sabato 26 luglio 2025

Eucaristia problematica

Prima Corinti capitolo 11

Alcuni comportamenti dei membri della comunità, avevano suscitato scandali e disagi, in modo particolare durante il culto. Il dovere della rinuncia ai propri diritti, convinzioni o semplici abitudini, se questa è necessaria per evitare scandali o equivoci, ricompare anche nelle questioni dibattute in questa parte della lettera (velo per le donne e capelli corti per gli uomini). Paolo deve intervenire per pacificare la comunità. A prescindere da esse, è di capitale importanza imparare a vivere nella carità, nel reciproco rispetto. L’apostolo coglie l’occasione per ricordare il significato profondo della cena del Signore (o Eucaristia) e per correggere altri comportamenti che erano in contrasto con essa. La libertà del cristiano non è imposizione dei propri punti di vista ma liberazione dall’egoismo e dall’accentramento su di sé. Libero è chi può finalmente lascia scorrere, senza intoppi, l’energia della carità infusa in lui dallo Spirito; è amore del bene per il bene, oltre ogni legge ed ogni limite, ad imitazione di Dio. 

1Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. 

Paolo ha sempre cercato di piacere al prossimo per edificarlo, non per suscitare ammirazione o consenso. Così può rendersi modello da imitare. «Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo» (Fil 3,17-18). «Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,1). «Voi, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Cristo Gesù che sono in Giudea, perché anche voi avete sofferto le stesse cose da parte dei vostri connazionali, come loro da parte dei Giudei» (1 Ts 2,14). «Dio infatti non è ingiusto tanto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che tuttora rendete ai santi. Desideriamo soltanto che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo… perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che, con la fede e la costanza, divengono eredi delle promesse» (Eb 6,10-11). 

2Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse.

Il valore delle Tradizioni di fede era già emerso nell'ebraismo: «Mattatia rispose a gran voce: «Anche se tutti i popoli che sono sotto il dominio del re lo ascoltassero e ognuno abbandonasse la religione dei propri padri, io, i miei figli e i miei fratelli cammineremo nell’alleanza dei nostri padri. Non sia mai che abbandoniamo la legge e le tradizioni. Non ascolteremo gli ordini del re per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra» (1 Mc 2,19-21). 

«Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,1-2). «State saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera» (2 Ts 2,15). «Vi raccomandiamo di tenervi lontani da ogni fratello che conduce una vita disordinata, non secondo l’insegnamento che vi è stato trasmesso da noi» (2 Ts 3,6).

3Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. 

Paolo è  venuto a sapere che alcuni insegnamenti trasmessi non venivano osservati. 

Qual è il significato del termine capo (kefale) attribuito a Cristo? Gesù Cristo porta a compimento il servizio di Mosè: «proprio lui Dio mandò come capo e liberatore, per mezzo dell’angelo che gli era apparso nel roveto» (At 7,35). Infatti, «Dio ha innalzato [Gesù] alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati» (At 5,31). Mosé e Gesù, quindi, sono capi perché liberano e salvano.

Gesù è capo perché datore di vita: «Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti» (Col 1,18). È capo perché è Salvatore: «Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo» (Ef 5,23). 

È diventato datore di vita, affrontando la sofferenza connessa al suo compito: «Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza» (Eb 2,10). Dal momento che Gesù ha dato tutto se stesso agli uomini, viene glorificato dal Padre: «Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose» (Ef 1,22-23). Chi ha dato tutto se stesso «parla come uno che ha autorità», è il capo carovana che guida alla salvezza (cf Eb 2,10). L’uomo “capo della donna” è tale quando imita l’autorità di Gesù.

Nel contesto d’una mentalità nettamente patriarcale, Paolo innesta principi di fede e di comportamento che tendono ad anticipare la novità assoluta della nuova creazione, inaugurata dalla Pasqua del Signore. La novità (escatologica) costituisce l’essenza della vita cristiana: «Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-29). La novità, già vissuta nell’assemblea eucaristica, rinnova la Chiesa e la società, entrambe refrattarie ad accogliere in totalità la novità del Vangelo, al modo del lievito che fermenta tutta la pasta con gradualità. 

4Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. 5Ma ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo, perché è come se fosse rasata. 6Se dunque una donna non vuole coprirsi, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. 

v.5 Consente che una donna preghi o profetizzi nell’assemblea di culto. Questo è l’elemento nuovo, di enorme importanza. Vuole, però, che compia questo servizio a capo coperto. L’eccessiva disinvoltura, attuata nel profetare a capo scoperto, creava scandalo per la mentalità dell’epoca. Ribadisce, quindi, il principio già sostenuto nella questione delle carni offerte agli idoli: conoscere e godere d’una mentalità libera, dal punto di vista cristiano, è un sapere autentico soltanto se non ferisce la coscienza dell’altro. Chi conosce senza esercitare la carità, è un cristiano inconsistente che scompiglia e frantuma la comunione. 

