lunedì 8 aprile 2013

Melezio d'Antiochia e Gregorio di Nissa


In ricordo di Melezio, il santo patriarca di Antiochia. Presiedette il Concilio di Constantinopoli (381)
Discorso pronunciato da Gregorio di Nissa

San Melezio d'Antiochia
Originario di Melitene nella Piccola Armenia, Melezio fu eletto vescovo di Sebaste nel 358, in seguito si ritirò ad Aleppo, ma nel 360 fu scelto come patriarca di Antiochia, chiesa che in quel tempo era profondamente ariana. Forse si pensò che le sue posizioni cristologiche fossero concilianti o che il suo carattere debole avrebbe permesso alla fazione ariana di raggirarlo. Di fatto si rivelò, sin dall'anno della sua elezione, un partigiano del Credo niceno, questo fu chiaro quando tenne una predica alla presenza dell'imperatore Costanzo II che non lasciava dubbi a proposito. L'imperatore lo fece destituire immediatamente e lo fece sostituire da Euzosio.
Con l'imperatore Giuliano tutte le misure di esilio e di destituzione, decretate dal predecessore, furono annullate e Melezio ritornò nel 361 alla sua sede vescovile di Antiochia. Qui la chiesa locale profondamente ariana gli fu molto ostile. Con l'ascesa al potere del nuovo imperatore Valente dovette di nuovo subire un esilio dal 365 al 367. Nel 380 fu nominato da Teodosio I presidente dei dibattiti del concilio di Costantinopoli, ma morì prima della fine dei lavori il 23 o 24 agosto del 381.
Ai funerali fu San Gregorio di Nissa a tenerne l'omelia funebre. Per ordine dell'imperatore il corpo fu traslato nella sua sede vescovile ad Antiochia, qualche anno più tardi fu il suo discepolo San Giovanni Crisostomo che gli fece il Panegirico.



Antiochia, la seconda comunità cristiana dopo Gerusalemme,
ora si chiama Antakia e fa parte della Turchia

Melezio, il nuovo apostolo, colui che è stato reso partecipe del coro degli apostoli, ha aumentato per noi il numero degli apostoli. I santi hanno accolto presso di loro quest'uomo pari a loro; cinti di corona, hanno accolto quest'uomo cinto d'una corona; i lottatori [hanno accolto] l'uomo casto; i puri di cuore, l'uomo puro; i ministri della parola, l'annunciatore del messaggio divino. Beato davvero il nostro Padre divenuto compagno di tenda degli apostoli e beato colui che si è dissolto in Cristo. Noi, invece, siamo dei miseri! Come possiamo rallegrarci della buona sorte del nostro Padre, mentre soffriamo per la sua mancanza? Per lui è bello trovarsi con Cristo, grazie al dissolvimento in lui, mentre per noi è difficile vivere privi del sostegno del Padre. Ecco, questo sarebbe il tempo di prendere decisioni, ma la nostra guida ormai tace. Siamo circondanti dal nemico, ci troviamo in guerra con gli eretici, ma il comandante è assente. La malattia affatica il corpo della Chiesa, e il medico è assente. Guardate in quali difficoltà ci troviamo! Avrei voluto, se fosse stato possibile, rafforzarmi nella debolezza, conformarmi alla gravità della sventura, e formulare un discorso capace di esprimere [la vastità] del nostro dolore; come hanno fatto questi vescovi che hanno pianto la morte del loro Padre in una maniera veramente consona all'evento. Ma che cosa posso fare? In che modo potrò costringere la mia lingua a parlare, ostacolata com'è dall'acutezza del dolore come da un ceppo? Come potrò aprir bocca, impedito come sono di parlare? Come alzerò una voce smorzata dalla sofferenza e dai lamenti? Come potrò sollevare gli occhi dell'anima mentre mi sento avvolto dalla tenebra di questa disgrazia?  