domenica 24 febbraio 2019

Joseph Dov Beer Soloveitchik SOLITUDINE DELL'UOMO DI FEDE



La solitudine dell’uomo di fede


Joseph Dov Beer Soloveitchik, rabbino d’origine lituana e molto stimato all’interno dell’ebraismo, ha proposto un’acuta meditazione sulla scomoda situazione dell’uomo di fede, in ogni epoca ma, particolarmente, nel mondo contemporaneo [La solitudine dell’uomo di fede, Salomone Belforte e C., Livorno 2016].
La sua riflessione prende le mosse da due testi biblici che parlano della creazione dell’uomo, l’uno al primo capitolo e l’altro al secondo del libro della Genesi.


«Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cieloe su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gn 1,26-28).

«Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente… Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. » (Gn 2,7.15).

Nel primo testo, l’uomo è creato ad immagine di Dio; nel secondo viene modellato dalla polvere della terra.
Il primo Adamo riceve il mandato di riempire la terra e di soggiogarla, mentre il secondo si limita a coltivare il giardino e di custodirlo.
Nel primo racconto, maschio e femmina sono creati simultaneamente; nel secondo, Adamo compare per primo ed Eva in un secondo momento, come suo aiuto (Gn 2,21-24).
Secondo Soloveitchik, la creazione dell’uomo è stata presentata in un doppio racconto per evidenziare la duplicità dell’essere umano, in quanto, in ogni persona umana sono presenti i tratti tipici dei due Adamo.
Osserviamo le caratteristiche del Primo Adamo. Essere ad immagine di Dio significa ricevere la capacità di esercitare un’intensa creatività, a imitazione di Dio, che si esprime in diverse modalità. L’uomo riceve infinite risorse e gode soprattutto dell’intelligenza, allo scopo di migliorare la sua posizione nell’ambiente in cui si trova. Si propone, perciò, di dominare e imbrigliare le forze naturali, ponendolo al suo servizio. La ricerca scientifica è la massima manifestazione dell’uomo audace, desideroso di realizzare le proprie risorse e di migliorare la sua condizione. Priva di questo progresso incessante, la mera esistenza istintuale sarebbe deprivata di dignità quale esistenza impotente» (20).
La creatività si estende inoltre nel campo della creazione estetica, come anche nell’ambito normativo. «La sua coscienza è stimolata non dall’idea del bene, ma dall’idea del bello. La sua mente ricerca non il vero, bensì il piacevole e il funzionale» (23). Questo impulso non è segno di ribellione a Dio ma piuttosto un modo di eseguire la sua volontà. Soloveitchik denomina maiestatico, questo tipo d’uomo.


Passiamo ora al Secondo Adamo. Questi non è interessato ad ottenere il potere e il controllo sul cosmo ma a comprendere il motivo dell’esistenza dell’universo e desidera vivere in comunione con il suo Creatore. Dio soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Il soffio, ricevuto da Dio stesso, non corrisponde al possesso di qualche talento divino ma testimonia il suo anelito incessante per Dio (26).
Mira ad ottenere un’esistenza redenta, ben diversa da una vita dotata di dignità. La redenzione non è ottenuta attraverso il controllo sull’ambiente ma mediante il controllo di sé (38), poiché una vita redenta è una vita disciplinata. «L’essere umano persegue la dignità ogni volta che trionfa sulla natura. Egli trova la redenzione, invece, quando è sopraffatto dal Creatore della natura. La dignità è scoperta dall’apice del successo; la redenzione negli abissi della crisi e del fallimento… il Secondo Adamo fu formato dalla polvere della terra, affinché  la conoscenza delle umilisse origini fosse parte integrante dell’io di Adamo» (38-39).
Sperimenta in primo luogo la solitudine (Cf. Gn 2,20). «Essere significa essere l’unico, singolare e differente, com tale “solo”». Solitudine (e insicurezza) provengono dalla consapevolezza della propria unicità ed esclusività. Nessun altro esiste come questo io, e la sua particolare esistenza non può essere ripetuta, imitata o esperita da altri (42). La solitudine riflette il nucleo stesso dell’esperienza dell’io; non è affatto una situazione provvisoria o accidentale.
Dal momento che soffre per la solitudine, è in ricerca di compagnia. Cerca una vicinanza di un altro soggetto il quale, sebbene unico e singolare come lui, padroneggi l’arte del mettersi in comunicazione e che formi, assieme a lui, una comunità. Questo tipo di’amicizia non è ottenuto attraverso la conquista, ma mediante la resa e la ritirata. Per il Secondo Adamo, quindi, comunicare e intrattenere stretti rapporti spirituali sono atti sacrificali redentivi. Aspira ad integrarsi nella comunità di fede, che appare già nell’alleanza tra Dio e Abramo. Nessuno può preservarci dalla solitudine. Il rimedio si trova nell’esperire un nuovo genere d’amicizia che si trova in una comunità esistenziale (42).


