venerdì 5 agosto 2011

Cantico (7) Reciproci elogi

15 Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono colombe. 16 Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso! Anche il nostro letto è verdeggiante. Le travi della nostra casa sono i cedri, nostro soffitto sono i cipressi.


I reciproci complimenti sono come balbettii d’innamorati, presi da ammirazione reciproca. «Tutto è come un amoroso certame tra lo sposo e la sposa, nel quale ciascuno cerca di superare l'altro nel dichiararsi amore e galanteria. Lo sposo loda la bellezza della sposa che, a suo parere, era sommamente bella; dice che è grande la sua bellezza con la ripetizione di parole, com’è tipico nella Sacra Scrittura; è come se dicesse: sei bella, bellissima» [1].


Come sei bella, amica mia, come sei bella! «Fino a questo punto la Chiesa ha presentato quali pegni d’amore abbia ricevuto dal suo sposo, il Cristo. Questi le risponde subito in contraccambio dicendole: anche tu sei bella; il fatto che tu mi ami ti fa diventare bella» [2]. Oppure come ulteriore spiegazione della bellezza acquisita: «Ho accolto in me il Figlio di Dio, ho ricevuto il Verbo diventato carne: mi sono accostata a lui, ch’è l’immagine di Dio, splendore riflesso della gloria di Dio e sono diventata bella» [3]


Come nella pratica si assimila lo splendore del Signore Gesù? «Chi si lascia prendere dall’ira, finisce con il diventare un tutt’uno con essa; chi si lascia vincere dal desiderio, si lascia andare al piacere; chi viene preso dalla viltà o dalla paura o da qualche altra passione, si conforma a queste. È vero anche il contrario: chi acconsente alla pazienza, alla purezza, allo spirito di pacificazione, al dominio di sé, alla sopportazione del dolore, al coraggio e all’incorruttibilità imprime nella sua personalità ognuna di queste doti e trova la pace nell’assenza da ogni turbamento, grazie alla stabilità della sua persona. Di conseguenza il Verbo dichiara alla sposa che si è resa bella: “Allontanandoti dal contatto col male, ti sei avvicinata a me; avvicinandoti alla Bellezza archetipa, tu stessa sei diventata bella perché rifletti la mia immagine come fossi uno specchio”. L’anima purificata dal Verbo, avendo lasciato alle spalle il male, ha potuto ricevere in se stessa il sole nel suo splendore e ora brilla insieme alla luce che le si è manifestata. Il Verbo può, quindi, dichiararle: “Ormai sei bella perché ti sei esposta alla mia luce; avvicinandoti ad essa hai conseguito la partecipazione alla mia bellezza”» [4]


I tuoi occhi sono colombe. L’espressione sta a significare che gli occhi sono messaggeri d’amore. «Il giovane cita gli occhi e dice che sono come quelli delle colombe orientali: sono grandi e molto rotondi, caratteristici per la lucentezza, per un velocissimo movimento e per il coloro strano che pare fuoco vivo» [5] In sintesi: lo sguardo trasmette attrazione amorosa.


Nell’interpretazione ebraica di Rashi, le colombe rappresentano gli Israeliti fedeli a Dio: «I tuoi occhi sono colombe: vi sono in te dei giusti che hanno aderito a me come la colomba che, dall’istante in cui conosce il suo compagno, non lo abbandona più per unirsi a un altro. Così si unirono a Lui tutti i figli di Levi e non peccarono con il vitello» [6]. Spesso gli occhi puri rappresentano o i migliori rappresentanti d’Israele o i migliori esponenti della Chiesa: «Gli occhi di coloro che comprendono e giudicano spiritualmente secondo l’uomo interiore, sono lo Spirito Santo. Queste parole significano: gli occhi tuoi sono spirituali, vedono spiritualmente, osservano spiritualmente» [7]. «I tuoi occhi sono occhi di colombe perché vedi Dio e [lo vedi] perché non cerchi altro al di fuori di Lui» [8].


Proprio grazie alla purezza degli occhi, ossia della nostra persona, noi possiamo comprendere il Signore con più grande profondità: «Se il suo occhio limpido è stato capace di accogliere l’immagine della colomba, allora può contemplare anche la bellezza dello sposo; adesso infatti la vergine rimane intenta alla figura dello sposo, ora che tiene impressa negli occhi l’immagine della colomba. Nessuno, infatti, può confessare che Gesù è Signore se non nello Spirito Santo» [9].


