sabato 21 marzo 2020

L'elogio della debolezza in san Paolo


Il mistero di Cristo, morto e risorto, costituisce il nucleo kerigmatico della predicazione apostolica (At 2,23-24; 3,13-15; 4,10; ecc.). Anche Paolo, nelle sue lettere concentra tutto il suo «vangelo» in questo annuncio (1 Cor 15,1-4; 2 Tm 2,8); e sul binomio "Crocefisso-Risorto" costruisce la sua teologia della salvezza universale. I due elementi che definiscono l'evento cristologico sono inseparabili, per cui l'Apostolo può affermare che il suo unico sapere è quello del «Cristo crocefisso» (1 Cor 2,2), senza con ciò prescindere dalla glorificazione del Servo sofferente. Questa è in sintesi l'aspirazione di Paolo: «possa io conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10-11).
Proprio alla luce del mistero di Cristo, crocifisso e risorto dai morti, Paolo assume paradossalmente come motivo di vanto (1 Cor 1,31; 2 Cor 11,30; 12,5) la caducità umana, che per i sapienti costituisce un problema insoluto, e per gli uomini di questo mondo è oggetto di ripugnanza (1 Cor 1,18-25). La «debolezza» (astheneia), nelle sue valenze di fragilità, umiliazione, sacrificio, sofferenza e sconfitta, invece di essere esecrata come contraria a Dio e all'uomo, è nella fede vista come il luogo m cui si manifesta luminosamente la potenza vivificante del Signore (1 Cor 4,9-13). 
L'Apostolo, ministro di Cristo e suo imitatore (1 Cor 11,1), non solo accetta, ma di più sceglie liberamente la via della debolezza (1 Cor 3,31; 2 Cor 10,10) come fece il suo Maestro (2 Cor 13,4), confidando nella parola del Signore che gli dice: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente (teleitai) nella debolezza» (2 Cor 12,9). 
Per questa ragione Paolo afferma: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12,9-10). Non viene qui prospettato l'ideale di un eroismo stoico, né un radicale disprezzo per i valori della vita; ciò che è additato come esperienza credente, esemplarmente vissuta dall'Apostolo nel suo ministero per Cristo, e piuttosto il trionfo della potenza divina che si realizza proprio nella miseria della carne mortale, paragonata a un «vaso di creta» (2 Cor 4,7). Per questa ragione la vita umana si presenta sotto una veste paradossale: «siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Cor 4,8-10).

Alcuni testi di Paolo fanno trasparire una certa relativizzazione della realtà terrestre, motivata in certi casi dalla convinzione di un imminente ritorno (parousia) del Signore (1 Cor 7,29-31); in altri casi si può anche rilevare una critica alla «carne» (sarx) quale espressione della concupiscenza peccaminosa (Rm 8,6-8; 1 Cor 3,3; Gai 5,16-17.19-21; 6,8). Ciò non comporta un venire meno dell'impegno quotidiano del cristiano: proprio perché «passa la figura di questo mondo» (1 Cor 7,31), è più urgente operare con un'azione salvatrice dispiegata nella carità (1 Cor 13,8-13; 1 Ts 5,8). 
L'insegnamento apostolico ribadisce in sintesi che a nessuna realtà contingente si debba accordare valore assoluto; la consolazione non viene da ciò che è passeggero, ma dall'annuncio coraggioso della risurrezione: il Cristo «fu crocefisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo colui per la potenza di Dio (2 Cr 13,4). Da qui l'affermazione paolina: «Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18; cfr. 2 Cr 4,17).

Da Pontificia Comissione biblica, Che cos'è l'uomo. Un itinerario di antropologia biblica, LEV, 2019, pp. 39-40

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