Una comunità di fede è ben distinta da una comunità naturale; la prima è una comunità di doveri, la seconda d’interessi. La comunità di fede, nata nel fallimento e nelle angustie, è caratterizzata dalla presenza di tre membri: io, tu, Egli (Dio). Dio diventa membro di questa comunità, si associa agli uomini, ne condivide l’esistenza. L’unità solidale di Dio con gli uomini è un elemento indispensabile per la comunità d’alleanza (43). «Noi incontriamo Dio, in seno alla comunità di alleanza, in quanto compagno e membro. Naturalmente, per quanto calato all’interno della struttura di questa comunità, Dio si presenta come la guida, il maestro e il pastore. La guida, cionondimeno, è parte integrante di una comunità, il maestro è inseparabile dai suoi allievi e il pastore non abbandona mai il suo gregge. Tutti costoro appartengono ad un unico gruppo. L'alleanza coinvolge Dio all’interno della società degli uomini di fede: II Dio dinanzi al Quale i miei ladri hanno camminato, il Dio che è stato il mio pastore per tutta la mia vita (Gen 48,15). Dio è stato il pastore di Giacobbe e il suo compagno. La comunità di fede, radicata e articolata nell’alleanza, trova manifestazione in una triplice unione di persone: io, tu ed Egli (Lv 26,12)».
Il Primo Adamo si sente provocato dal cosmo mentre il Secondo cerca il dialogo con Dio all’interno dell’Alleanza. L’annuncio dell’esistenza di Dio, predicato dal cosmo, è debole ed equivoco. Nella rivelazione cosmica, l’uomo sente Dio molto vicino, presente in tutti i fenomeni naturali ma lo avverte ancora di più, come misterioso ed inaccessibile. Questa dicotomia cancella ogni sentimento d’intimità e d’immediatezza e rende complicato il rapporto con Lui. L’uomo di fede, al fine di redimere se stesso dalla sua solitudine, vuole incontrare Dio a livello personale, in una situazione in cui possa essere vicino a Lui e sentirsi libero in sua presenza (48).


