venerdì 30 dicembre 2011

Synkatabasis: l'incontro tra Dio e l'uomo

La Sacra Scrittura racconta e celebra la fedeltà di Dio per gli uomini. La chiesa antica ha coniato un termine che la rievocava in modo appropriato: synkatabasis, amore accondiscendente. 
II termine richiama un movimento di discesa e di accompagnamento.
Gregorio di Nissa vede annunciata la synkatabasis nella parabola del Buon Samaritano, poiché ritiene che il Signore Gesù sia stato il buon samaritano per antonomasia, sceso a cercare l'umanità intera: «Col termine "è disceso" si indica il Signore che e disceso per colui che scendeva da Gerusalemme a Gerico e che incappò nei briganti; e disceso insieme con l'uomo caduto in mano ai nemici, condividendone la sorte. Con questa parabola si allude alla discesa amorosa dell'Immensità immortale nella miseria della nostra natura».
Vediamo, ora, come veniva rievocata dai Padri la discesa amorosa di Dio nel mondo.
La prima "discesa" avviene con la creazione stessa. Isacco di Ninive contempla l’atto creativo ponendolo in relazione con la discesa del Cristo nel mondo, come se insieme costituissero due modi diversi della medesima accondiscendenza: «Una é la causa dell’esistenza del mondo e della venuta del Cristo nel mondo, la rivelazione della grande carità di Dio».
La Trinità Santa non ha voluto trattenere per sé la sua ricchezza ma ha voluto che altri essere godessero della sua bontà. Il Verbo, collaborando col Padre, ha agito nello stesso senso: Egli «é creatore della natura umana, non indotto alla formazione dell'uomo da qualche necessita, ma spinto alla creazione di una tale creatura dalla sovrabbondanza dell'amore. Perché la sua luce non doveva restare invisibile, né la sua gloria senza testimone, né la sua bontà senza chi ne godesse».
Da quando ha avuto inizio l'amore di Dio verso il mondo? In realtà, precisa Isacco il Siro, «anche se v'era tempo in cui la creazione non era venuta alla sua esistenza, pure non v'e un tempo in cui Dio non abbia posseduto la sua carità verso di lei, perché, anche se essa non era, pure per Dio non v'e tempo in cui la creazione non sia nella sua conoscenza».
Come ho ricordato, Dio non e stato indotto a creare spinto da qualche necessita, ma dal suo sentimento di generosità estrema. Questo non era forse stato compreso e sostenuto anche dalla filosofia? Secondo Plotino, l'Uno, il divino trascendente, e l'infinito Bene che non e avaro delle sue ricchezze né invidia chi ne può essere partecipe. La filosofia di Plotino e fondata sopra questa intuizione religiosa della infinita liberalità dello svelarsi di Dio. Gregorio di Nissa conosceva questa grande dottrina filosofica, eppure egli non dice soltanto che Dio e il Bene che irradia bontà, ma, riecheggiando la Scrittura, dichiara che Dio é amore.
«In che cosa si differenzia questa filosofia religiosa da quella cristiana? Per la consapevolezza di questa verità semplice e pro-fonda: che nel donare quel che più conta è l'animo di colui che dona, cioè a dire, che la liberalità ha un autentico pregio soltanto se si interiorizza in dedizione per amore e il Bene, dunque, amando le sue creature non si abbassa, ma celebra il suo sovrano valore. Il Bene, nel suo assoluto concetto, é soltanto il Dio-Amore, perché l'amore vale per se stesso più che ogni altro bene. Ma era una verità che doveva cambiare il volto del mondo, e forse per raggiungerla, non poteva bastare soltanto una filosofia».
Il cuore dell'annuncio della Scrittura sta proprio in questo: Dio è amore. Egli non solo benefica gli uomini ma entra in dialoga con loro: affida loro delle responsabilità, li rende partecipi di un progetto, ascolta la loro voce, attende la loro risposta.
Ho parlato della accondiscendenza di Dio nell'atto creativo ma come è avvenuta la discesa di Dio nel corso della storia? Origene insegna che Dio nutre una «passione d'amore» per noi. Da quando esiste il mondo, Dio Padre partecipa misteriosamente al dolore de-gli uomini e una tale compartecipazione sta all’origine dell'invio compassionevole del Figlio suo nel mondo. «II Salvatore e disceso sulla terra mosso a pietà del genere umano, ha sofferto i nostri dolori prima ancora di patire la croce e degnarsi di assumere la nostra carne; se egli non avesse patito, non sarebbe venuto a trovarsi nella condizione della nostra vita di uomini. Prima ha patito, poi e disceso e si e mostrato. Quale è questa passione che per noi ha sofferto? E la passione dell'amore. Persino il Padre, il Dio dell'universo, "pietoso e clemente e ricco di benevolenza", non soffre anche lui in certo qual modo? Non sai che quando governa le cose umane, condivide le sofferenze degli uomini? Infatti "il Signore tuo Dio ha sopportato i tuoi costumi, come il Figlio di Dio porta le nostre sofferenze. Nemmeno il Padre e impassibile. Se lo preghiamo, prova pietà e misericordia, soffre di amore e s'immedesima nei sentimenti che non potrebbe avere, data la grandezza della sua natura, e per causa nostra sopporta i dolori degli uomini».
In realtà, parlando di patimento in Dio, Origene ricorre ad un linguaggio estremo e non si preoccupa affatto di precisare la questione in termini filosofici. Lasciandosi guidare dalla Sacra Scrittura, diventa capace di sfidare la cultura dell’epoca ed introdurre un elemento di grande novità.
In un'altra circostanza, commentando l'episodio della visione avuta da Giacobbe della scala posta tra cielo e terra, Origene n riesce ad immaginare che Dio rimanga sulla cima ad osservare differente la faticosa ascesa dell'uomo verso di lui e così afferma «Non ha detto: Ho visto il Signore che stava in piedi sul quindicesimo gradino; noi non potremmo giungere al Signore se stesse eretto, in piedi. Ma nota quanto dice: lo vide appoggiato sulla scala Nota quanto dice: dalla posizione eretta si è curvato, si è abbassato affinché noi potessimo salire. II Signore rimane curvo, si è abbassato per te: sali sicuro».