Mi sono inoltrato in una nube di dolore, densa e oscura; chi potrà mostrarmi di nuovo la luce splendida della pace in un cielo sereno? Se il sole è scomparso, come potrà inviarci il suo raggio? Veramente è un'oscurità spaventosa quella che non può sperare di rivedere la luce! In questo luogo tutto ci è diventato contrario ed ora perfino i discorsi sono gravosi. Fino a poco tempo fa eravamo nella gioia come quando si canta in una festa nuziale mentre ora , come miseri, ci sentiamo oppressi dalla tristezza. Allora intonavamo un canto nuziale e adesso un canto funebre. Ricordate quando vi avevo invitato ad un matrimonio spirituale per introdurre la vergine nella casa dello sposo, così bello? Allora avevo parlato con grande ardore offrendo come doni nuziali le nostre stesse parole; mentre infondevo gioia, ero rallegrato a mia volta da voi. Ora la gioia si è tramutata in lamento, il sacco ha sostituito l'abito di letizia. Il dolore ci costringe al silenzio, a rinchiudere la sofferenza nella taciturnità, per non irritare gli invitati a nozze. Non possiamo indossare un gioioso vestito da nozze ma dobbiamo presentarci piuttosto in un abito oscuro, adatto per un lutto. Lo sposo buono ci è stato sottratto e noi siamo precipitati nel dolore. Non pronuncio, come il solito, discorsi affascinanti, visto che l'invidia ci ha lasciati privi della veste che costituiva il nostro vanto. Siamo venuti incontro a voi colmi di beni, ma ci allontaniamo nudi e poveri. Risplendeva sul nostro capo una lampada accesa, molto luminosa, ora ci accompagna spenta e il suo splendore è finito in fumo e cenere. Avevamo un grande tesoro in un vaso di creta. Ora il tesoro è scomparso e il vaso di creta, privo di ogni ricchezza, è riconsegnato integro a quelli che ce l'avevano dato. Che diremo, noi che ce l'abbiamo fatto sfuggire? Che cosa risponderemo a chi ce ne domanda ragione? Un grave naufragio é avvenuto! Come è potuto accadere mentre eravamo in porto, colmi di speranza? Come è possibile che la nave, affondando con tutto il carico, abbia lasciato nudi noi che eravamo ricchi fino a poco tempo fa? Poiché non è più tesa la vela che sempre era gonfiata [dal vento] dello Spirito Santo? Come mai è venuto meno il timone sicuro delle nostre anime, grazie al quale abbiamo attraversato con sicurezza le tempeste dell'eresia? Dove è finita l'ancora sicura della conoscenza alla quale potevamo, fiduciosi, fare affidamento riposandoci in tutta sicurezza? Come ritrovare il timoniere esperto che dirigeva la nave mirando in alto? Forse non è accaduto nulla di grave, e mi lamento inutilmente? O piuttosto non riesco a illustrare la gravità della sventura per quanto mi sforzi di esporla nel mio discorso? Versate, fratelli, versate lacrime di compassione. Quando eravate lieti, mi ero unito alla vostra gioia. Ora rendetemi questo triste compenso. "Gioite con chi gioisce": questo è ciò che io ho fatto per voi; "Piangete con chi piange": questo è ciò che mi dovete in cambio. 
Un tempo un popolo straniero pianse il patriarca Giacobbe e s'unì intimamente ad una sofferenza che era di altri. Quando i figli portarono fuori dall'Egitto il Padre, tutto il popolo pianse la loro sventura come se non fosse capitata a stranieri e prolungarono il lutto per trecento giorni e per altrettanto notti. Imitate ora questi stranieri, voi che siete suoi fratelli e gente della sua stessa stirpe! Stranieri e indigeni piansero insieme; anche al presente accomunatevi nel lutto, tanto più che la sventura ha toccato tutti. Guardate questi patriarchi: sono tutti figli del nostro Giacobbe. Tutti sono nati dalla donna libera. Nessuno è spurio o illegittimo. Non era lecito a quello introdurre nella sincerità della fede un'altra generazione servile. Orbene lo stesso vale per il nostro padre, perché il padre apparteneva al nostro Padre. 
Avete ascoltato di recente da Efraim e da Manasse le cose che vi hanno riferito sul nostro Padre e [vi siete resi conto] che le opere meravigliose da lui compiute superano le parole. Concedetemi di intervenire anch'io su questo argomento. Esprimere un elogio del resto non implica alcun rischio e non temo l'invidia. Quale male peggiore potrebbe capitarmi ancora? 
