venerdì 1 marzo 2019

Lettera ai Romani 1-5



Il vangelo di Dio riguarda il Figlio suo

L'annuncio della Chiesa ha per oggetto il Signore Gesù: il vangelo di Dio che riguarda il Figlio suo. Il Vangelo nel suo nucleo più profondo corrisponde alla persona di Gesù. Egli è la vera immagine di Dio, l'umanità finalmente riuscita, l'unico vero maestro di vita, la salvezza (si è salvi nella misura in cui si diventa simili a lui); è il significato della nostra vita (la quale acquista senso della misura in cui noi riusciamo ad essergli simili) e il senso della storia. Gesù è tutto. Finché siamo senza di lui, anche se possediamo molte cose, rimaniamo sempre molto poveri.


Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo (Rm 1, 1-5)

Gesù, nato dalla stirpe di Davide come uomo, è stato costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti. Noi cogliamo il valore della persona di Gesù, in modo globale, non quando rimaniamo legati soltanto alle vicende della sua vita terrena, ma quando lo pensiamo nella condizione in cui vive attualmente da Risorto. Soltanto ora, Gesù manifesta tutta la sua forza. Già nel corso della sua vita terrena era Figlio di Dio, ma soltanto al presente dispiega tutta la pienezza della sua energia. Cristo è come un albero nuovo, rigoglioso e fecondo, nel quale veniamo innestati. Se non ci fosse lui con noi, come persona viva e presente, il Vangelo non sarebbe più vangelo. Resterebbe una proposta morale, piuttosto difficile da applicare. Invece Cristo Gesù è vivo e presente, ricco di vita sovrabbondante che non viene mai meno.
Gesù ha inaugurato la risurrezione; è nello stesso tempo la vita nuova e la vita eterna. Possiamo dire anche in quest'altra maniera: Gesù è la vita eterna, che comincia in modo parziale anche al presente. Chi possiede Gesù, possiede anche la vita eterna (1 Gv 5,12). L'annuncio del Vangelo non si limita soltanto a proporlo come maestro di umanità o come il migliore dei profeti, ma lo esalta come l'inizio della vita eterna. «L’apostolo non ha detto in virtù della risurrezione di Cristo bensì in virtù della risurrezione dei morti perché la risurrezione di Cristo ha accordato la risurrezione di tutti» (Ambr., CLR p. 45).


C'è un'altra cosa che possiamo osservare riguardo a questo testo: l'unità tra il Gesù terreno e il Cristo risorto. Gesù riceve il titolo di Cristo e Signore. Noi dobbiamo considerarlo in tutti questi due aspetti. Da una parte dobbiamo tornare sempre a Gesù, contemplando la sua umanità concreta e nella sua vita terrena. Il grande dono di Dio agli uomini infatti è stato Gesù stesso. La Lettera agli Ebrei dichiara che egli è l'«impronta di Dio», ossia la manifestazione più veritiera, più nitida e più luminosa di Dio, al punto tale da eguagliarlo, proprio come fa un'impronta rispetto all'originale. Dio Padre non ci ha donato un libro, una teoria e neppure un semplice profeta. Ci ha donato un persona concreta nella quale possiamo contemplarlo e per mezzo della quale possiamo anche raggiungerlo ed entrare in comunione con lui. Dall’altra parte, l'uomo Gesù però non è soltanto un personaggio della storia. Continua a vivere e a riversare la sua ricchezza personale su di noi, nella sua condizione di Signore. I Vangeli ci illustrano ciò che Gesù ha fatto come maestro, nella sua breve vita terrena, ma quella stessa opera la rinnova ora, operando come Risorto e quest’ultima prospettiva è più rilevante della prima. Infatti aveva detto ai suoi discepoli: «È meglio per voi che io me ne vada» (Gv 16,7).
Quando vediamo, in vari passi del Vangelo, che Gesù calma il lago in burrasca, fa camminare l'apostolo Pietro sull'acqua, lo sorregge quando questi inizia a sprofondare; quando leggiamo che moltiplica i pani e i pesci, non dobbiamo pensare tanto a fatti del passato ma ad opere attuali del Cristo risorto. Oggi il Signore crea la pace e fra di noi; ci aiuta a superare sconvolgimenti della storia; ci sorregge, se sprofondiamo; ci alimenta con il dono di sé. In questo consiste l'unità tra Gesù e il Cristo; è questo che professiamo quando proclamiamo: Gesù è il Signore.