L’agape di Dio nella redenzione e nella divinizzazione

La "passione d'amore" divina si manifesta ancora maggiormente nella donazione del Figlio e nella comunicazione a noi della sua stessa vita. Origene pone a confronto creazione e redenzione vede nella seconda l'autentica meraviglia dell'accondiscendenza divina: «I cieli confessano le tue meraviglie, Signore. Quali meraviglie? Perché hai creato il cielo? O perché hai posto le fondamenta alla terra? Ma quale importanza può avere questo per Dio, per quale dire e creare tutte le cose è stato istantaneo? Questo grande per Dio, queste furono le meraviglie di Dio: che Dio si è fatto uomo, che si sia occultato nel grembo della Vergine...., che sia stato ferito dagli uomini lui che guariva le ferite degli uomini, c sia stato schiaffeggiato, crocifisso, che abbia sopportato la morte lui che soffrì tutte queste cose perché gli uomini non dovesse sopportarne la pena».
Cabasilas rimarca questa convinzione. A suo parere, ci sono di modi con cui l'amante può beneficare l'amato; il primo consiste nel procuragli tutto il bene possibile, il secondo nello scegliere di soffrire per lui. Dio Padre, amico degli uomini, aveva sempre cerca di colmarli dei suoi benefici, ma tuttavia Egli era rimasto come lontano da loro, «L'amore era oltre misura, ma mancava il segno che lo rendesse manifesto. Eppure non doveva restare nascosto quanto immensamente Dio ci amasse: quindi, per darci esperienza del suo grande amore e mostrare che ci ama di un amore senza limiti, Dio inventa il suo annientamento, lo realizza e fa in modo di divenire capace di soffrire e di patire cose terribili. Cosi, con tutto quello che sopporta, Dio convince gli uomini del suo straordinario amore per loro e li attira nuovamente a sé, essi che fuggivano il Signore buono credendo di esserne odiati».
Dio inventa il suo annientamento per poter divinizzarci. La deificazione, dono estremo dell'accondiscendenza, e basata sullo scambio e perciò sulla "discesa" del Signore fino a noi. Lo esprimo servendomi di una formulazione classica: «L'opera più perfetta dell'amore consiste nell'effettuare uno scambio relazionale fra coloro che esso unisce in modo che giungano a convenire ad entrambi le rispettive proprietà e denominazioni». L'amore, allora, costringe Dio a farsi uomo per rendere l'uomo dio. II Verbo diventa uomo perché l'uomo possa acquistare la dignità di figlio di Dio;
non riceve una figliolanza qualsiasi, ma la possibilità di assimilare quel modo di essere figlio proprio del Verbo stesso, non soltanto sul piano giuridico ma su quello della realtà.
La serie di testi che ho presentato ci offre la possibilità di cogliere le caratteristiche proprie dell'agape, dell'amore che appartiene a Dio. Facendoci aiutare da A. Nygren, possiamo ricapitolarle in questo modo:l’agape e la via di Dio verso l'uomo, il suo abbassamento (o, per richiamare il testo di Cabasilas, l'invenzione del suo annientamento), perciò essa è anche sacrificio. L'agape è amore disinteressato, «non cerca il proprio vantaggio», è dono di sé. Non si rivolge a delle creature belle, attratta dal loro fascino, ma si riversa su una creazione deformata e la rende bella perché l'ama. L’agape ama e crea un valore nel suo oggetto. Di conseguenza essa è anche sovrana rispetto al suo oggetto, vale per i "buoni" come per i cattivi.