Emerge, comunque, la tensione tra la novità evangelica che suscita nuove convinzioni e la difficoltà a recepirla. Tutti consentono al principio proclamato finchè non si arrestano inquieti di fronte alle conseguenze ultime derivanti dalla sua applicazione. Paolo deve mediare tra la difesa d’un principio da lui divulgato e la recezione pratica di esso. Questo vale anche per lui che si muove piuttosto imbarazzato nella questione. 

7L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. 8E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; 9né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. 

Il suo intento è pacificare la comunità ed eliminare una prassi per molti scandalosa. Per fare questo ha bisogno di apellarsi alla Scrittura e richiama il secondo racconto della creazione, quello che parla della formazione di Eva da Adamo. Trascura, però, il primo racconto dove sia il maschio che la femmina vengono proclamati ad immagine di Dio. L’idea che la donna fu creata per l’uomo riprende il passo dove si afferma che Dio creò per l’uomo un aiuto che gli fosse pari. Il testo, tuttavia, lascia intuire la fragilità di Adamo nel trovarsi da solo e il dono della complementarietà che riceve grazie all’esistenza di Eva. 

Per questo la donna deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli angeli. 11Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. 12Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio.

Paolo intuisce la fragilità degli argomenti che ha tirato in campo e nell’imporre un comportamento che di per sé segnala un ritorno all’idea dell’inferiorità della donna, lo trasforma in un gesto di riabilitazione: se tiene il capo coperto, onora se stessa; è un segno d’autorità a motivo degli angeli (una menzione piuttosto misteriosa). Completa il riferimento biblico a cui ha accennato (ricordando il messaggio della prima creazione?) e difende la pari dignità della donna rispetto all’uomo «dal punto di vista» del Signore [v. 11: nel Signore]; dal punto di vista degli uomini la parità è meno scontata. 

13Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna preghi Dio col capo scoperto? 14Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, 15mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La lunga capigliatura le è stata data a modo di velo. 

Ora rivela la motivazione del suo intervento pastorale così preoccupato. Il dato naturale a cui si appella è, in realtà, un elemento culturale prevalente nella società dell’epoca, dove le donne in pubblico si velavano; soltanto schiave e prostitute si muovevano a capo scoperto. Accenna anche a maschi che assumevano attitudini femminili. Un moralista appartenente allo stoicismo, Epitteto condannava la confusione tra i sessi. «C’è qualcosa di più inutile dei peli sul mento? Eppure, la natura non ha utilizzato anche questi nel modo più conveniente possibile? Non ha separato grazie ad essi il maschio della femmina? Perciò dovremmo salvaguardare i segni che Dio ci ha dati e non dovremmo rifiutarli nè per quanto dipende da noi confondere i sessi che si trovano ben distinti» (Diatribe, I,16,14). Rimproverava i maschi che facevano consistere il loro valore nella mera ricerca della bellezza fisica che comprendeva anche una cura particolareggiata dei capelli trascurando la vera bellezza che consisteva nel coltivare la rettitudine (Diatribe III,1, 7-15). 

16Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio. 

«Vi prego: diventate miei imitatori! Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa» (1 Cor 4,17). «… così dispongo in tutte le Chiese» (1 Cor 7,17). 


17Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. 

La riunione di culto, in modo particolare la celebrazione della cena del Signore, presuppone che vi sia già una certa concordia tra i fedeli e che la preghiera la renda ancora più salda. 

Nell’assenza di carità l’assemblea, invece, si raduna per il peggio. «Ammasso di stoppa è una riunione di iniqui, la loro fine è una fiammata di fuoco» (Sir 21,9). «Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità» (Is 1,13). «Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?» (1 Cor 3,3). «Dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni» (Gc 3,16).

v. 19 Quando sorgono conflitti, appare in evidenza quali siano le persone che camminano nella carità e quali, invece, si lascino trascinare da loro egoismo. 

20Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! 

La “frazione del pane” o “cena del Signore” è memoriale della passione e risurrezione del Signore nell’attesa del suo ritorno. Mediante questa liturgia, i cristiani si uniscono al Signore e fra di loro; essa li costituisce “corpo di Cristo” e, in questo, realizzano l’unità. La mancanza di tale di spirito di comunione annienta il beneficio della partecipazione alla Pasqua del Signore (v.27). Avulsa da ogni impegno etico, il rito eucaristico non si distingue più da un rito pagano, dove il proposito di vivere nella rettitudine non è neppure richiesto. 

Alcuni tentano di disgiungere la scelta di fede dal comportamento: «Essi stimano felicità darsi ai bagordi in pieno giorno; scandalosi e vergognosi, godono dei loro inganni mentre fanno festa con voi, hanno gli occhi pieni di desideri disonesti e, insaziabili nel peccato, adescano le persone instabili, hanno il cuore assuefatto alla cupidigia» (2 Pt 2,13-14). 