Un’altra applicazione. Noi possiamo scrutare nel mistero di Dio servendoci dell’occhio della ragione e di quello dell’amore. La ragione, se non è guidata dalla sapienza, può generare mostri ma se l’amore non è guidato dalla ragione diventa sentimentalismo o fanatismo irrazionale. Tuttavia nell’esistenza di fede il primato spetta alla carità: «Gli occhi della contemplazione sono due, la ragione e l’amore. Quando essi vengono illuminati dalla grazia si aiutano molto l’un l’altro nel senso che l’amore vivifica la ragione e la ragione rischiara l’amore, così lo sguardo diventa come quello delle colombe: semplice nel contemplare, prudente nel fare attenzione. E questi due occhi spesso diventano un occhio solo quando collaborano lealmente fra loro, quando mentre contemplano Dio, cosa in cui soprattutto agisce l'amore, la ragione si trasforma in amore e diventa una specie di’intelligenza spirituale e divina che supera e assorbe tutta la ragione» [10].


Ecco sei bello, amico mio, e attraente. La sposa – Israele riafferma la bellezza del suo Sposo, in contrasto con la sua negligenza: «Non la mia bellezza ma la tua. Sei tu che sei bello! Proprio soave perché sei passato sopra ai miei peccati e hai fatto dimorare in me la tua Shekhinà (Presenza)» [11].


La Chiesa contempla e celebra lo splendore di Cristo Gesù: «Ritengo che non ci sia nulla di bello oltre a te, quanto prima mi piaceva, ora lo disprezzo né m’inganno più nel valutare il pregio così da credere che ci sia un’altra bellezza oltre te. Non vale alcun onore umano, né gloria, né prestanza, né potere terreno. Tutti questi beni vengono ritenuti desiderabili a causa della sopravvalutazione di chi giudica lasciandosi ingannare dai sensi, mentre essi non valgono per quello che sono stimati. Come può essere bello ciò che per sua natura esiste solo relativamente? Le cose che vengono apprezzate in questo mondo, hanno consistenza soltanto nella stima delle persone che credono che esse abbiano un vero essere. Tu, invece, sei bello veramente; non soltanto bello, ma la bellezza per essenza; rimani sempre tale, sempre sei quello che sei. Non fiorisci in una stagione per poi sfiorire in un’altra ma prolunghi la tua bellezza in un’esistenza senza fine. Il tuo nome è Amore per gli uomini» [12].


Reciprocità: Come sei bello… Come sei bella. «La Sposa viene chiamata bella, anzi bella e amica, e lo Sposo bello, grazioso e amato. Infatti da quando la Sposa istruita dalle tentazioni, purificata dalla penitenza, illuminata da Dio ha cominciato a conoscere se stessa e a trovare in se stessa la persona che cercava, ormai lo Sposo e la Sposa entrano in intimità fra loro, si piacciono, si lodano reciprocamente e pregustano la gioia di congiungersi l'uno all'altra. Lo Sposo e la Sposa parlano fra loro, la Sposa con l'affetto della devozione, lo Sposo per effetto della grazia operante. O meglio la parola dello Sposo è l'opera della grazia che coinvolge, e la risposta della Sposa è la gioia stessa di una coscienza ben disposta» [13].


«Quand’è formato a somiglianza di Colui che lo fa, l’uomo diventa unito a Dio, cioè un solo spirito con Dio, bello nel bello, buono nel Buono. L’uomo in Dio è per grazia quello che Dio stesso è per natura» [14].


Anche il nostro letto è verdeggiante. La semplicità dell’ambiente campestre viene trasfigurata dagli amanti e avvertita da loro come un ambiente lussuoso. L’amore li rende dei principi.


«Lo chiama talamo fiorito perché il suo Sposo non solo è fiorito, ma è un narciso di Saron, un giglio delle valli. L’anima allora si adagia sul fiore stesso, che è il Figlio di Dio, il quale racchiude in sé profumo divino, fragranza, grazia e bellezza» [15].


Ogni credente deve fare di se stesso una dimora di quiete in cui abita Dio. «Il letto fiorito è la coscienza serena e la gioia dello Spirito Santo in questa (cf. 1 Ts 1,6), e il godimento continuo della verità alla sua stessa fonte. E a questo proposito che lo Sposo dice: su chi riposerà il mio Spirito se non sull'umile e mite, e su chi teme le mie parole (cf. Is 66, 12)? Beata la coscienza che cercando sempre il volto del Signore dopo i travagli delle fatiche materiali, dopo le tribolazioni delle prove spirituali trova sempre pronta dentro di sé una dimora di quiete e un letto fiorito, cioè la gioia particolare della propria testimonianza. Ed è a questa che si riferisce sempre lo stesso Paolo quando dice: Questa è la nostra gloria, la testimonianza della nostra coscienza (2 Cor 1, 12)» [16].


