lunedì 29 aprile 2013

Basilio a Gregorio (Epistola 2)


In questa lettera Basilio spiega a Gregorio (di Nazianzo) come si propone di vivere ad Annisa, dopo aver scelto la vita monastica per suggerimento di Eustazio di Sebaste e della sorella Macrina. 


Lo scopo della solitudine e della vita ritirata

1. Ho riconosciuto la tua lettera come si  riconoscono i figli degli amici  per i tratti di somiglianza  manifesta che hanno  con i loro genitori. Mi dici che non ha alcuna importanza  per te la bellezza del luogo per risolverti a venire a vivere insieme a me. Piuttosto, invece di aver notizie sul luogo, preferiresti sapere in che modo dovrà scorrere la nostra vita. Il tuo intento è giusto e conforme alla grandezza del tuo animo. Infatti tu non dai più importanza alle cose della terra ma ti interessi alla beatitudine riposta nei cieli che ci è stata promessa. Da parte mia sono molto esitante a riferirti ciò che faccio qui, giorno e notte, in questo luogo fuori del mondo. Ho lasciato gli usi della città, occasioni di una miriade di mali, ma non sono stato in grado di abbandonare me stesso. Sono simile a quei passeggeri che soffrono di nausea e di mal di mare, a motivo della loro scarsa esperienza di navigazione. Non riescono a sopportare la mole della nave quando viene scossa da una forte tempesta. Tuttavia, dopo essersi trasferiti  in una barca più piccola o in un battello, soffro comunque lo sballottamento e il malessere: persistono ancora nausea e mal di stomaco. Questa è la mia situazione. Le passioni, che abbiamo portato con noi, anche in questo luogo ci causano  turbamenti e la solitudine non ci ha offerto alcun vero rimedio. Tuttavia dovevo fare questo passo e da questo luogo cominciamo a seguire da vicino le orme del Signore che ci guida alla salvezza. Sono quelle che ci suggerisce: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). 
2. Bisogna cercare di tenere la mente tranquilla. L'occhio che si volge di continuo da ogni parte, che ora scruta di traverso, ora in alto e ora in basso, non può osservare bene qualcosa ma, al contrario, dovrà soffermarsi su qualche oggetto, se vorrà farsene un'idea precisa. Allo stesso modo la mente dell'uomo, se viene distratta da una miriade di preoccupazioni mondane, non potrà mai contemplare la verità in modo efficace. L'uomo che non si è ancora lasciato stringere dai vincoli delle nozze, viene turbato dagli assalti dell'istinto, da impulsi che non è possibile dominare facilmente e da passioni che lo rovinano. Chi ha accattato di sottostare alla relazione con un coniuge, soffre un altro genere di turbamenti: se è senza figli, desidera averne; se ne ha, si preoccupa dello loro educazione; deve custodire la sposa, badare alla casa, dirigere la servitù, dovrà affrontare le sventure che capitano, le contese con i vicini, i procedimenti giudiziari, i pericoli degli affari, le fatiche dell'agricoltura. Ogni giorno porta con sé una nuova preoccupazione. Di notte, colpita dai problemi della giornata, la mente è agitata dai impressioni e da ricordi. Per liberarsi da tutti questi affanni, è necessario separarsi dal mondo. La vera separazione, però, non consiste nell'allontanamento fisico ma nello sradicare dall'anima tutti gli attaccamenti che le derivano dal trovarsi unita al corpo. Bisogna vivere senza una città, senza una casa, senza possessi, senza legami, senza dipendenze, senza possedimenti, senza curarsi dei beni necessari alla vita; bisogna essere liberi dagli affari, privi di legami, chiusi ai suggerimenti offerti da altri uomini. Al contrario bisogna essere pronti a ricevere nel cuore gli insegnamenti che ci vengono incisi da Dio. La disponibilità del cuore consiste nel dimenticare di tutte le convinzioni accolte in precedenza in seguito alle cattive abitudini. Non è possibile infatti scrivere sopra una tavoletta di cera, se prima non vengono raschiati i segni tracciati in precedenza. Allo stesso modo non è possibile introdurre nell'anima gli insegnamenti divini, se non si sono tolte le convinzioni immesse in precedenza a cause dell'abitudine. La solitudine diventa per noi un aiuto enorme per conseguire tale obiettivo, perché assopisce le nostre passioni ed offre un'occasione alla ragione di eliminarle del tutto dall'anima. Le belve, se vengono trattate bene, facilmente vengono sottomesse, così le brame, l'ira, la paura, i dolori, gli stimoli malvagi dell'anima, ammorbiditi dalla solitudine, non più acutizzati da un continuo eccitamento, vengono dominati con facilità dalla forza della ragione. Un luogo assegnato a questo scopo, come è il nostro, dovrà essere libero dal contatto con gli uomini, affinché nessuna relazione estranea venga ad attenuare la continuità dell'esercizio ascetico. La pratica della vita religiosa nutre l'anima con pensieri divini. Che cosa c'è di più attraente dell'imitare sulla terra il comportamento degli angeli? Subito, non appena comincia il giorno, è opportuno darsi alla preghiera, venerare il Creatore con canti ed inni; poi, quando il sole comincia a risplendere, intraprendere il lavoro, accompagnandolo sempre dalla preghiera e condire le attività con il sale degli inni. Il frequente inneggiare infonde nell'anima un sentimento di gioia e di benessere. La tranquillità rende possibile la purificazione dell'anima, poiché impedisce di chiacchierare di cose umane, proibisce di guardare ai colori e alle forme attraenti, non permette che il vigore dell'anima venga attenuato dall'ascolto di canti  creati per il piacere e non consente di ascoltare le facezie delle persone che vogliono far ridere ed è questo prima di tutto a dissolvere il vigore dello spirito. La mente che non si dissipa per il contatto con l'esterno, che non si espande sul mondo con i sensi, ritorna a se stessa e per mezzo di se stessa sale al pensiero di Dio. Illuminata da quella bellezza, dimentica la sua natura, non è distratta dalla preoccupazione del cibo, né abbassa l'anima interessandola a cose passeggere; libera dalle preoccupazioni terrene, si interessa soltanto di acquisire i beni eterni: come ottenere la castità e il coraggio, la giustizia e la prudenza e le altre virtù che suddivise in queste forme, in modo conveniente ognuna di esse diventano una sollecitazione per l'uomo retto a conseguirle nella sua vita. 