Ecco vi espongo le caratteristiche della sua persona. Era un nobile proveniente dall'oriente, uomo senza macchia, giusto, vero, pio, estraneo da qualsiasi azione malvagia. Il grande Giobbe non si rammarichi se gli attestati ricevuti da lui, li attribuisco anche al suo imitatore. Tuttavia l'invidia che scruta tutti osservò con occhio cattivo anche questa persona buona; essa si muove in ogni angolo del mondo e così è giunta anche presso di noi e ha inserito nella nostra vita tranquilla un segno vasto di dolore. Non ha disperso mandrie di buoi o greggi di pecore, almeno che non si attribuisca un senso spirituale al termine gregge, interpretandolo come prefigurazione della Chiesa. Chiaramente i danni compiuti dall'invidia non riguardano gli animali né ha colpito asini o cammelli e neppure ha provocato ferite al nostro corpo ma ci ha privato del nostro capo. Eliminata la testa,  siamo rimasti privi dell'uso degli altri organi. Non esiste più l'Occhio capace di contemplare il cielo, non c'è più l'Orecchio attento alla voce divina non c'è più la Lingua pronta ad annunciare il genuino messaggio della verità. Dove troviamo la dolce serenità dello sguardo? Dove il lieto sorriso sulle labbra? Dove l'affabile mano destra che accompagnava con i segni delle dita la benedizione pronunciata dalla bocca? Comincio, come se fossi in una scena teatrale, a gridare più forte la disgrazia accaduta: ho pietà di te, o Chiesa! Parlo a te, città di Antioco! Ti compiango per il cambiamento doloroso che hai sofferto. Come mai si è spenta la tua bellezza? Come mai è venuto meno il tuo ornamento? Come mai il tuo fiore si è inaridito all'improvviso?  Davvero l'erba si è inaridita e il fiore è caduto. Perché sei stata guardata con occhio malvagio? Quale cattiva magia ha esercitato il suo influsso contro quella Chiesa [di Antiochia]? Quale cambiamento da una situazione all'altra! Si è esaurita la sorgente, si è prosciugato il fiume. Ancora una volta l'acqua è diventata sangue. Quale triste notizia fu quella che annunciò alla Chiesa un lutto simile! Chi dirà ai figli di essere diventati orfani? Chi dirà alla sposa di essere diventata vedova? Quale sventura! Che cosa lasciarono partire e che cosa ricevettero di ritorno? Hanno lasciato partire un'arca e accolsero di ritorno un feretro. Fratelli, quell'uomo di Dio [Melezio] era un'arca! Un'arca che conteneva in sé i misteri di Dio; là c'era l'urna d'oro colma di manna divina. In quella le tavole dell'Alleanza, scritte sulle tavole del cuore non con l'inchiostro ma con lo spirito del Dio vivente. In un cuore puro non può essere impresso alcun pensiero tenebroso e maligno. In lui si trovavano le colonne, le basi, i capitelli, l'incensiere, il candelabro, il propiziatorio, le vasche di purificazione, i veli delle porte. In lui c'era il bastone del sacerdozio germogliato nelle sue mani. Tutti gli oggetti che erano presenti nell'arca, come abbiamo sentito, erano contenuti nell'anima di quell'uomo. 
In onore di queste qualità che faremo? [Si preparino] bianche lenzuola e tessuti di seta, mirra ed aromi abbondanti, [offriremo] la venerazione con i profumi delle donne e di altre gesta compiute con decoro. Ricordiamo anche i gesti con i quali quella donna onorò il sacerdote, in sua testimonianza: cosparse con abbondanza il capo del sacerdote con la mirra contenuta in un vaso d'alabastro . Ma che cosa è conservato in queste spoglie? Che cosa? Ossa di morti, prima della morte destinate alla morte, tristi memorie delle nostre sventure! Quale voce di nuovo si è fatta sentire in Rama! Rachele non piange i suoi figli ma quest'uomo e non vuole essere consolata. Ritiratevi, consolatori, ritiratevi. Non sforzatevi di portare consolazione! La vedova s'addolori amaramente. Comprenda la gravità della sventura con la quale è stata colpita. Sebbene fosse abituata a rimanere sola, allenata a soffrire la solitudine durante le lotte sostenute dall'atleta [Melezio]. Ricordate con cura i discorsi [degli altri oratori] rivolti a voi, prima di questo mio intervento, come abbiano rievocato le lotte sostenute da quest'uomo! Le affrontò per onorare la Trinità grazie alla molteplicità delle sue battaglie ha preservato il suo onore, affrontando l'assalto delle prove sopratutto in tre particolari occasioni. Avete sentito esporre la sequenze delle fatiche affrontate e come egli si comportò