Nell’attività non dobbiamo disperderci o dissiparci ma conservare sempre un radicamento nell’interiorità: «Beata anche la coscienza che una volta uscita dalla gioia di questa soavità interiore per andare dovunque sia richiesto da un'opera necessaria o dalle esigenze della carità sia sempre pronta a ritornarci. E se uno è costretto a uscire rimanga sempre attaccato a quel posto con il legame forte dell'amore, così non si allontanerà troppo. E la forza della necessità esteriore non prevalga mai al punto da strappare tutto lo spirito della Sposa dalla virtù della soavità ulteriore» [17].


Capitolo 2. 1 Io sono un narciso di Saron, un giglio delle valli. 2 Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle. 3 Come un melo tra gli alberi del bosco, il mio diletto fra i giovani. Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palato.


Io sono un narciso di Saron, un giglio delle valli. Il fiore è espressione di bellezza, freschezza e attrazione; forse si tratta del fiore di loto. Forse è la ragazza a parlare ma in genere quest’espressione iniziale viene attribuita al giovane. Nel v. 2 il diletto sembra voler confermare l’autopresentazione della ragazza.


Gesù racchiude in sé tutte le qualità degli uomini santi vissuti prima di Lui: «Io sono bello e grazioso, poiché sono un fiore del campo e un giglio delle valli, sono cioè lo splendore del genere umano, l'onore di parenti umili, di padri poveri in spirito, cioè di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di David e di tutti gli altri, che sebbene furono monti per i loro meriti, nell'animo erano valli, e sebbene fossero ricchi di beni tuttavia erano poveri nello spirito. Di costoro, dunque, io sono lo splendore e la bellezza, veramente fiore, veramente giglio, poiché bello nel suo aspetto più di tutti i figli degli uomini. Nessuno dei figli degli uomini, infatti, possiede un aspetto come io ho» [18]. «Sono il fiore delle valli e non dei monti perché rivelo la bellezza della mia umanità e lo splendore dell’eterna divinità soprattutto agli umili e a quelli disposti a sopportare» [19].


Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle. «Il fiore che nasce tra i cardi è tanto più amato e apprezzato, quanto più sono odiose le spine tra le quali nasce; attraverso la bruttezza di quelle risalta la sua bellezza» [20].


Il giglio tra i cardi rappresenta il popolo eletto in mezzo alle nazioni pagane; sollecitato a darsi all’idolatria, esso rimane fedele a Dio: «Le spine pungono il giglio eppure esso rimane sempre nella sua bellezza, così la mia amica tra le fanciulle; la seducono ad andare dietro a loro e a prostituirsi come loro con gli dèi stranieri, eppure essa rimane nella sua fedeltà» [21].


La Chiesa vive una situazione simile a quella dell’antico popolo, anch’essa fiorisce tra le avversità: «La Chiesa è rosa tra i cardi e non rosa coltivata e curata, perché non è opera dei contadini di questa terra, ma fiore che cresce e si alimenta con la grazia divina come dice san Paolo: io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma Dio ha fatto crescere (1 Cor 5,6). Questa rosa è circondata di cardi nei quali si ravvisano i vari tipi d’infedeltà, di eresie e di credenze superstiziose che le stanno intorno e tentano di soffocarla, ma la promessa del Signore è ferma e sicura; per quanto siano forti questi colpi, in essa brillerà la luce della verità» [22]. «Nella Chiesa non possono esserci solo malvagi senza che vi siano dei buoni Né dei buoni senza dei malvagi, ma non può essere buono colui che non sopporta i malvagi» [23]. «Tu cerchi il riposo del letto, ma sappi che diverrai ancora più pura sopportando le spine delle tribolazioni e il guadagno della predicazione del Vangelo è maggiore di quello che deriva dal tuo stare nella tranquillità» [24].


