domenica 8 marzo 2020

SALMI IMPRECATORI


Nel pregare i Salmi imprecatori, molti si sentono contrariati quando s’imbattono in espressioni d’odio contro i nemici. 
In entrambi i Testamenti, talora Dio provvede alla distruzione dei malvagi, nell’intento di soccorrere i miseri. Nell’Antico Testamento, il caso più clamoroso è quello dell’annientamento di Faraone e di tutto il suo esercito al mar Rosso (Es 14), un fatto che avviene dopo che Dio aveva fatto tutto il possibile per convertire gli Egiziani. Nel Nuovo, troviamo la condanna a morte nei confronti di Anania e Saffìra (At 5,1-11)  o di re Erode (At 12,23). Il giudizio previsto al compimento della storia, talora può essere anticipato nel suo corso. In ogni caso l’unico che può decidere ed attuare questi interventi estremi è soltanto Dio. 
La domanda che ci formuliamo, però, è questa: se Dio può intervenire con il suo giudizio, quando gli sembra opportuno farlo, l’uomo può invocare questo suo tipo d’intervento a danno degli avversari? 
Gesù chiede di pregare per i nemici riferendosi ad altri uomini (Mt 5, 44) mentre i nemici contro i quali è doveroso pregare sono soltanto il peccato e la morte (1 Cor 15, 25, Eb 10, 12-13). Soltanto questi devono essere annientati e il peccato, sicuramente, già al presente.
Nell’usare il salmo secondo, messianico, la comunità apostolica riconosce di sperimentare come nemici propri gli stessi che si sono opposti al Cristo. Tuttavia, in questo caso, non invoca la distruzione di tali oppositori ma di poter vincere la loro opposizione. Chiede il coraggio dell’annuncio, non la morte degli avversari del Vangelo (At 4, 23-31).

Come si sono comportati i Padri nei confronti dei salmi o dei versetti imprecatori?
Atanasio, nella lettera a Marcellino, non affronta direttamente la questione sulla opportunità di questo tipo di preghiera, tuttavia, in modo indiretto, possiamo attingere qualche suggerimento. Egli afferma che il salterio rivela a noi stessi i nostri sentimenti, quali la delusione nei confronti dell’inerzia apparente  di Dio verso i malvagi o il nostro sdegno di fronte al successo degli empi. Lo stesso vale per quanto riguarda lo sdegno verso i nostri nemici. Il salterio, dopo averceli fatto conoscere, c’insegna a plasmare i nostri sentimenti perché siano più conformi al sentire di Dio[1]. Questo potrebbe significare che l’orante, dopo aver conosciuto e dato libero corso alla sua ira, dovrebbe nel frattempo ricredersi e affidarsi al giudizio di Dio. Il salmo costituirebbe, quindi, uno strumento pedagogico. L’esempio si trova nel Cristo il quale, mentre pronuncia (nei salmi) parole d’imprecazione contro i nemici, in realtà si vendicò, non di loro, ma della morte e dell’autore della morte, cioè il diavolo, proprio per mezzo del perdono dei nemici[2]. Atanasio attribuisce a Gesù una netta trasformazione del Salmo 93 che inizia con l’invocazione: «Dio vendicatore (‘El neqamòt), Signore, Dio vendicatore risplendi!» (v.1) e termina con un deciso «li annienterà il Signore nostro Dio» (yaztmithem Yhwh ‘elohenu). Gesù si vendica della morte e del diavolo, vivendo il sentimento opposto a quello che satana eccita negli uomini provati dall’ingiustizia, ossia il sentimento del perdono e della resistenza passiva. I Padri rifiutano si pensare che i nemici dei quali s’invoca l’annientamento siano degli uomini in carne ed ossa.

Il versetto che ha imbarazzato i Padri in modo particolare è quello che troviamo al termine del salmo 138: «Quelli che ti odiano, Signore, non li ho forse odiati? E contro i tuoi nemici, non mi struggevo? Di odio perfetto li odiavo, nemici sono diventati per me» (vv. 21-22). Ho citato il testo che troviamo nei LXX, quello conosciuto dai Padri. Dove il testo greco pone l’aggettivo perfetto (teleion), l’ebraico riporta tachlìt, tradotto di solito con l’aggettivo implacabile, estremo.
Ora la diversità delle due versioni, è stata utilissima ai Padri per fornire un’interpretazione conforme ai loro sentimenti cristiani. In genere il suggerimento è questo: l’uomo, per un sentimento naturale, conosce l’avversione. Di per sé questa passione, come tutte le altre, non è qualcosa di negativo di per sé. Tutto dipende da come la si gestisce. Ci si può indignare e trasformare questo impulso in un fatto positivo, come lo sarebbe una resistenza opportuna al male. L’odio perfetto è l’avversione trasformata da questa forma di correzione. È il rifiuto totale del male accompagnato però dalla volontà di recuperare il malfattore.

