dal sacerdote. Allo stesso modo Cristo, piegandosi sulle anime che sono colpite dalla lebbra del peccato e che lo invocano, entra nella tenda del loro corpo e guarisce le passioni» (Pseudo-Macario, Omelie Spirituali (II), 44, 3-4).

Gesù Cristo, mediatore di un’alleanza nuova (9, 15-28)

L’omileta non parla soltanto di alleanza ma anche di testamento e di eredità. Il testamento rievoca l’eredità.

Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa. Ebr 9,15 Ora, dove c’è un testamento, è necessario che la morte del testatore sia dichiarata, Ebr 9,16 perché un testamento ha valore solo dopo la morte e rimane senza effetto finché il testatore vive. Ebr 9,17

Dalla menzione della morte, l'autore passa all'idea di un'«eredità». La nozione di eredità è diversa da quelle di salvezza e di redenzione, perché non contiene l'idea di un pericolo dal quale si sfugge né di schiavitù dalla quale si è riscattati, ma esprime l'idea di una trasmissione di beni condizionata dalla morte di un testatore. Cristo non ci ha solo salvati e riscattati; con la sua morte ci ha procurato dei beni inestimabili. Nel Vangelo di Luca una frase di Gesù suggerisce una prospettiva di questo tipo. Nel corso dell'ultima cena, Egli dichiara ai suoi discepoli: «Io preparo per voi un regno, come il Padre mio l'ha preparato per me» (Lc 22,29).
Un testamento ha valore solo dopo la morte e rimane senza effetto finché il testatore vive. L'autore insiste sul legame tra testamento e morte. Solo la morte del testatore rende il testamento definitivamente stabilito, perché a quel punto non è possibile modificarlo e bisogna eseguirlo. La morte di Cristo ha fatto entrare in vigore un testamento estremamente generoso.
«Gesù è mediatore di un nuovo testamento. Un testamento viene redatto in prossimità della morte. Ciò che annuncia il Vangelo a proposito degli eredi si trova nella dichiarazione di Gesù: voglio che essi siano là dove sono io (Gv 17, 24). Un testamento presenta anche le clausole del testatore. Anche Gesù, dopo aver formulato le sue promesse, espone le sue richieste: Vi do un comandamento nuovo (Gv 17, 13) (G. Crisostomo, OLE, XVI, 1).
Continuando il confronto tra gli antichi riti e il nuovo, l’omileta parla del valore dell’aspersione di sangue.

Per questo neanche la prima alleanza fu inaugurata senza sangue. Ebr 9,18 Infatti, dopo che tutti i comandamenti furono promulgati a tutto il popolo da Mosè, secondo la Legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issòpo, asperse il libro stesso e tutto il popolo, Ebr 9,19 dicendo: Questo è il sangue dell’alleanza che Dio ha stabilito per voi. Ebr 9,20 Alla stessa maniera con il sangue asperse anche la tenda e tutti gli arredi del culto. Ebr 9,21 Secondo la Legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue, e senza spargimento di sangue non esiste perdono. Ebr 9,22 Era dunque necessario che le cose raffiguranti le realtà celesti fossero purificate con tali mezzi; ma le stesse realtà celesti, poi, dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi. Ebr 9,23

Al momento della stipula dell’Alleanza al Sinai, Mosè asperse con il sangue gli arredi sacri e il popolo. Se si ammette l'utilità dei sacrifici per la purificazione di realtà materiali, bisogna ammettere la necessità dell’aspersione di sangue per la purificazione delle realtà celesti che Dio intende donare.
«Il sangue prezioso di Cristo fu prefigurato molto tempo prima. Allora venivano purificati i corpi ma ora una purificazione spirituale penetra nell’anima. Il suo sangue penetra nell’anima, la rende forte e pura, le infonde una bellezza indicibile… Quali sono queste realtà celesti? L’autore della Lettera non pensa al cielo o agli angeli, ma designa ciò che già possediamo. I nostri misteri appartengono al cielo anche se vengono celebrati sulla terra. La nostra cittadinanza è nei cieli (Fil 3,20), anche se abitiamo ancora sulla terra» (G. Crisostomo, OLE, XVI, 2).
L’omileta conclude la sua critica del culto antico: non è più necessario ripetere i sacrifici perché quello di Gesù è definitivo, ha un valore eterno.

Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. Ebr 9,24 E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: Ebr 9,25 in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. Ebr 9,26 E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, Ebr 9,27 così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. Ebr 9,28

Cristo è accolto nella gloria stessa di Dio per esercitare un’intercessione eterna a nostro favore. Il suo sacrificio non deve essere ripetuto più volte, perché ha raggiunto lo scopo per il quale era stato compiuto. Non occorre, quindi, rinnovarlo. Il predicatore presenta due argomenti decisivi:
La ripetizione del sacrificio avrebbe implicato la ripetizione della passione di Cristo in ogni periodo della storia del mondo; saremmo rimasti chiusi in un sistema ciclico. Al contrario, il sacrificio di Cristo è un evento escatologico, che fa uscire dal sistema ciclico. Ha avuto luogo una sola volta, nel tempo della pienezza. Cristo è così apparso come una evento completamente nuovo, capace di annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. Questo fatto introduce un cambiamento radicale nel mondo, dove il peccato era invece senza rimedio.
Il sacrificio di Cristo si è realizzato con la morte che è un fatto irreversibile: si muore solo una volta. La sua, tuttavia, non è stata semplicemente una morte, ma una morte trasformata in offerta sacrificale e quindi efficace contro il peccato. Cristo ritornerà di nuovo, ma il suo ritorno non sarà una ripresa della vita mortale. Avverrà nella gloria per donare salvezza a coloro che l'aspettano.