La Chiesa ed ogni credente vive imitando il fiore del giglio: «Quando l’anima viene coltivata dal Signore che si prende cura della nostra umanità, essa fa spuntare nel campo del nostro essere, un fiore profumato, splendido e puro. Lo stelo del giglio, per un certo tratto, s’innalza dritto dalla radice e al vertice apre, infine, un fiore. Lascia però un certo spazio da terra per conservare integra la purezza del fiore, alla sua sommità, evitando che si imbratti a contatto con la terra. Così io credo. Anche l’occhio giusto dello sposo, avendo visto che la sposa è diventata questo fiore o che ella desidera diventarlo, l’occhio penetrante dello sposo, avendo notato nella sposa che sta intenta a lui, un desiderio ardente, acconsente che ella diventi un giglio ed impedisce che il fiore venga soffocato dalle spine che spuntano nell’esistenza» [25]. Le sofferenze che incontriamo e i travagli dell’esistenza non distruggono necessariamente la nostra positività: «Il giglio che viene punto dalle spine conserva il suo candore» [26].


Come un melo tra gli alberi del bosco, il mio diletto fra i giovani. Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palato. Il ragazzo emerge per la sua avvenenza tra gli altri giovani, come un fiore spicca tra i cardi o un melo in una selva. L’amata brama la compagnia del suo innamorato (v. 3). «Dicendo ciò allude ad un possesso completo e perfetto» [27].


Il popolo d’Israele sceglie il Signore Dio fra tutte le divinità: «Il Santo – benedetto Egli sia – è preferibile fra tutti gli dèi, perciò all’ombra sua desiderai sedermi» [28].


«Il melo soddisfa tre sensi: rallegra la vista per la sua bellezza, si fa gradire all’olfatto per il suo profumo e come cibo, infine, procura piacere al gusto. La sposa ha colto molto bene la differenza esistente tra lei e lo Sposo poiché egli attrae il nostro sguardo manifestandosi come luce; è un profumo per chi lo aspira e vita per chi se ne nutre» [29].


«La sposa desidera stare all'ombra di questo melo, cioè o la chiesa sotto la protezione del Figlio di Dio, o l'anima che fugge tutte le altre dottrine e si tiene stretta all'unico Verbo di Dio, conservando in bocca il suo dolce frutto, cioè meditando continuamente la legge di Dio e ruminandola sempre» [30]. «Parlando del frutto si riferisce senz’altro alla dottrina: “Quanto sono dolci al mio palato le tue parole, più che il miele alla mia bocca“» [31].


Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palato. «Dopo l’espulsione dal paradiso, l’umanità, che qui riceve il nome di amica, nella persona della Chiesa, ha subito molte sofferenze, esposta com’era alla calura degli attacchi demoniaci. Alla venuta di Colui che ha detto: Venite a me, voi tutti affaticati ed oppressi e io vi darò riposo (Mt 11,28), credendo nel Dio unico si riposa lieta, protetta dalla sua difesa. La sua ombra espande la dolcezza del regno dei cieli» [32]



1. Luis de León, Commento al Cantico dei cantici, p. 59.


2. Glossa I, 171.


[3] Origene, Commento al Cantico dei cantici, p. 109.


4. Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 77.


5. Luis de León, Commento al Cantico dei cantici, pp. 59-60.


6. Rashi di Troyes, Commento al Cantico dei cantici, p. 60.


7. Origene, Commento al Cantico dei cantici, p. 187.


8. Glossa I, 173.


9. Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 78.


10. Guglielmo di Saint-Thierry, Commento al Cantico dei cantici, 76, pp. 104-105.


11. Rashi di Troyes, Commento al Cantico dei cantici, pp. 60-61.


12. Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 78.


13. Guglielmo di Saint-Thierry, Commento al Cantico dei cantici, 77, p. 105.


14. Guglielmo di Saint-Thierry, Commento al Cantico dei cantici, 78, p. 106.


15. Giovanni della Croce, Cantico spirituale B, 24, 1, p. 622.


16. Guglielmo di Saint-Thierry, Commento al Cantico dei cantici, 80, pp. 108-109.


17. Guglielmo di Saint-Thierry, Commento al Cantico dei cantici, 81, p. 109.


18. Ruperto di Deutz, Commento al Cantico dei cantici, p. 94.


[19] Glossa II, 1.


[20] Luis de León, Commento al Cantico dei cantici, p. 65.


[21] Rashi di Troyes, Commento al Cantico dei cantici, p. 63.


[22] Luis de León, Commento al Cantico dei cantici, p. 66.


[23] Glossa II, 7.


24. Glossa II, 6.


[25] Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, pp. 81-82.


[26] Glossa II, 9.


[27] Luis de León, Commento al Cantico dei cantici, p. 67.


[28] Rashi di Troyes, Commento al Cantico dei cantici, p. 64.


[29] Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 83.


[30] Origene, Commento al Cantico dei cantici, p. 196.


[31] Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 83.


[32] Apponio, Commento al Cantico, III, 33.


Nessun commento:

Posta un commento