all'inizio, nel mezzo e al termine [del suo ministero]. Considero inutile ripetere ciò che è già stato detto molto bene. Ritengo utile, tuttavia, aggiungere questa precisazione: quando quella saggia Chiesa [di Antiochia] vide quell'uomo, vide un uomo conformato veramente all'immagine di Dio, vide una carità che sgorgava come un torrente, vide la grazia sparsa sulle labbra, vede la massima forma d'umiltà della quale non si poteva immaginarne una più profonda. Vide una mitezza pari a quella di Davide, una saggezza uguale a quella di Salomone. Vide di nuovo la bontà di Mosè, il discernimento sapiente di Samuele; la castità di Giuseppe, la sapienza di Daniele, lo zelo nella difesa della fede del grande Elia, la sublimità di Giovanni  nella custodia integra del corpo, la carità insuperabile di Paolo. Vide la somma di tutte queste virtù in una sola persona. Allora quella Chiesa venne ferita per l'amore e cominciò ad amare il suo sposo con una casta sapienza d'amore. Prima che la brama d'unione s'adempisse, prima che il desiderio si realizzasse, mentre ancora era fervente d'amore, fu lasciata sola poiché la necessità della prova convocava l'atleta alla gara. Sopportò con saggezza, custodendo integro il matrimonio. L'assenza durò a lungo, e [il trascorrere del tempo] rendeva più facile che  l'immacolata camera nuziale venisse macchiata [d'adulterio]. La sposa invece non si macchiò; vide il suo ritorno e un nuovo esilio e perfino un terzo, finché il Signore dissipò la tenebra dell'eresia, diffuse i raggi della pace,  e concesse di sperare in un riposo in seguito a quelle gravi fatiche. In seguito si rividero e si risvegliò il sentimento casto e il piacere spirituale. Tuttavia, non appena il desiderio dell'unione si accese, all'improvviso quest'ultima lontananza ha interrotto ogni godimento. Ritornò per abbellire la sua sposa ma non poté farlo. Aggiunse all'onesto matrimonio le corone della benedizione. Imitò il Signore. Ciò che Egli fece a Cana di Galilea, lo compì qui l'imitatore di Cristo. Trasformò le idrie giudaiche colmate dall'acqua dell'eresia, in idrie piene di vino genuino e con la forza della fede cambiò la loro natura. Offerse spesso a voi il calice sobrio, versando grazia abbondante con la dolcezza della sua voce; spesso vi offrì un banchetto spirituale. Egli benediceva e porgeva il cibo, mentre i suoi buoni discepoli, si mettevano a servizio delle moltitudini spiegando loro la parola. Anche noi ne abbiamo goduto, appropriandoci della gloria di altri. Vi ho parlato di fatti gioiosi e magari il mio discorso potesse concludersi in questo modo. Tuttavia dopo questa narrazione, che cosa devo aggiungere? «Piangete o lamentatrici», dice Geremia (9,17). Non è possibile spegnere un cuore infiammato dal dolore e addolorato per il lutto se non lo si allevia con gemiti e con lacrime. Un tempo  il dolore della separazione era attenuato dalla speranza del ritorno ma ora ci è stato tolto da una separazione definitiva. Tra lui e la sua Chiesa si è aperto un abisso invalicabile. Egli riposa nel seno di Abramo ma non c'è chi porti una goccia d'acqua per rinfrescare la lingua dei sofferenti. Sparì la bontà, ammutolisce la Chiesa. Le labbra rimangono chiuse e la gioia è dissolta. La felicità è un ricordo passato. L'ascesa dalla terra a Dio del profeta Elia rattristò il popolo d'Israele. Eliseo però si consolò di quella dipartita poiché si rivestì del mantello del suo maestro. Ora invece il dolore supera ogni possibilità di conforto: Elia è salito in alto ma non è rimasto alcun Eliseo. Ascoltate le dolorose e tristi parole pronunciate da Geremia, con le quali pianse la città di Gerusalemme abbandonata: "Guai a Sio in pianto" (Lam 1,4). Queste parole vengono ripetute adesso e si realizzano. Quando si diffuse l'annuncio della sua morte, le strade si riempirono di persone addolorate e le persone che erano appartenute al suo gregge, ripetevano le parole pronunciate dai Niniviti in lutto: piangevano un lutto più grave del loro. In quel caso il lamento dissolse la loro paura, ma ora non è possibile sperare che dal pianto derivi una liberazione dai mali. Ho colto un'altra espressione pronunciata da Geremia, riportata nei libri dei salmi, e che riguardava la prigionia del popolo d'Israele. Così suona: "Ai salici appendemmo le cetre" (Sal 37,2), condannando al silenzio noi stessi e i nostri strumenti