La meditazione della Bibbia

3. Il metodo migliore in assoluto per scoprire in che modo dobbiamo vivere è apprendere le Scritture ispirate, esercitandoci in esse. Qui troviamo i modelli del nostro agire; osservando le vite degli uomini santi, immagini viventi del comportamento secondo il volere di Dio, riportate in questi scritti, veniamo spinti ad imitare le buone opere. Chi si sentirà debole in qualche settore, rivolgendo proprio là la sua attenzione, come se si sottoponesse ad una cura in un ospedale, troverà la medicina adatta alla sua malattia. Chi vuole diventare casto, leggerà a lungo la storia di Giuseppe e da lui imparerà a comportarsi con temperanza; scoprirà non soltanto come dominarsi nei piaceri ma anche come restare costante nella ricerca della virtù. Apprenderà da Giobbe il coraggio. Questi si sottopose alle contrarietà della vita; quando da ricco divenne povero, quando in breve tempo perse tutti i suoi meravigliosi figli, rimase uguale a se stesso, guardò di non farsi abbattere dal dolore. Quando gli amici che l'avevano visitato per consolarlo, lo insultavano e acuivano il suo dolore, non si adirò con loro. Intento soltanto a comportarsi con mitezza e con grandezza d'animo, respinse con durezza il peccato ma trattò i peccatori con benevolenza. Troverai l'esempio di Davide che si comportò con generosità  anche nelle operazioni militari, rimanendo mite e libero dal risentimento perfino quando doveva opporsi ai suoi nemici. Anche Mosè si mostrò un uomo come questi perché, mentre avrebbe dovuto prendere severi provvedimenti contro gli uomini che avevano peccato contro Dio, rimanendo tranquillo, si mostrò disposto a prendere su di sé le pene. Come i pittori quando devono dipingere un'immagine  ispirandosi ad un'altra immagine, guardando di continuo il modello, cercano di trasferire nel loro lavoro la perfezione di quello, così allo stesso modo gli uomini che desiderano ottenere la perfezione componendo i tratti delle virtù, devono osservare le vite dei santi, come se fossero delle immagini viventi e attuali e trasferire in se stessi, con l'imitazione, le proposte di vita retta che appaiono in loro. 


La preghiera dopo la lettura

4. Dopo aver letto, bisogna pregare. Le preghiere rinvigoriscono l'anima e la rendono più forte poiché alimentato in essa il desiderio di Dio. La preghiera pura imprime nell'anima la conoscenza di Dio. Fa abitare Dio dentro di noi e, per mezzo del ricordo di Dio, rende possibile che Dio continui ad essere presente nell'intimo. In questo modo diventiamo templi di Dio. Quando, spento il ricordo persistente degli interessi terreni, non viene più scosso nell'intimo da passioni improvvise, allora, per essersi separato da tutto, l'amico di Dio sperimenta la comunione con Lui nella solitudine. Allora respinge le passioni che lo spingono alla corruzione e continua a coltivare le attività che lo conducono alla virtù. 