Il sacrificio di Gesù Cristo (10, 1-18)

La trattazione teologica sul sacerdozio è completa e conclusa. Ora l’omileta ricapitola quanto ha esposto finora: ribadisce come in Cristo sia avvenuto il superamento del culto antico, che non liberava dal peccato, e si sia inaugurata Nuova Alleanza. In questa il predicatore costringe a meditare approfondendo meglio dei concetti che ha già esposto.

La Legge infatti, poiché possiede soltanto un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha mai il potere di condurre alla perfezione per mezzo di sacrifici – sempre uguali, che si continuano a offrire di anno in anno – coloro che si accostano a Dio. Ebr 10,1 Altrimenti, non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che gli offerenti, purificati una volta per tutte, non avrebbero più alcuna coscienza dei peccati? Ebr 10,2 Invece in quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati. Ebr 10,3 È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. Ebr 10,4

I sacrifici del tempio ottenevano il perdono di Dio ma lasciavano l’uomo sempre schiavo del peccato - e per questo dovevano essere ripetuti di continuo - , al contrario Gesù è capace di liberarci dal peccato. Dopo questa affermazione, il predicatore porta l’argomento che la giustifica:

Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Ebr 10,5 Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Ebr 10,6 Allora ho detto: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà». Ebr 10,7 Dopo aver detto: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la Legge, Ebr 10,8 soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Ebr 10,9 Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre. Ebr 10,10

Si immagina che Gesù, venendo nel mondo, dica al Padre: Non hai gradito né gli olocausti, né i sacrifici…. Allora ho detto: ecco io vengo. Queste espressioni d’amore erano state formulate in antico da un salmista (cf Sal 39). Un devoto israelita, proponendosi di offrire a Dio un sacrificio di ringraziamento, anziché presentare dei doni tradizionali, sceglieva di donare se stesso, ossia la sua piena obbedienza. Gesù, in seguito, visse fino in fondo il proposito dell’antico salmista. Egli ricevette dal Padre un corpo grazie al quale poté, vivendo tra noi come uno di noi, osservare i comandamenti di Dio e compiere la volontà del Padre. La disponibilità di Gesù, tradotta in azione, ha santificato l’umanità intera.
«Il Figlio divenne mediatore tra Dio e gli uomini, il conciliatore, quando offrì se stesso in odore di soavità a Dio Padre. Per questo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Allora ho detto: «Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà. Per noi e non per se stesso ha offerto il proprio corpo in odore di soavità. Di quale offerta avrebbe potuto avere bisogno, dato che non aveva peccato?» (Cirillo d’Alessandria, Terza lettera a Nestorio, 9).
Siamo invitati ad imitare Gesù presentando a Dio noi stessi offrendo quel sacrificio che corrisponde alla nostra conversione permanente: «Quale sacrificio, che gli sia gradito, dobbiamo presentare a Cristo nel giorno della risurrezione? Ce lo insegna ancora l'Apostolo: Offrite i vostri corpi come vittima vivente, santa, gradita a Dio (Rm 12,1). Come? Non facendo più la volontà della carne e dei nostri pensieri, ma camminando nello spirito. Questo agire è chiamato vittima vivente, santa, e gradita a Dio. Perché è chiamata vittima vivente? Perché l'animale che viene condotto al sacrificio, viene in esso immolato e muore. Invece i santi, presentando se stessi in offerta a Dio, sacrificano se stessi da vivi ogni giorno. Come hanno fatto a mettersi a morte? Rinunciando al desiderio della carne, cioè all'amore del piacere, del denaro e della vanagloria, prendendo la croce e seguendo Cristo. Come hanno, poi, presentato in offerta se stessi? Non vivendo per se stessi, ma sottomettendosi ai comandamenti di Dio e abbandonando la loro volontà al comandamento e all'amore di Dio e del prossimo, come ha detto san Pietro: Ecco, noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito. Che cosa abbandonò? Tutte le sue volontà, tutti i desideri di questo mondo; è chiaro perciò che se avesse avuto ricchezze o beni, avrebbe disprezzato anche quelli; poi, presa la croce, segui Cristo, secondo quanto è detto: Vivo, ma non vivo più io, vive in me Cristo. Ecco, è così che i santi hanno presentato in offerta sé stessi, rendendosi morti, come abbiamo detto, ad ogni desiderio e volontà propria, e vivendo solo per Cristo e per i suoi comandamenti. Così dunque anche noi presentiamo in offerta noi stessi» (Doroteo di Gaza, Spiegazione di alcune parole di san Gregorio che si cantano come Tropario per la Santa Pasqua, 167-168).
La spiritualità cristiana, lungo i secoli, ha riproposto l’atteggiamento d’offerta di sé di Gesù, cogliendo in essa un elemento centrale della vita spirituale. Dopo l’esortazione di Doroteo, propongo un suggerimento di Alfonso de Liguori: «Tutta la nostra perfezione consiste nell’amare il nostro amabilissimo Dio ma tutta poi la perfezione dell’amore a Dio consiste nell’unire la nostra alla sua santissima volontà. Quanto più alcuno sarà unito alla divina volontà, tanto sarà maggiore il suo amore. Non vuole il Signore sacrifici (dice il Profeta a Saul), ma l’ubbidienza ai suoi voleri (1 Reg. 15.22) L’uomo, che vuole operare per propria volontà senza quella di Dio, commette una specie d’Idolatria, poiché allora in vece di adorare la volontà divina, adora in certo modo la sua. Questa dunque è la maggior gloria, che noi possiamo dare a Dio, l’adempire in tutto i suoi santi voleri. Il nostro Redentore, che venne in terra a stabilire la divina gloria, questo principalmente venne ad insegnarci col suo esempio. Padre: Voi avete rifiutate le vittime, che v’ hanno offerte gli uomini; voi volete, ch’ io vi sacrifichi il corpo, che m’ avete dato, eccomi pronto a fare la vostra volontà (Cf Gv 6,38)» (Alfonso De Liguori, Uniformità alla volontà di Dio, 1).
Infine, l’omileta ricorda, ancora una volta, come l’opera salvatrice di Gesù sia completa e definitiva:

Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. Ebr 10,11 Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, Ebr 10,12 aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Ebr 10,13 Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ebr 10,14

L’unico sacrificio di Gesù è stato sufficiente per eliminare il peccato. Egli ha dato avvio alla nuova creazione che si svilupperà in pienezza fino al suo compimento. Ora Egli attende che la sua redenzione sia accolta da tutti e cerca di vincere le resistenze, ormai perdenti, che sono ancora attive nella storia.
Lo stesso messaggio viene accolto e ribadito dalla spiritualità cristiana: «In Cristo, che è come la primizia del genere umano, tutta l’umanità è restaurata in novità di vita» (Cirillo d’Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni, XI, 10).
Lo Spirito stesso assicura dell’avvio della nuova creazione. Questa novità radicale, realmente attiva nel mondo, è un adempimento della promessa della Nuova Alleanza che si riprometteva il perdono divino e l’eliminazione del peccato:

A noi lo testimonia anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto: Ebr 10,15 Questa è l’alleanza che io stipulerò con loro dopo quei giorni, dice il Signore: io porrò le mie leggi nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente, dice: Ebr 10,16 e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità. Ebr 10,17 Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato. Ebr 10,18

La promessa sottesa alla Nuova Alleanza ha illuminato la speranza cristiana, lungo i secoli: «Cristo trasformò l'occidente in oriente e mediante la su crocifissione tramutò la morte in vita e, avendo strappato l'uomo dalla perdizione, lo innalzò al cielo. Ci elargisce l'eredità del Padre, quell'eredità veramente grande, divina e che non ci può essere tolta. Ce la dona per mezzo di un celeste insegnamento, rendendo l'uomo simile a Dio, ponendo leggi nella loro mente e scrivendole nel loro cuore. A quali leggi allude il profeta? Che tutti conosceranno Dio, dal più piccolo fino al più grande e sarò benevolo nei loro confronti, dice Dio, e non mi ricorderò dei loro peccati» (Clemente Alessandrino, Protrettico ai greci, XI, 114,4).

Il cammino della fede

L’omileta ha terminato di esporre la parte più dottrinale della sua esortazione. Ha illustrato in modo completo i caratteri del sacerdozio di Gesù. In quest’ultima parte riprende e fa prevalere l’esortazione etica; ritorna, soprattutto, il richiamo ad una fede viva, che è tra gli scopi principali della sua esposizione.

 Una fede coerente (10,19-39)

Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, Ebr 10,19 via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, Ebr 10,20 e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, Ebr 10,21 accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Ebr 10,22 Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso. Ebr 10,23

Abbiamo piena libertà di entrare nel santuario. «Cristo, dopo aver realizzato l’economia per noi, avere abbattuto Satana e spezzato ogni suo potere e dopo aver distrutto la forza della morte, istituì per noi una strada nuova e viva, come è scritto, ascendendo al cielo e manifestandosi per noi innanzi al volto di Dio e Padre. Siede come Dio con Dio, Signore con il Signore e Figlio col Padre vero, poiché è così per natura, anche se è pensato con la carne» (Cirillo d’Alessandria, Lettera a Valeriano, 11).
Accostiamoci con cuore sincero: «Il Padre, misericordioso in tutto e benefico, ha compassione di coloro che lo amano; con benignità e dolcezza spande le sue grazie su coloro che si accostano con cuore semplice. Non abbiamo il cuore diviso e che l’anima nostra non si mostri avversa ai suoi doni incomparabili e splendidi» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 23, 1-2).

Esercizio di carità e fervore di spirito

Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. Ebr 10,24 Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore. Ebr 10,25

Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità. «Dio, quando vede la folla dei fedeli intenti a pregare tutti in pace e d’accordo, si muove quasi a tenerezza. Facciamo tutto il possibile per riunirci in preghiera, supplicando Dio gli uni per gli altri. Spesso siamo beneficati a motivo del prossimo, perciò rendiamo grazie per la fiducia che altri hanno nei riguardi di Dio» (G. Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi, II, 2-4). «Ogni discordia e ogni divisione vi disgustava. Sugli errori dei vicini piangevate: le loro mancanze le consideravate vostre» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 2,6).
Non disertiamo le nostre riunioni … «Non isolatevi, ripiegandovi in voi stessi come se già foste giustificati; invece, riunitevi per ricercare l’interesse comune» (Lettera di Barnaba, IV, 10). «Chi non partecipa alla riunione è un orgoglioso e si è giudicato. Stiamo attenti a non opporci al vescovo per essere sottomessi a Dio… Impegnatevi a riunirvi più di frequente nell’azione di grazie verso Dio. Quando vi riunite spesso, le forze di Satana sono abbattute» (Ignazio, Lettera agli Efesini, V,3 e XIII,1). «Le riunioni si facciano più spesso. Cerca di conoscere tutti per nome» (Ignazio, Lettera a Policarpo, 4,2). «Nel giorno detto del Sole, si fa l’adunanza. Tutti coloro che abitano in città o in campagna convengono nello stesso luogo, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti. Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del Sole, sia perché questo è il primo giorno in cui Dio, volgendo in fuga le tenebre e il caos, creò il mondo, sia perché Gesù risuscitò nel medesimo giorno» (Giustino, Apologia I, 66-67).

Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Ebr 10,28 Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? Ebr 10,29 Conosciamo infatti colui che ha detto: A me la vendetta! Io darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo. Ebr 10,30 È terribile cadere nelle mani del Dio vivente! Ebr 10,31

«Noi che siamo stati fatti degni di divenire casa di Dio per grazia, mediante lo Spirito, dobbiamo dar prova di sopportazione nei patimenti, per amore della giustizia, a condanna del peccato. Quale sarà mai la fine di coloro che disobbediscono al vangelo di Dio, che non accettano neppure l'ammonizione di Dio Padre tramite il Figlio incarnato? Non accolgono il Figlio che per riconciliare noi al Padre, si è volontariamente consegnato alla morte. Egli lo fece per glorificarci, facendoci rifulgere con la bellezza della propria divinità, tanto quanto, in proporzione, egli stesso accettò di essere disonorato con i patimenti dovuti a noi» (Massimo il Confessore, Capitoli vari sulla teologia, IV, 50).

Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa, Ebr 10,32 ora esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo. Ebr 10,33 Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere derubati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e duraturi. Ebr 10,34 Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa. Ebr 10,35 Avete solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso. Ebr 10,36 Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve venire, verrà e non tarderà. Ebr 10,37 Il mio giusto per fede vivrà; ma se cede, non porrò in lui il mio amore. Ebr 10,38 Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima. Ebr 10,39

L’omileta invita a non abbandonare la fede. Origine, riprendendo la stessa esortazione, chiede al cristiano di non tornare alla situazione precedente che aveva vissuto da pagano. Egli è simile al caso di Gerusalemme. Prima di diventare la città santa di Dio, era stata Gebus, la capitale dei Gebusei. La città non deve abbandonare la sua nuova realtà per tornare ad essere com’era stata in precedenza. «Gebus significa calpestata. Gebus, ossia l’uomo calpestato dalle potenze avverse, è stato cambiato ed è diventato Gerusalemme, visione di pace. Se, dopo essere stato cambiato da Gebus in Gerusalemme, hai peccato e hai calpestato il Figlio di Dio chi ti risparmierà? Ognuno di noi quando pecca, soprattutto se gravemente, pecca contro Gesù, e se giunge fino all’apostasia, fa a Gesù ancora di più spiritualmente, di quello che gli fece Gerusalemme corporalmente» (Origene, Omelie su Geremia, XIII, 2).

La fede (11,1-2)

La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Ebr 11,1 Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Ebr 11,2

«La fede è fondamento di ciò che si spera. Per fede si possiede già, in un certo modo, ciò che Dio ha promesso e che di conseguenza si spera. È prova di ciò che non si vede. Prova significa modo di conoscere. Il predicatore esprime due degli effetti della fede; il primo, più dinamico, corrisponde di più alla mentalità biblica; il secondo, speculativo, corrisponde alla mentalità greca, avida di conoscenza. Gli esempi dati faranno riferimento ora all'uno, ora all'altro» (Vanhoye).
 Le due accezioni della fede compaiono anche in san Massimo: «Noi partecipiamo alla sostanza di tutti i beni futuri, a noi già mostrata nello stesso Cristo Signore» (Massimo il Confessore, Sul Padre nostro). «La fede è una conoscenza verace che mostra beni indicibili». (Massimo il Confessore, Capitoli vari, II, 7)

La fede dei Padri: Abele, Enoc, Noè (11,3-7)

Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile. Ebr 11,3 Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora. Ebr 11,4 Per fede, Enoc fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. Ebr 11,5 Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano. Ebr 11,6 Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si vedevano, preso da sacro timore, costruì un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede. Ebr 11,7

L’autore della lettera legge in modo positivo la storia degli uomini e d’Israele, prima di Cristo. Abele richiama la morte di Gesù; Enoc la sua resurrezione e ascensione al cielo; Noe, l’impegno di Cristo per salvare gli uomini dal dilagare del male.
«Il mistero della salvezza umana non è mancato in nessuna epoca. L'incarnazione del Verbo, quando ancora doveva avvenire, produsse la stessa salvezza che elargisce ora. Non è stato compiuto troppo tardi quello che sempre è stato creduto, ma la sapienza e la benignità divina, procrastinando l'opera della salvezza, ci ha resi più capaci della sua vocazione. Dio, fin dalla creazione del mondo istituì il principio di salvezza, uno e identico per tutti. Infatti la grazia di Dio, con cui sono stati sempre giustificati i santi, ha ricevuto solo un incremento dalla nascita del Salvatore, non il suo inizio» (Leone Magno, Sermoni, XXIII,4).
La fede ci rende graditi a Dio: «Per ottenere la grazia e l’unione con l’Amato, l’anima non può avere miglior abito interiore di quello del vestito bianco della fede, principio e fondamento degli altri vestiti delle virtù. In fatti senza di essa è impossibile piacere a Dio, e con essa è impossibile non piacergli» (Giovanni della Croce, 2 Notte oscura, 21,4)

Abramo (11,8-22)

Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Ebr 11,8 Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Ebr 11,9 Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Ebr 11,10 Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Ebr 11,11 Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Ebr 11,12 Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Ebr 11,13 Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Ebr 11,14 Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; Ebr 11,15 ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città. Ebr 11,16

Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, Ebr 11,17 del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza. Ebr 11,18 Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo. Ebr 11,19 Per fede, Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche in vista di beni futuri. Ebr 11,20 Per fede, Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si prostrò, appoggiandosi sull’estremità del bastone. Ebr 11,21 Per fede, Giuseppe, alla fine della vita, si ricordò dell’esodo dei figli d’Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa. Ebr 11,22