Il luogo dell’incontro personale con Dio è la preghiera. La contemplazione del cosmo non può spingere l’uomo a pregare nell’intimità perché l’adorazione estatica, sempre indiretta e impersonale, non rappresenta ancora un incontro personale con Dio. Esso avviene piuttosto nella comunità d’alleanza. «Attraverso il suono della voce divina che si rivolge all’uomo con il suo nome, Dio, ricercato dall’uomo lungo le infinite rotte dell’universo, è scoperto come vicino all’essere umano e in intimità con lui, mentre gli sta di fronte o accanto» (51).
Questo tipo di relazione costituisce il nucleo della comunità profetica. Questa è costituita dalla discesa di Dio sul monte e dall’ascesa sul monte dell’essere umano, in risposta alla chiamata divina. Qui avviene un rapporto diretto e personale che apre un colloquio faccia a faccia. La preghiera è la continuazione dell’esperienza profetica. Quando un essere umano si rivolge a Dio, chiamandolo con i toni familiari del Tu, in quel momento si rinnova lo stesso evento dell’incontro profetico dell’alleanza (52).
Comunità profetica e comunità orante s’appoggiano sopra tre fondamenta: io, tu, Egli. La differenza tra le due esperienze non sta nella sostanza del dialogo ma nel suo ordine d’apparizione. All’interno della comunità profetica, è Dio a prendere l’iniziativa (Egli parla e l’uomo ascolta), nell’altra l’iniziativa spetta all’uomo. La parola della profezia è di Dio e l’uomo l’accoglie; viceversa, la parola della preghiera viene dall’uomo e il Signore l’ascolta.
Il profeta  in cui Dio confida e a cui affida la sua parola eterna, rappresenta sempre molti anonimi; sono il loro a cui il messaggio è destinato. «Nessun essere umano, per quanto grande e nobile, è degno della parola di Dio se crede che questa parola sia sua privata proprietà che non debba essere condivisa con gli altri» (56). Egli, quindi, non prega mai esclusivamente per se stesso.
Entrambe le comunità scoprono, assieme alla relazione intima con Dio, un messaggio etico. Qualsiasi incontro con Dio si prolunga in un messaggio normativo (57), altrimenti non sarebbe mai un’esperienza di alleanza, la quale prevede l’assunzione di responsabilità e di obblighi.
L’esperienza profetica è contrapposto a quella mistica che, a suo giudizio, non sarebbe altro che una sottile forma di egoismo. Nella mistica, l’uomo cercherebbe se stesso nell’appagamento personale e, quindi, rifiuterebbe un compito di responsabilità verso gli altri. La mistica sarebbe elitaria mentre la preghiera profetica avrebbe un carattere democratico essendo rivolta a tutti i contraenti l’alleanza.
Dalla preghiera autentica sgorga sempre un deciso impegno etico e, viceversa, soltanto l’orazione che esce da un cuore puro è gradita a Dio: «La preghiera è sempre annunciatrice di una riforma morale» (61) «Dio porge orecchio alla preghiera, se essa s’innalza da un cuore contrito…» (61). «La preghiera deve essere innestata in una vita orante, consacrata alla realizzazione dell’imperativo divino…» (64).
La comunità profetica garantisce la promozione della fraternità tra gli uomini. «L’amicizia, non in quanto relazione sociale di superficie ma come relazione esistenziale profonda tra due individui, è realizzabile unicamente in seno all’ordito della comunità di alleanza, in cui le profondità delle singole personalità si mettono in relazione tra di loro ontologicamente e in cui l’impegno assoluto verso Dio e verso il compagno sono l’ordine del giorno» (65-66). Le relazioni tra gli uomini presenti anche nella comunità naturale, rimangono a livello di superficie, non oltrepassano i limiti dell’utilitarismo. Offrono esperienze di collegialità, socievolezza, educazione e gentilezza piuttosto che di vera amicizia, la quale viene donata da Dio all’interno del patto d’alleanza (66).
Infine la comunità d’alleanza consente il superamento della dissoluzione dell’uomo nelle spire del tempo. L’uomo vive l’esperienza dell’estraneità del mondo: «è avvertito di un passato senza fine che si è dipanato prima di lui ed è pure a conoscenza di un futuro senza fine che sfreccerà via dopo che egli cesserà d’esistere» (66). Nascita e morte appaiono eventi arbitrari in un flusso che sembra annientare l’individuo. L’uomo sperimenta la transitorietà e l’evanescenza dell’esperienza dell’ora, che non è giustificata né da un prima né da un dopo. Solo la comunità d’alleanza può offrire una prospettiva. «Rettrospettivamente, l’uomo dell’alleanza ri-esperisce l’incontro con Dio, da cui l’alleanza ha avuto origine, in quanto promessa, speranza e visione. Relativamente al futuro, invece, egli scorge la piena realizzazione escatologica di questa alleanza, con le sue promesse, speranze e visioni» (67).


Il primo e il Secondo Adamo non sono due persone diverse, bensì un’unica persona. In ogni soggetto umano dimorano due tipi di uomo: il Primo Adamo, regale e creativo e il Secondo Adamo, umile e docile. Dio ha voluto tutto ciò e il rifiuto di una delle due componenti, equivarrebbe ad un atto di disapprovazione del piano divino sulla creazione.
L’uomo di fede quindi, per esplicito volere di Dio, oscilla tra la comunità dei credenti e quella naturale, maiestatica (78). «A motivo di questo progressivo movimento da un’orbita a un’altra, l’essere umano non si sente a casa in nessuna delle due comunità» (79). In questo errare consiste il senso di solitudine dell’uomo di fede.
Sarebbe naturale ed auspicabile che i due tipi d’uomini s’incontrassero ma, in modo particolare nella nostra contemporaneità, essi appaiono incompatibili l’un l’altro. L’uomo maiestatico sembra chiudersi sempre di più nella propria orgogliosa sicurezza. Pretende d’identificarsi con la totalità della persona umana e, in questo modo, offre di sé un’immagine demoniaca (90). Talora sembra avvicinarsi all’uomo di fede ma, in realtà, egli non apprezzare la fede nel suo nucleo più autentico ma si limita a gradire soltanto certe manifestazioni culturali della fede (90). Valuta quindi anche la religione in termini utilitaristici e considera l’azione religiosa uno strumento cui egli può accrescere la propria felicità (82). Spesso è alla ricerca dei poteri terapeutici e redentivi insiti nella fede dal momento che essa offre sostegno e conforto nelle angustie (84). Ciò nonostante rimaneo estraneo al vero movimento della fede: «L’atto di fede è primigenio, dirompente con forza elementare, al pari di una esperienza eudemonistico-passionale che tutto consuma e che tutto pervade, in cui si manifestano i nostri più segreti bisogni, aspirazioni, passioni e timori… (86). L’uomo di fede è insensatamente impegnato, pazzo di amore per Dio. Sostenetemi con focacce d’uva passa, rinfrancatemi con le mele, perché sono malata d’amore» (88).
Da parte sua, l’uomo di fede non è incline al compromesso (86). Appare incapace di comunicare la forza della sua esperienza, non tanto per la sua fragilità ma a motivo della sua enormità. Anche se il messaggio culturale della fede muta costantemente, con il fluire del tempo, l’atto di fede in sé è immutabile. «La sua essenza è caratterizzata da fissità e da perenne identità» (91). Infatti non è frutto di azioni culturali e creatrici dell’essere umano, ma è piuttosto come qualcosa offerto all’uomo, quando quest’ultimo si lascia sopraffare da Dio. Solo se si mantiene in tutta la sua integrità, la fede diventa terapeutica.
La solitudine dell’uomo di fede, nella società contemporanea, comprende anche l’isolamento sociale (92) a cui lo costringe la presunzione dell’uomo maiestatico.