La collactio (scambio fraterno)

5. In primo luogo deve servirsi del dialogo per non restare privo d'istruzione, interrogando senza arroganza e rispondere senza far mostra di sé. Non deve interrompere chi sta esponendo il suo pensiero, mentre sta dicendo qualcosa di utile, cominciando a parlare per ostentazione. Bisogna parlare ed ascoltare in modo conveniente; imparare senza fastidio e insegnare con generosità, e se attingiamo qualche pensiero da un altro, non dobbiamo nasconderlo, come fanno le donne poco oneste che fanno passare come naturali i figli illegittimi, ma rivelare con nobiltà d'animo l'autore del pensiero che citiamo. E' opportuno parlare con voce dimessa, evitando che il tono di voce troppo basso renda impossibile l'ascolto né, al contrario, che un tono troppo alto provochi fastidio. Prima bisognerà esaminare dentro di sé ciò che si vuole comunicare e solo in seguito si potrà esporlo in pubblico. Dobbiamo essere affabili con i nostri interlocutori e dolci nel parlare; pur usando uno stile di benevolenza mediante un'esortazione pacata, evitiamo di usare facezie per renderci simpatici. Non dobbiamo mai essere aspri, neppure nei rimproveri. Se useremo un contegno umile, allora la nostra cura sarà accolta volentieri da chi ne ha bisogno. Spesso sarà utile imitare il modo con cui il profeta [Natan] impartì il suo ammonimento. Egli, quando Davide peccò, non decise da solo la modalità della punizione ma, utilizzando l'indignazione del suo interlocutore, lo fece diventare giudice del suo peccato. Questi, dopo aver espresso da sé la sentenza, non poté più adirarsi contro chi lo aveva rimproverato. 


Gregorio di Nazianzo (Rubliev)
Le norme del comportamento

6. Chi vuole vive da povero con umiltà, deve avere un aspetto dimesso e tenere lo sguardo a terra come se fosse preso da tristezza. Non terrà la chioma ben curata né avrà un abito pulito perché coloro che per libera scelta hanno deciso di vivere in penitenza, devono diventare una testimonianza palese per gli altri. La tunica sarà stretta al corpo con una cintura, ma non dovrà essere essere posta al di sopra dei fianchi, al modo delle donne né dovrà essere allentata in modo da sfuggire. Sarebbe un vestirsi troppo rilassato. L'incedere non sarà troppo fiacco per non rivelare luna certa rilassatezza ma neppure veemente e ardito come se fosse il passo di una persona insensata. Il vestito sia composto di un materiale tale da poter coprire il corpo in modo adeguato sia d'estate che d'inverno, senza dover ricorrere ad un altro. Non abbia un colore vistoso né sia composto da altri elementi di raffinatezza o di mollezza. Vestire in modo sgargiante è una preoccupazione tipica della moda femminile; oltretutto le donne cercano di colorare le guance o i capelli con tinte forti. Le calzature non devono costare troppo, purché siano tali da servire allo scopo. Infine, per dire tutto in una parola, bisogna nello scegliere un vestito badare all'utilità. Allo stesso modo, anche per quanto riguarda l'alimentazione, un pane dovrà bastare al bisogno di cibo e l'acqua basterà a dissetare una persona in buona salute e tutte le verdure che crescono da un seme saranno sufficienti a garantire la robustezza del fisico, fornendo l'aiuto indispensabile. Nel nutrirci non dobbiamo mostrare una fame da lupi, ma, conservando un atteggiamento modesto e mite, essere padroni dello stimolo del piacere. Non siamo svogliati nel ricordo di Dio ma piuttosto attenti a ringraziarlo per la qualità dei cibi e per l'energia nutritiva che possiedono per sostentare il nostro corpo. Infatti il Signore che tutto provvede ha pensato ad una grande varietà di cibi perché soddisfino i vari bisogni del nostro fisico. Prima di mangiare rivolgeremo a Dio delle preghiere che siano degne dei suoi doni, per quelli che ci offre al presente e che ci elargirà nel futuro. Le preghiere dopo il pasto dovranno essere un ringraziamento per i doni ricevuti e una richiesta per ottenere in futuro ciò che ci è stato promesso. Si stabilisca un'unica ora per i pasti, che sia fissa nel volgersi del tempo. Delle venti quattro ore di cui sono composte il giorno e la notte, soltanto una sola  sia destinata per l'alimentazione del corpo; l'asceta trascorrerà le altre ore per infondere energia allo spirito. Il sonno sia leggero e non diventi un'impresa risvegliarsi: questo accadrà spontaneamente se il pasto non sarà stato pesante. Dovrà essere interrotto facilmente quando ci occuperemo di attività più importanti. Se ci lasceremo andare ad un sopore profondo, con le membra  abbandonate ad esso, diventeremo preda di incubi irrazionali così da rendere i dormienti delle persone che ogni giorno sono già mezze morte. Se gli altri uomini si svegliano all'alba, i cultori della vita religiosa si alzeranno a mezzanotte, poiché la pace della notte offre all'anima un tempo prezioso. Il buio impedisce agli occhi o agli orecchi di ricevere impressioni negative. La mente vivrà soltanto per Dio, proverà dolore al ricordo dei peccati, stabilirà da sé i provvedimenti per vincere i vizi e chiederà a Dio di essere aiutato a portare a termine l'impegno per raggiungere la perfezione. 

tr. Bonato Vincenzo

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