Abramo attende la città dalle salde fondamenta, ossia la comunione piena con Dio. Si sente straniero sulla terra e cerca i beni celesti. È ciò che l’autore della lettera suggerisce anche ai cristiani; non devono abbarbicarsi a beni passeggeri ma cercare la comunione con Dio con Cristo risorto. «Mediante la morte e la risurrezione di Cristo, Dio ha edificato il luogo in cui i cristiani sono messi in grado di prendere parte alla vita celeste con lui» (Manzi, 1642)
Inoltre Abramo ebbe fede nella risurrezione, e, per la sua fede, poté riavere il figlio Isacco. La fede nella resurrezione del patriarca ha consistito nella convinzione che Dio gli avrebbe restituito il figlio, anche se lui l’avesse ucciso. La sopravvivenza di Isacco è una prefigurazione che ha sperimentato la sua realizzazione nella risurrezione di Gesù. I cristiani, a loro volta, devono credere realmente alla risurrezione di Gesù.
«Cerchiamo di comprendere, o diletti, come Dio ci mostri di continuo la risurrezione che dovrà avvenire, di cui ci ha dato la primizia, il Signore Gesù Cristo, risuscitandolo di morti» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 24,1).

Mosè e altri credenti (11,23-12,3)

Mosè ribadì la prospettiva di fede dei genitori e, appena gli fu possibile, rinunciò ad una vita agiata, esposto al pericolo del peccato e priva di un senso di solidarietà con i fratelli. Il predicatore, poi, gli attribuisce una certa intuizione circa le sofferenze del Messia futuro e la disponibilità ad imitarle. Seppe opporsi al potere e contemplare i beni ancora invisibili, promessi da Dio. I suoi ascoltatori devono imitarne la fede.

Per fede, Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell’editto del re. Ebr 11,23 Per fede, Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, Ebr 11,24 preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere momentaneamente del peccato. Ebr 11,25 Egli stimava ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto l’essere disprezzato per Cristo; aveva infatti lo sguardo fisso sulla ricompensa. Ebr 11,26 Per fede, egli lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; infatti rimase saldo, come se vedesse l’invisibile. Ebr 11,27 Per fede, egli celebrò la Pasqua e fece l’aspersione del sangue, perché colui che sterminava i primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti. Ebr 11,28 Per fede, essi passarono il Mar Rosso come fosse terra asciutta. Quando gli Egiziani tentarono di farlo, vi furono inghiottiti. Ebr 11,29

Gli altri personaggi dell’antico Testamento sono descritti senza ordine cronologico, a scopo di produrre un effetto di accumulo: sono moltissimi quelli che, fidandosi di Dio, hanno ottenuto risultati impensabili.

Per fede, caddero le mura di Gerico, dopo che ne avevano fatto il giro per sette giorni. Ebr 11,30 Per fede, Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto con benevolenza gli esploratori. Ebr 11,31 E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti; Ebr 11,32 per fede, essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, Ebr 11,33 spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Ebr 11,34 Alcune donne riebbero, per risurrezione, i loro morti.

I giusti tollerarono anche le persecuzioni. Tuttavia, per poter entrare nel riposo di Dio, hanno dovuto attendere che Cristo, con il suo mistero pasquale, aprisse la via verso il Padre.

Altri, poi, furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Ebr 11,35 Altri, infine, subirono insulti e flagelli, catene e prigionia. Ebr 11,36 Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – Ebr 11,37 di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. Ebr 11,38 Tutti costoro, pur essendo stati approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso: Ebr 11,39 Dio infatti per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. Ebr 11,40 Dio per noi aveva predisposto qualcosa di meglio, affinché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.

«Se vogliamo essere con i profeti, guarda le vite dei profeti, come per le loro accuse, rimproveri, biasimi, venivano processati, contestati, lapidati, torturati… Che c’è da stupirsi se volendo imitare la vita dei profeti, accusando, biasimando il peccatore, si é calunniati, odiati, esposti alle congiure? Se soltanto sapessi, quando sono ingiuriato, che per nessun altro motivo lo sono se non per il Cristo; e se sapessi, quando sono nelle angosce, che le ragioni delle angosce è il Cristo. Noi tutti dunque, per quanto possiamo, tendiamo alla vita degli apostoli, senza fuggirne le difficoltà, perché, se l’atleta fugge le difficoltà della gara, non gusterà la dolcezza della corona» (Origene, Omelie su Geremia, XIV, 14).
«Ritengo non sia giusto chiamare il termine della vita presente 'morte', ma piuttosto liberazione dalla morte, libertà dalla schiavitù, cessazione del tumulto, sollievo dalle pene, scampo dalle passioni e, in una parola, termine di tutti i mali. E queste cose i santi le hanno già realizzate mediante la mortificazione volontaria, facendosi stranieri e pellegrini in questa vita, perché combattevano generosamente contro il mondo. Hanno custodito la dignità della loro anima libera dalla schiavitù» (Massimo il Confessore, Capitoli vari, V, 76).
Gli uomini che hanno vissuto una fedeltà eroica a Dio sono stati davvero molti! I cristiani devono imitare tali esempi di fede e saper scontrarsi con le modalità in cui il peccato si radica in ogni società.

Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, Ebr 12,1 tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Ebr 12,2 Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Ebr 12,3

«Sono molti quelli che combattono i sacerdoti del Vangelo di Cristo, e molti lo contrastano e gli gridano contro. Ma, sebbene siano assaliti da un grande terrore e sballottati da ondate di insidie, coloro che sono veramente discepoli non rifiuteranno i tormenti finché non abbiano portato a termine le opere del loro amore, e parlo d'un amore identico a quello che ci dimostrò il Salvatore il quale, «per la gioia a lui proposta, tollerò la croce, sprezzatane l'ignominia», per dare la salvezza ai peccatori» (Cirillo d’Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni, X, II).