Paolo aveva già richiamato la necessità di uno spirito di comunione: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1 Cor 10,17). «Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: “Il Corpo di Cristo”, e tu rispondi: “Amen”. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo “Amen”. Perché [il corpo di Cristo] nel pane? Chi è questo unico pane? Pur essendo molti, formiamo un solo corpo. Ricordate che il pane non è composto da un solo chicco di grano, ma da molti» (Agostino, Discorso 272,1). 

23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 

La celebrazione eucaritica non è un’invenzione di Paolo o della Chiesa. La tradizione a cui ora accenna potrebbe indicare una tramissione orale di un comando di Gesù, iniziata già all’interno della primitiva comunità cristiana [prima ancora della composizione dei Vangeli] o, perfino, una rivelazione personale comunicata all’apostolo dal Signore. La frase indica il valore della Tradizione apostolica: la Chiesa riceve da Gesù e dagli apostoli e trasmette ai fedeli. 

Nella notte, nell’ora in cui domina la tenebra, il Signore fa risplendere la sua luce; [invece di imprecare contro il buio, accende una luce che non sarà mai spenta]. Gesù viene consegnato [tradito] da Giuda, ma in realtà è lui stesso che si consegna a Dio a favore degli uomini. [Il verbo paradidomai significa tradire o consegnare]. Gesù trasforma un crimine, in un atto d’amore totale: è la transustanziazione della sua vita. Non cerca di salvarsi, né pretende di essere salvaguardato da Dio, ma anticipa la sua auto-consegna sulla croce. 

Rendere grazie (eucharistesas): nella cena pasquale, Israele ringraziava il Signore per tutti i gesti di liberazione compiuti a suo favore, Gesù ringrazia per la liberazione che procurerà grazie alla sua morte, rende grazie per essere lui stesso il dono definitivo di Dio. Tutta la sua persona (corpo o carne), da sempre, è stata un pane, un alimento di vita; lo sarà in modo particolare nella sua morte: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,54-55). 

Spezzare è l’atto che permette la condivisione. «Spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro» (Mt 6,41). 

Fare memoria di lui è vivere come lui, all’insegna dell’amore: «Chi si unisce al Signore, forma con lui un solo spirito con lui» (1 Cor 6,17). La Pasqua è un evento perenne: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore» (Es 12,14). L’egoista è provo di senno: «A chi è privo di senno [la Sapienza] dice: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza”» (Pr 9,4-6). L’Eucarestia è il giardino del battezzato che sperimenta l’ebbrezza della virtù dell’amore : «Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d’amore» (Ct 5,1). 

25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Il calice di vino richiama alla mente il sangue che verserà alla sua morte. Il sangue veniva sparso per espiare i peccati, riconciliare e siglare l’alleanza con Dio. «Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto”. Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”» (Es 24,7-8). Gesù sparse il suo sangue per stabilire la riconciliazione con Dio: «Cristo entrò una volta per sempre nel santuario [del cielo], non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12). La sua morte consente la stipula della nuova Alleanza, promessa dai profeti: «Vi siete accostati a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele» (Eb 12,24). Il valore di questa Alleanza Nuova sta nel fatto che essa rende possibile osservare la Parola: «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31,33). «Ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Tt 2,14).

27Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 

v.27 Mangiare in modo indegno (anaxìos) è accostarsi alla mensa del Signore senza aver alcun riguardo per il corpo ecclesiale. Chi disprezza i poveri, manca di rispetto verso Cristo. Il partecipante deve esaminarsi per vedere se egli riconosce il corpo (ecclesiale) del Signore perché se, invece, crea divisioni e discriminazioni nei confronti dei più deboli, verrà condannato perché il Signore distrugge chi distrugge il suo tempio (Cf 1 Cor 3,17). 

v. 28 «Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?”. Quello ammutolì» (Mt 22,11-12). 

30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo. 

Il giudizio del Signore si attua come pedagogia severa per evitare in seguito di dover condannare. «Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te» (Dt 8,5). «Egli ferisce e fascia la piaga, colpisce e la sua mano risana» (Gb 5,18). «Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come nell'arsura estiva si inaridiva il mio vigore» (Sal 32,4). «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Gv 1,9). «È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre?» (Eb 12,7). «Sii vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato perfette le tue opere davanti al mio Dio. Ricorda come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convèrtiti perché, se non sarai vigilante, verrò come un ladro» (Ap 3,2-3). 

33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta. 

Il comando finale riassume il messaggio esposto. Gli invitati alla cena del Signore devono aspettarsi e mangiare insieme. Alcuni, come gli schiavi, ad esempio, non potevano giungere sempre in tempo. Non era possibile che ci fossero persone sazie ed altre affamate. Paolo non raccomanda impegni eroici ma semplici accorgimenti di rispetto reciproco. L’esercizio della carità comincia dal poco. «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,41). «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare altri, ma che vi sia uguaglianza» (2 Cor 8,13). «La gioia sovrabbondante [delle Chiese della Macedonia] e la loro estrema povertà hnno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità» (2 Cor 8,2). 


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