musicali. Mi conformerò a questa decisione. Se vedrò rinnovarsi la confusione delle eresie (Babilonia significa confusione)e se vedrò le tentazioni scorrere da questa confusione, chiamerò con questo nome i torrenti di Babilonia e sedendo al loro fianco, piangeremo non avendo più il traghettatore ce ci consentiva di attraversarli. Se parlerai di salici e di strumenti ad essi appesi, ti chiarirò questo enigma. Infatti la nostra vita è come un salice. Il salice è un albero improduttivo. Ora il dolce frutto della vita ci è stato sottratto. Così siamo divenuti salici improduttivi e abbiamo appeso agli alberi strumenti musicali privi d'amore e sterili . "Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra" (Sal 137,2). Concedetemi la possibilità di modificare un poco questa frase, poiché non siamo stati noi a dimenticare la nostra destra ma è stata la nostra destra a dimenticarsi di noi. La lingua, incollandosi alla gola, ha impedito l'emissione della voce affinché non possiamo più ascoltare la nostra dolce voce. Asciugatemi allora le lacrime perché non voglio avvertire più di quanto sia opportuno il dolore, mostrando la sensibilità di una donna. Lo sposo non ci è stato tolto ma risiede tra noi, anche se non lo vediamo. Il Sacerdote è all'interno del santuario, oltre il velo ove è entrato il Cristo come precursore. Ha abbandonato il velo della carne. Non presta più il culto delle realtà celesti restando ancora nell'immagine e nella prefigurazione, ma contempla la realtà delle cose nel loro apparire. Non più come attraverso uno specchio né in modo velato ma intercede Dio faccia faccia. Intercede per noi e per il popolo di quelli che sono nell'errore. Depose il mantello di pelli perché coloro che sono nel paradiso non hanno bisogno di portare indumenti del genere. Sono adorni invece di quelle vesti che hanno intessuto con la purezza della loro vita. Preziosa agli occhi del Signore è la morte di costoro. Non sperimentano più la morte ma la rottura delle catene. "Hai spezzato le mie catene" (Sal 116, 17). Simeone è stato sciolto, liberato dalle catene del corpo. Il laccio si è spezzato e l'uccello è volato via. Ha lasciato l'Egitto, la vita materiale. Ha attraversato non il mare Rosso ma il mare nero e buio di questa vita. è entrato nella terra promessa, dove parla con Dio sul monte. ha sciolto il legaccio dell'anima per camminare, con pianta della mente,  sulla terra santa dove si vede Dio. Conservando questa speranza, fratelli, voi che accompagnate le spoglie di Giuseppe nella terra della benedizione, richiamate l'esortazione dell'apostolo Paolo: "Non piangete come gli altri che non hanno speranza" (1 Ts 4,2). Parlate a quel popolo, raccontate le meraviglie compiute. Rivelate il prodigio incredibile: condensato come un mare, un popolo innumerevole, tutti un solo corpo, come erano soliti, dilagavano come un flusso d'acqua in processione. Riferite come il santo Davide dopo averlo diviso in molte maniere in molti modi in varie schiere, cantava inni presso la tende in varie lingue e nella stessa lingua. Raccontate come fiumi di fuoco da ogni lato, le persone che portavano lampade, formavano un torrente continuo, finché l'occhio era in grado di scorgere. Riferite dello zelo manifestato da tutto il popolo, e che egli condivide la stessa tenda degli apostoli. Strappavano il velo che copriva il suo volto perché quale reliquia proteggesse i fedeli. Riferite inoltre come l'imperatore sconvolto dal dolore, si sia alzato dal trono e come tutta la città abbia accompagnato il santo in processione. Consolatevi a vicenda con queste notizie. Salomone offre un ottimo suggerimento come cura per il lutto. Ordina che nella sofferenza venga offerto del vino, rivolgendosi a noi, operai della vigna. Offrite allora il vostro vino agli afflitti, non quello che induce l'ebbrezza, insidia la mente e corrompe il corpo ma quello che infonde gioia al cuore. Ce lo ha indicato il profeta stesso dicendo: "Il vino rallegra il cuore dell'uomo". Servendovi del migliore vino temperato, con generosità riempite i calici di discorsi spirituali, affinché nuovamente il dolore si tramuti in gioia ed allegria, per la grazia dell'unigenito Figlio di Dio, per mezzo del quale sia resa gloria a Dio e Padre per i secoli dei secoli. Amen.  

trad vincenzo bonato non ancora rivista

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