La risposta dell'uomo alla rivelazione della bellezza divina

«Nel cuore dell’uomo v'è un impulso molto nobile: ascendere direttamente a ciò che é alto e perfetto. Ma la realtà più alta e più grande, perfetta in senso assoluto è Dio; quindi il cuore umano vuole salire a Lui...».
Il desiderio dell'ascesa era gia stato espresso dalla filosofia greca. I Padri avevano avvertito il valore di questo desiderio, pur percependone nel contempo la precarietà. Apprezzano l’apertura "naturale" dell'uomo a Dio, per la quale egli e «ad immagine» di Lui, ma con questo non intendono affermare che egli sia capace con le sue sole forze di divinizzarsi o di divenire adeguato alla co-munione con Dio e degno di essa. Insegnano, piuttosto, che l'uomo e chiamato a divenire figlio di Dio e che é stato creato per la comunione con Lui. «II desiderio, che si sprigiona da questo "fondo" dell'anima é un desiderio "per privazione" e non per "inizio di possesso"». Come attesta Cabasilas: «Dio ha infuso nelle anime il desiderio di possedere il bene di cui manchiamo, e di conoscere la verità di cui siamo privi».
La rivelazione della bellezza di Dio, anziché situarsi come il risultato dello sforzo della meditazione, é stata concessa in dono e viene contemplata nell'umanità di Gesù, il Verbo incarnato: «Nelle anime umane e deposta evidentemente una grande e mirabile disposizione all’amore e alla gioia, la quale diviene pienamente ope-rante alla presenza di colui che e il vero amabile e diletto. È questa quella gioia piena di cui parla il Salvatore». Il desiderio umano di verità e di bene era rimasto in gran parte inappagato perché da nessuna parte l'uomo aveva trovato una verità e un bene sufficientemente puri. Solo in Cristo si trova una bellezza assoluta e quindi soltanto in questo incontro l'amore si risveglia in tutta la sua forza, «perciò, prima, non era noto quanto fosse grande la nostra potenza di amare e di godere, perché non erano presenti le realtà che bisognava amare e di cui si poteva godere, né era conosciuto il vincolo del desiderio e l'ardore del fuoco».



L'incontro con la bellezza divina

Quando avviene l'incontro con la Bellezza assoluta, il Cristo? I contemporanei di Gesù potevano vederlo, ascoltarlo, dialogare con Lui. Come e possibile oggi trovarsi alla sua presenza? In realtà, ora, da Risorto e più vicino a noi di quanto lo fosse e potesse esserlo da uomo terreno. «II Signore ha promesso ai suoi santi non solo di essere, ma anche di restare accanto a loro e, cosa ancora più grande, di fare dimora in loro... Addirittura sta scritto che il Signore amico degli uomini si unisce ai suoi santi con tale amore da formare un solo spirito con loro».
Dove possiamo esperimentare la sua vicinanza? L'incontro determinante con Cristo avviene nell'evento mirabile dell'iniziazione cristiana, quando il fedele viene battezzato, cresimato e ammesso al banchetto eucaristico.
II battesimo permette una vera esperienza di Dio. E necessario parlare, appunto di esperienza e non solo di conoscenza. Su questo argomento, seguo alcuni temi dell'insegnamento del grande Cabasilas. Una esperienza offre un apprendimento migliore di quello comunicato da un insegnamento perché «conoscere per esperienza, vuol dire raggiungere la cosa stessa». Nel battesimo avviene questo evento o esperienza: il Cristo presente ineffabilmente trasforma e plasma le anime degli uomini incidendo in loro se stesso; lo Spirito santo irrompe nei cuori e li rende nuovi. Cabasilas insiste: nel battesimo viene attinta una conoscenza di Dio che non consiste in ragionamenti, ma per esso «ci e dato di trovare qualcosa di più grande e di più vicino alla realtà». Che cosa accade in una parola? In esso riceviamo «una percezione immediata di Dio, prodotta dal tocco invisibile del suo raggio sull'anima».
In altre parole, possiamo paragonare il battesimo alla guarigione del cieco nato compiuta da Gesù. Il battezzato, al tocco invisibile del Signore, lo vede e così la creatura conosce il Creatore, la mente la verità, il desiderio anela al solo desiderabile.
È possibile avere un segno di riscontro della verità dell'evento? «È frutto di questa percezione la gioia ineffabile e l'amore soprannaturale, dai quali dipendono la grandezza delle opere buone, la manifestazione di imprese mirabili e la capacita di passare da vincitori [sul male]».
Ricapitolando, il credente incontra e "vede" la Bellezza del Verbo di Dio nell'evento dell'iniziazione. Questa bellezza risveglia e potenzia l’erosdell'uomo — ossia il desiderio di ascesa, il bisogno di Dio che lo inquietava da sempre, per lo più inconsapevolmente — e gli imprime una direzione precisa. L'iniziazione, pero, non e solo la presentazione agli occhi del credente della bellezza del Cristo affinché lo attragga. In essa troviamo molto di più: il Signore assume e trasforma il nostro amore nel suo. L'erosumano acquista il valore dell’agape, dell’amore proprio di Dio perché viene coinvolto nello sgorgare dell'agape infusa dall'alto nel nostro intimo. Noi diventiamo quella risposta all'amore del Padre che e stato Gesù stesso. 


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