Il profeta Eliseo, ben rappresenta l’uomo maiestatico: è un uomo di potere, intraprendente e ricco. Elia, al contrario, profeta errante, solo, povero, unicamente interessato a Dio e al valore dell’Alleanza con Lui, rievoca la figura del Secondo Adamo. Eliseo si lascia affascinare da Elia e lo segue. Operando questa scelta, decise di abbandonare a se stesso definitivamente il suo ambiente di vita? In realtà, in seguito, egli fece ritorno alla società per testimoniare ed istruire. Spesso sperimentò la frustrazione del rifiuto; mai, però, si disperò e si rassegnò. «Disperazione e rassegnazione sono sconosciute all’uomo dell’alleanza, che trova il trionfo nella sconfitta, la speranza nel fallimento» (95). Proprio per il fatto di essersi trovato solo, incontrò l’Uno che è Solo. Oggi, l’uomo di fede, deve sobbarcarsi la stessa fatica assunta da Eliseo.




Proviamo a tracciare ora delle osservazioni conclusive e a formulare una rilettura cristiana della meditazione di Soloveitchik.
Il progresso a favore degli uomini, nella ricerca scientifica, nella creatività artistica, nella vita politica è voluto da Dio stesso. Non può esistere concorrenza tra Dio e l’uomo, tra la fede religiosa e l’azione mondana.
Scandagliando l’intimo della persona umana, mette bene in evidenza la sua duplicità: l’uomo è, nello stesso tempo, grande e misero. Deve, opportunamente, impiegare le sue risorse creative ma anche predisporsi a compiere gesti sacrificali per poter entrare in relazione con i suoi simili. Una vera comunione con il prossimo si attua soltanto all’interno della comunità d’Alleanza, dove il prossimo acquista un valore assoluto.
Abolisce ogni forma d’individualismo nella preghiera; sostiene la necessità che essa favorisca un comportamento etico adeguato e generi un senso di responsabilità verso la comunità, se intende essere un’esperienza autentica e non una parvenza, vuota di senso.
Tuttavia, Primo e Secondo Adamo non sarebbero due figure da porre in contrasto tra loro, in modo netto. Qualcosa dell’uno deve essere presente anche nell’altro. Se così non fosse, una loro intesa risulterebbe impossibile. Dentro di noi scorgiamo delle tensioni legittime che sono sì distinte ma non opposte tra loro.
Ciò diventa più chiaro se, anziché limitarci all’analisi testo della Genesi, diamo uno sguardo a tutto il percorso biblico. Un passo della riflessione sapienziale sembra fondere le caratteristiche dei due Adamo:

«Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa di nuovo lo fece tornare… Li rivestì di una forza pari alla sua e a sua immagine li formò. …Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro per pensare. Li riempì di scienza e d’intelligenza e mostrò loro sia il bene che il male. Pose il timore di sé nei loro cuori, per mostrare loro la grandezza delle sue opere,  e permise loro di gloriarsi nei secoli delle sue meraviglie. Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita, affinché riconoscessero che sono mortali coloro che ora esistono. Stabilì con loro un’alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti. I loro occhi videro la grandezza della sua gloria, i loro orecchi sentirono la sua voce maestosa. Disse loro: «Guardatevi da ogniingiustizia!» e a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo (Sir 17,1-14)

L’uomo ad immagine di Dio non è soltanto colui che domina sul creato, ma anche colui che riceve una propensione alla comunione con Lui. Nella sua attività creatrice, mentre imita la potenza del Creatore, imita anche la sua bontà. La creazione, infatti, non è soltanto un segno della potenza divina ma anche della sua generosità. Di conseguenza, l’uomo ad immagine di Dio domina il creato con profondo rispetto, animato da un senso profondo di responsabilità verso gli altri uomini.