La correzione di Dio (12, 4-10)

Il predicatore considera la persecuzione o altre sofferenze sperimentate dalla comunità come un severo atto pedagogico di Dio. Esclude, quindi, l’idea che essa sia una punizione divina. Per illustrare questo suggerimento, cita e commenta  il passo di Proverbi 3,11-12.

Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato Ebr 12,4 e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; Ebr 12,5 perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio. Ebr 12,6 È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Ebr 12,7 Se invece non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli! Ebr 12,8 Del resto noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri terreni e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre celeste, per avere la vita? Ebr 12,9 Costoro infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità. Ebr 12,10

Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato. «Il peccato esercita uno stimolo violento ed è come un nemico armato: la resistenza la fa chi rimane in piedi» (G. Crisostomo, OLE, XXIX, 1).
Dio vi tratta come figli. «Il padre corregge il figlio perché si ricreda, non per punirlo, per fargli espiare la colpa o per farlo soffrire. A motivo delle tribolazioni, quei fedeli pensavano invece d’essere stati abbandonati. Sono i malvagi a scontare la propria malvagità. Sono loro ad essere puniti come colpevoli, non corretti come figli. Voi invece siete trattati come figli» (G. Crisostomo, OLE, XXIX, 1)
Dio invece lo fa per il nostro bene. «A differenza di certi padri, Dio non corregge in vista del suo vantaggio, ma in vista del nostro. Con Dio, sperimentiamo un amore autentico: essere amati da chi non ha nulla da guadagnare dalla sua benevolenza. Ci vuol bene non per ricevere, ma per dare; cerca in tutti i modi di metterci in grado di ricevere i suoi benefici. Voi, però, non vi date nessuna premura di ricevere. La correzione è utile, è un avviamento alla santità quando ci libera dall’accidia e dai cattivi desideri. Ha detto il Signore che la via che conduce alla vita è disagiata. Prendi una di quelle piante che crescono nei deserti e sono flagellate dai venti e mettila in un terreno umido e ombreggiato: vedrai che divenga molto inferiore a quella che sta nel posto originario» (G. Crisostomo, OLE, XXIX, 2-3).

Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Ebr 12,11 Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche Ebr 12,12 e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. Ebr 12,13

Ogni correzione non sembra causa di gioia: «Quelli che bevono medicine amare, prima ne sentono disgusto, ma poi ne provano vantaggio. Non meravigliarti se una correzione amara produce frutti dolci: negli alberi di solito la scorza è insipida e aspra, ma i frutti sono dolci» (G. Crisostomo, OLE, XXX,1).
Rinfrancate le ginocchia fiacche. «Vedi come spesso affida a ciascuno la cura della salvezza comune? Non gettate tutto il carico addosso ai vostri maestri o ai vostri capi; anche voi vi potete edificare gli uni gli altri. Potete farvi scambievolmente maggior bene di noi; poiché per più tempo vi trovate insieme, e le vostre cose le conoscete meglio di noi. Chi è sotto lo stimolo della passione, non riesce a dominarsi facilmente ma ha bisogno di te. Non pretendere, però, di correggere tutto in una volta sola, perché non ci riuscirai, ma procedi adagio, a poco a poco. Esortalo a farti il favore di correggere te, se vede qualche difetto in te. Così sopporterà di essere corretto pure lui» » (G. Crisostomo, OLE, XXX,2-3).

Fedeli alla vocazione cristiana (12,13-29)

Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore; Ebr 12,14 vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati. Ebr 12,15 Non vi sia nessun fornicatore, o profanatore, come Esaù che, in cambio di una sola pietanza, vendette la sua primogenitura. Ebr 12,16 E voi ben sapete che in seguito, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto: non trovò, infatti, spazio per un cambiamento, sebbene glielo richiedesse con lacrime. Ebr 12,17

Cercate la pace con tutti « Molte sono le caratteristiche del cristianesimo, ma la più importante ed eccellente di tutte è la reciproca carità e pace. Per questo Cristo dice: «Vi do la mia pace». Che dici? Siamo tra lupi e vuoi che siamo come pecore? Certo! Non c’è cosa che tanto svergogni chi ci fa il male, quanto il fatto che noi sopportiamo l’offesa, senza vendicarci. Questo ci fa diventare più virtuosi e procura il bene anche ai nemici. Quel tale ti ha fatto del male? Tu parlane bene! Osserva quanti vantaggi te ne vengono: spegni il male, ti meriti una grande ricompensa, dai una lezione a quello e a te non viene alcun danno» (G. Crisostomo, OLE, XXXI, 1 e XXX,1).
Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice velenosa. «Chiama velenoso, amaro, il peccato. Lo sanno quelli che, dopo aver peccato, sentono il tormento della coscienza, che ne avverte tutta l’amarezza; è tanto velenosa che fa quasi impazzire» (G. Crisostomo, OLE, XXXI, 1). «L’uomo triste si comporta sempre male. La preghiera dell’uomo triste non ha mai la forza di salire all’altare del Signore. Come l’aceto e il vino mescolati insieme non hanno lo stesso sapore, così la tristezza frammista allo Spirito Santo non conserva la stessa preghiera» (Il Pastore di Erma, XLII, 2-3).
Nessuno sia come Esaù «Nessuno sia profanatore come Esaù, cioè intemperante, mondano. Per negligenza rinunciò al dono concessogli da Dio e per un breve piacere perdette onore e gloria. Come mai non trovò spazio per un cambiamento? Il suo non era vero pentimento, come non lo era la tristezza di Caino (e lo si vide dall’uccisione di Abele). Anche nel caso di Esaù, le parole non indicano che fosse pentito, tanto è vero che egli pensò di uccidere Giacobbe» (G. Crisostomo, OLE, XXXI, 1-2).