Il versetto restava comunque scivoloso. Si poteva operare questa distinzione: non possiamo odiare i nemici personali, ma è giusto avversare i nemici di Dio. Sì, ma in che modo? Come traduciamo nella pratica questa avversione?
Nel commentare questo versetto, Agostino si preoccupa di chiudere ogni possibile falla che possa giustificare la violenza:

Stando però così le cose, come la mettiamo con quell'Amate i vostri nemici? Forse che, avendo detto: I vostri, avrà escluso quelli di Dio? Dice ancora: Fate del bene a quelli che vi odiano. Non dice: Coloro che odiano Dio. Per questo motivo avrà il salmista potuto dire: Non ho forse io odiato coloro che odiavano te, Signore? Non dice infatti: Coloro che odiano me. E mi struggevo [di sdegno] nei confronti dei tuoi nemici. Dice: Tuoi, non miei. Tuttavia quanti ci odiano e ci son nemici per il fatto che serviamo Dio, cos'altro fanno se non odiare Dio stesso e diventare suoi nemici? E allora? Saremo forse dispensati dall'amare questi nostri nemici? O non sarà vero che soffrono persecuzioni per la causa di Dio coloro a cui si dice: Pregate per coloro che vi perseguitano?
Dopo aver chiarito questo aspetto, prosegue il commento dei versetti spiegando che cosa significhi odio perfetto.

Nota bene, dunque, che cosa aggiunge. Li odiavo con un odio perfetto. Che significa: Con un odio perfetto? In loro io odiavo le colpe da loro commesse, ma amavo la creatura tua. Ecco come si odia con odio perfetto: non odiando la persona a causa dei suoi vizi e non amando i vizi in vista della persona. Ed ora osserva come continua: Mi son diventati nemici. Nemici non soltanto di Dio ma suoi nemici personali. Lo dichiara espressamente. Come, allora, metterà in pratica nei loro riguardi le parole che sopra diceva e cioè: Non ho forse odiato coloro che odiavano te? e insieme quelle del Signore che comanda: Amate i vostri nemici? Come adempirà il suo dovere, se non ricorrendo a quell'odio perfetto, per il quale nei cattivi si odia il fatto che sono cattivi e si ama la loro condizione di uomini?
Per chiarire meglio la sua posizione, Agostino richiama il caso di Mosé:
C'è un esempio che risale ai tempi del Vecchio Testamento quando a quel popolo carnale venivano applicate sanzioni e pene esterne: si tratta di un uomo, che per l'intelligenza [del mistero] apparteneva al Nuovo Testamento, dico di Mosè, servo di Dio. Come poteva egli odiare quanti erano caduti in peccato, se nello stesso tempo pregava per loro? e come non li odiava se li condannava a morte? Li odiava con odio perfetto. E per la perfezione del suo odio, pur odiando le colpe che puniva, amava l'uomo per il quale pregava.
In pratica si deve odiare il peccato ma amare il peccatore[3].

Vediamo ora un altro aspetto di questa questione. Nella lettera a Marcellino,  Atanasio formula un altro suggerimento per la lettura personale del salterio: «Un nemico tiranno è insorto contro il tuo popolo e contro di te come Golia contro Davide? Non temere, ma abbi fede anche tu come Davide e dì le parole del salmo cento quaranta tre»[4]. Quali sono queste parole? «Benedetto, il Signore, mia roccia che addestra le mie mani alla battaglia, le mie dita alla guerra». 
Nel film «Salvate il soldato Ryan», un soldato americano, mentre spara dal campanile contro i tedeschi che avanzano, recita proprio questi versetti ed ottiene anche la grazia sperata.
Di quali nemici parla Atanasio e che cosa comporta questa guerra? Non lo chiarisce. Per analogia con altri testi più espliciti, possiamo pensare ancora che il nemico sia il male o il maligno. Tuttavia Atanasio ormai ammetteva che i cristiani potessero far parte dell’esercito romano.

Nel Medievo, i grandi Commentatori seguono la linea interpretativa comune dei Padri. Il salmo 143, nella versione dei LXX, riporta come sottotitolo (mancante nell’ebraico): preghiera di David contro Golia[5]. Bruno di Segni (1045-1123) afferma che Golia rappresenta il diavolo. Questi perseguita la Chiesa tramite i tiranni, gli eretici, i vizi e gli spiriti maligni[6]. Per Bruno, gli eretici sono, presumibilmente, i partigiani di Berengario di Tours, nella disputa eucaristica nella quale fu coinvolto, mentre i tiranni sono i grandi feudatari che, nella lotta per le investiture, si oppongono alle decisioni di papa Gregorio VII. Bruno chiede che la Chiesa, grazie all’aiuto di Dio, considerato indispensabile, sia in grado di superare le difficoltà che incontra nel corso della storia ma non chiede la morte dei nemici. Di fatto combatté questi tiranni con arme evangeliche, ossia con la resistenza pacifica (fu incarcerato, infatti, da Adolfo, il conte di Segni).

Nel secolo successivo, con San Bernardo, le prospettive sono già mutate in modo rilevante. Nel trattato spirituale che indirizza ai cavalieri templari, chiude la sua esortazione citando proprio il salmo 143. Ora i nemici, sono ben identificati (sono gli islamici che occupano la Terrasanta) e i soldati che combattono questi nemici della fede, lo fanno con armi reali, non metaforiche, contando sull’addestramento fatto da Dio[7]. La tradizione non è abbandonata del tutto: i templari debbono lottare contro i vizi interiori, come è stato consigliato fino a quel momento, ma a questo combattimento interiore viene aggiunto ora il dovere d’ annientare fisicamente i nemici esteriori; si tratta d’una interpretazione insolita ma rispecchia una nuova visione che affonda le radici anche nell’antichità cristiana.

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