All’interno della fede cristiana, l’uomo maiestatico è figura anticipatrice del Cristo Risorto. La riflessione del salmo ottavo sull’uomo creativo ha favorito tale associazione. Il salmista, che medita sulla povertà e sulla potenza dell’uomo, si meraviglia e si compiace del riguardo amorevole con il quale Dio ha onorato l’uomo, perché questi, pur essendo di per sé un nulla, ha ricevuto il dominio su tutto il creato:

«Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi» (Sal 8,5-7).

Nella visione cristiana, la promessa annunciata all’uomo si è realizata in modo particolare nella risurrezione di Cristo. È il Risorto a ricevere il dominio su tutto (Cf. Eb 2,9). Introducendo nel mondo il Regno di Dio, Gesù realizza ciò che si propone l’uomo maiestatico. Il Regno di Dio presuppone la vittoria sulla miseria, la malattia e il peccato, e quindi, sulla morte. Tuttavia il dominio di Cristo è in fase di realizzazione. Egli è stato insediato in autorità ma non ha ancora ottenuto il pieno successo del suo dominio, proprio come avviene per l’uomo creativo. È chiaro che il Risorto non opera da solo ma agisce attivando la nostra collaborazione. Non rende superfluo l’impegno degli altri uomini, ma piuttosto offre loro un modello, una forza d’impegno e una garanzia di riuscita. L’annuncio del Regno porta a compimento il disegno divino già tracciato nella creazione.
Gesù può essere prefigurato anche nel Secondo Adamo, interessato ad aderire all’Alleanza, con Dio e con i fratelli. Nella stipulazione dell’Alleanza, Dio si renda prossimo all’uomo, molto più vicino di quanto ha fatto (e continua a fare) nella rivelazione cosmica, fino a presentarsi a lui nella figura dell’amico. Non rimane soltanto un Mistero santo.
Gesù si offre come la massima vicinanza di Dio al mondo. L’uomo non si trova soltanto più di fronte ad una serie di precetti ma ad una persona concreta che, osservandoli, si offre come modello e guida. Grazie alla sua rigorosa obbedienza, può inaugurare la Nuova Alleanza, già annunciata dai profeti. Introduce un nuovo Patto che non annulla il Primo ma lo conduce alla perfezione. Come era prefigurato nella scala di Giacobbe, in Lui Dio scende presso gli uomini e conversa con loro e l’uomo sale fino a Dio e si unisce a Lui. Gesù Risorto conduce l’umanità fino al cielo stesso, fino alla destra di Dio. L’aspettativa insita già nell’antica Alleanza raggiunge ora il suo traguardo definitivo.
All’interno del rapporto dell’Alleanza riacquista senso l’esperienza mistica. Fuori da questo rapporto, essa può degenerare in privilegio, in pretesa; può isterilirsi nella ricerca spasmodica del vantaggio personale, nella fusione impersonale con il divino, nella rinuncia alla testimonianza profetica e all’urgenza etica. All’interno dell’Alleanza, invece, questi rischi scompaiono. La vicinanza con Dio, di carattere mistico, viene donata al profeta perché sia rafforzato nella sua missione e rinvigorito nel suo impegno doloroso.

«Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole. Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui» (Es 34,28-29)

Nel colloquio intimo con Dio, sul monte o in una tenda separata da tutte le altre tende (Cf. Es 33,10-11), Mosè assimila le qualità divine, come viene testimoniato dallo splendore del suo volto. Solo così diventa capace di farsi carico delle colpe del popolo e di presentarsi davanti ad esso come un inviato affidabile.

Al culmine della sua vicenda di fede, il cristiano non è un uomo solo che conosce il Solo. Certamente, anche nell’ipotesi migliore, egli non può ottenere una comunione con gli altri così esaustiva da eliminare la sua solitudine. Inoltre, come credente, può trovarsi di fatto isolato in un ambiente indifferente o perfino ostile. Nel rapporto con Dio, però, egli si trova a vivere con Cristo in Dio, quale membro del Corpo della Chiesa, nello Spirito Santo, in un’esperienza gioiosa di comunione. 

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