Anticipo della vita eterna

L’omileta introduce un nuovo confronto tra Israele e la Chiesa. Entrambi si sono avvicinati a Dio ma se un tempo prevaleva un timore sacro, prossimo alla paura, ora deve prevalere la confidenza.

Voi infatti non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, Ebr 12,18 né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Ebr 12,19 Non potevano infatti sopportare quest’ordine: Se anche una bestia toccherà il monte, sarà lapidata. Ebr 12,20 Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Ebr 12,21

«Gli ebrei al Sinai videro tenebre e udirono una voce. Anche tu hai udito una voce, non attraverso la tenebra, ma attraverso la carne, ossia mediante la presenza di Gesù. Non ti sei spaventato né turbato ma sei rimasto in piedi a parlare con Colui che ti riconciliava con Dio. Allora persino Mosè ebbe timore; adesso, nessuno; allora il popolo rimase giù, noi invece non siamo in basso, ma siamo più alti del cielo, vicini a Dio come figli» (G. Crisostomo, OLE, XXXII,2).

Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa Ebr 12,22 e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, Ebr 12,23 a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele. Ebr 12,24

«Vedi con quanti argomenti mostra la superiorità del Nuovo sull’Antico. Invece della Gerusalemme terrestre, c’è quella celeste. Invece del popolo, c’è la festosa assemblea degli angeli. Chi sono i primogeniti di cui parla? Sono tutte le schiere dei fedeli che chiama anche spiriti dei giusti resi perfetti. Voi sarete con loro. Che significa il sangue dell’alleanza che parla meglio di quello di Abele? Si riferisce al sangue di Cristo che ha purificato tutti» (G. Crisostomo, OLE, XXXII,2). Nell’esperienza di comunione con Dio, l’uomo vive la cittadinanza celeste: «L’anima aderisce al Signore e il Signore ha misericordia, l’ama, viene a lei e si unisce a lei, e i pensieri dell’anima rimangono senza posa nella grazia del Signore. L’uomo e Dio diventano un solo spirito, una cosa sola, un solo pensiero. Se il corpo giace a terra, l’anima con i suoi pensieri vive tutta nella Gerusalemme celeste» (Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II), 46,3). «Sforzati di essere inscritto nella chiesa dei cieli con i primogeniti, per trovarti alla destra della maestà dell’Altissimo. Sforzati di entrare nella città santa, la Gerusalemme di pace, ove è il paradiso. In che modo potrai essere giudicato degno di questi meravigliosi e beati modelli se non versando lacrime di pentimento?» (Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II), 25,7).

Perciò guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla, perché, se quelli non trovarono scampo per aver rifiutato colui che proferiva oracoli sulla terra, a maggior ragione non troveremo scampo noi, se volteremo le spalle a Colui che parla dai cieli. Ebr 12,25 La sua voce un giorno scosse la terra; adesso invece ha fatto questa promessa: Ancora una volta io scuoterò non solo la terra, ma anche il cielo. Ebr 12,26 Quando dice ancora una volta, vuole indicare che le cose scosse, in quanto create, sono destinate a passare, mentre rimarranno intatte quelle che non subiscono scosse. Ebr 12,27 Perciò noi, che possediamo un regno incrollabile, conserviamo questa grazia, mediante la quale rendiamo culto in maniera gradita a Dio con riverenza e timore; Ebr 12,28 perché il nostro Dio è un fuoco divorante. Ebr 12,29

La confidenza di cui gode il cristiano non può diventare un pretesto per agire con noncuranza o con arroganza. Non dobbiamo voltare le spalle a Cristo che ci parla dal cielo. Permane la forza irresistibile del giudizio di Dio, paragonabile alla voracità del fuoco.
Il fuoco divino opera molteplici azioni nel credente: «Vi è un fuoco dello Spirito che rianima l’ardore dei cuori, illumina le anime, le prova come oro puro e consuma la loro malizia come paglia. Il nostro Dio è fuoco che divora. Fa giustizia con fiamma di fuoco di quanti non obbediscono al suo Vangelo» (cf. Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II), 25,9). «Quando vuole, Dio diventa fuoco che brucia ogni passione malvagia, è detto infatti: il nostro Dio è un fuoco divorante. Quando vuole, diventa riposo ineffabile, perché l’uomo goda di un riposo divino. Quando vuole, diventa gioia e pace riscaldando e avvolgendo l’anima di tenere cure» (Pseudo-Macario, Omelie spirituali (II), 4,11).

Ultime raccomandazioni (13, 1-19)

L’amore fraterno resti saldo. Ebr 13,1 Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ebr 13,2 Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo. Ebr 13,3 Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. Ebr 13,4 La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. Ebr 13,5 Così possiamo dire con fiducia: Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l’uomo? Ebr 13,6

L’amore fraterno resti saldo: «Siamo buoni gli uni verso gli altri in modo conforme alla compassione e alla dolcezza di Colui che ci ha fatto» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 14,3) «Il legame dell'amore di Dio chi potrebbe raccontarlo? La magnificenza della sua bellezza chi sarebbe capace di esprimerla? L'altezza, alla quale solleva l'amore, è inenarrabile. L'amore ci attacca a Dio, l'amore copre una moltitudine di peccati, l'amore tutto sopporta, tutto tollera; non c'è nulla di volgare nell'amore, nulla di superbo: l'amore non ha divisione, l'amore non crea discordie, l'amore tutto compie nella concordia. Nell'amore sono stati resi perfetti tutti gli eletti di Dio; senza amore non c'è nulla di gradito a Dio. Tutte le generazioni da Adamo sino a questo giorno sono passate; ma quelli che sono stati resi perfetti nell'amore per la grazia di Dio si trovano nel luogo dei pii: saranno manifestati all'avvento del regno di Cristo» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 49,1-5)

Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede. Ebr 13,7 Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre! Ebr 13,8 Non lasciatevi sviare da dottrine varie ed estranee, perché è bene che il cuore venga sostenuto dalla grazia e non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne fanno uso. Ebr 13,9 Noi abbiamo un altare le cui offerte non possono essere mangiate da quelli che prestano servizio nel tempio. Ebr 13,10 Infatti i corpi degli animali, il cui sangue viene portato nel santuario dal sommo sacerdote per l’espiazione, vengono bruciati fuori dell’accampamento. Ebr 13,11 Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, subì la passione fuori della porta della città. Ebr 13,12 Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore: Ebr 13,13 non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura. Ebr 13,14

Ricordatevi dei vostri capi... «Figlio mio, ricordati di giorno e di notte di chi predica la parola di Dio e onoralo come il Signore; dove è annunziata la maestà ivi è il Signore» (Didaché IV, 1 e XI, 8).
Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre. «Il Verbo di Dio manifesta di sé quanto sa esserne capace colui che lo riceve. Non diminuisce la manifestazione della sua grandezza per gelosia, ma valuta la capacità di quelli che desiderano vederlo. Così il Verbo di Dio, pur manifestandosi sempre nei modi propri di chi ne partecipa, permane sempre invisibile conforme alla sovreminenza del mistero. Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi. È sempre nuovo e mai l’intelletto lo comprenderà invecchiato» (Massimo il Confessore, Capitoli vari, I,8)
Usciamo verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore. «Che cosa significa? Vuol dire sopportare con lui gli oltraggi; non senza motivo subì la passione fuori della città, perché anche noi portassimo la sua croce restando estranei a questo mondo, sforzandoci di rimanere fuori» (G. Crisostomo, OLE, XXXIII, 4).

Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome. Ebr 13,15

Offriamo a Dio un sacrificio di lode. «Rivolgiamo l'attenzione a quel che diciamo a conclusione della preghiera: Per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore. La Chiesa cattolica esalta Cristo per quel mistero per cui uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo (1 Tm 2,5). Per lui, che si è degnato farsi vittima per noi, il nostro sacrificio può essere trovato accetto agli occhi di Dio. Per questo il beato Pietro ci ammonisce dicendo: Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo (1 Pt 2,5)» (Fulgenzio di Ruspe, Lettere, 14, 36) «Tutti quelli che sono stati unti con l'unguento del sacro crisma battesimale, sono divenuti sacerdoti, come Pietro dice a tutta la Chiesa: Voi stirpe eletta, regale sacerdozio, nazione santa (1 Pt 2,9). Siete dunque stirpe sacerdotale e perciò avete accesso al santuario. Se rinuncio a tutto quello che possiedo, prendo la mia croce e seguo il Cristo offro un olocausto all'altare di Dio; o se consegno il mio corpo a bruciare, avendo la carità e conseguo la gloria del martirio, offro me stesso in olocausto all'altare di Dio. Se amo i miei fratelli, fino a dare la mia vita per i miei fratelli, se combatto fino alla morte per la giustizia, per la verità, offro un olocausto all'altare di Dio. Se faccio morire le mie membra ad ogni concupiscenza della carne, offro un olocausto all'altare di Dio e io stesso divento sacerdote della mia vittima» (Origene, Omelie sul Levitico, IX, 9).

Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace. Ebr 13,16

«Alla fine della riunione nel giorno del Sole, coloro che hanno in abbondanza e lo vogliono, danno a loro piacimento quanto credono. Ciò che è raccolto, è deposto presso colui che preside ed egli soccorre gli orfani, le vedove, chi è nel bisogno per la malattia o altra ragione, i carcerati e i viandanti; si prende cura di tutti i bisognosi» (cf. Giustino, Apologia I, 66-67).

Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi e devono renderne conto, affinché lo facciano con gioia e non lamentandosi. Ciò non sarebbe di vantaggio per voi. Ebr 13,17 Pregate per noi; crediamo infatti di avere una buona coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto. Ebr 13,18 Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché io vi sia restituito al più presto. Ebr 13,19

Obbedite ai vostri capi... «Voi che avete gettato le fondamenta della discordia, sottomettetevi ai presbiteri e fatevi correggere. Imparate la sottomissione poiché è meglio per voi essere trovati piccoli e accreditati nel gregge di Cristo che ricolmi d’onore e rigettati dalla sua speranza» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 57,1). «Nulla venga fatto senza la tua approvazione e tu non fare nulla senza Dio, cosa che certo non fai» (Ignazio d’Antiochia, Lettera a Policarpo, 4,1).

Epilogo (13,20-25)

Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, Ebr 13,20 vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. Ebr 13,21 Vi esorto, fratelli, accogliete questa parola di esortazione; proprio per questo vi ho scritto brevemente. Ebr 13,22 Sappiate che il nostro fratello Timòteo è stato rilasciato; se arriva abbastanza presto, vi vedrò insieme a lui. Ebr 13,23 Salutate tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi salutano quelli dell’Italia. Ebr 13,24 La grazia sia con tutti voi. Ebr 13,25

La grazia sia con tutti voi. «Non respingiamo la grazia. Una nave che ha il vento favorevole, non trova difficoltà e non ci si deve affaticare ai remi. Così pure l’uomo fortificato dallo Spirito supera le onde tempestose della vita e solca la via che porta al cielo. Le sue candide vele sono gonfiate proprio dal Paraclito» (G. Crisostomo, OLE, XXXIV,3). 

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