«Gesù Cristo ha un significato e un valore per il genere umano e la sua storia, singolare e unico, a lui solo proprio, esclusivo, universale, assoluto. Gesù è, infatti, il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti. Raccogliendo questa coscienza di fede, il Concilio Vaticano II insegna: “Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, è diventato egli stesso carne, per operare, lui l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà. È il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti”. È proprio questa singolarità unica di Cristo che a lui conferisce un significato assoluto e universale, per cui, mentre è nella storia, è il centro e il fine della stessa storia: “Io sono l'Alfa e l'Omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine” (Ap 22,13)» (Dominus Jesus 15).



Il Vangelo è potenza di Dio


L'annuncio del Vangelo incontra talora l'ostilità degli ascoltatori e perciò l'annunciatore può diventare esitante e reticente ma Paolo, non solo non prova sentimenti di vergogna, ma si dedica interamente al suo compito di annunciatore.
Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà (1, 16-17).
Non vergognarsi per lui significa piuttosto consacrarsi in modo totale a questo compito, con grande energia.
La parola del Vangelo è «potenza di Dio», forza creativa. Mediante l'annuncio, Egli agisce nel mondo e converte gli uomini al bene. L'annunciatore non manifesta delle semplici opinioni. Il Vangelo non si risolve nel perdono e nella assoluzione della colpa; non è semplicemente una manifestazione di paziente tolleranza, ma è una forza che crea, rinnova e trasforma (cfr. Maggioni…, p. 29). È il dispiegamento di una forza positiva che può contare su tutta la potenza di Dio perché, nell'annuncio, Egli interviene in modo analogo a ciò che ha compiuto quando ha risuscitato Cristo dai morti (cfr. Penna, CLR, p. 136).

Nel Vangelo si rivela la giustizia di Dio. Con la predicazione del Vangelo, «si rivela», comincia ad attuarsi un disegno di salvezza progettato da lungo tempo e che Dio aveva già preannunciato nella storia di Israele. Il vangelo rende nota la giustizia di Dio, perché Egli, nel suo operare, manifesta sempre in primo luogo se stesso, le sue qualità divine, e solo successivamente indica le conseguenze che la sua azione provoca nell'uomo.
La giustizia di Dio significa fedeltà alle promesse. Lo attesta già l’Ambrosiaster (un autore anonimo del sec. V): «La qualità che si manifesta come misericordia è chiamata giustizia di Dio perché ha origine dalla promessa, e quando la promessa di Dio viene adempita, allora si parla di giustizia di Dio. È giustizia perché è stato dato ciò che fu promesso» (Ambr., CLR p. 103).
La rivelazione della fedeltà di Dio è un fatto che avviene in modo permanente: ogni volta che si svolge la predicazione, si attiva anche la fedeltà di Dio che non si esaurisce.
Nel Vangelo si rivela la giustizia, «non la tua ma quella di Dio. Non deriva dai vostri sudori né dai vostri sforzi, ma vi viene data per un dono dall’alto, senza che dobbiate fare qualcosa di più del semplice credere. Sembrava incredibile che un adultero, un libertino, uno scassinatore o un mago non solo evitino la punizione ma diventino dei giusti, grazie ad una giustizia elargita dall’alto. [Per convincere] lo prova facendo ricorso alla Bibbia» (Crisost., CLR 2,6), cioè al messaggio del profeta Abacuc: “Il giusto vivrà per la sua fede”» (2,4).
Dio vuole salvare chiunque crede: la prospettiva della salvezza possiede un carattere universale: appartiene a chiunque crede. Dio Padre vuole agire a favore di tutti gli uomini e non soltanto a favore del popolo d'Israele, come è accaduto in prevalenza all'epoca della prima alleanza. Mediante la predicazione del Vangelo, si propone di salvare tutti gli uomini, rinunciando a stabilire delle condizioni previe che rendano possibile la ricezione del suo dono.
La forza salvifica di Dio si manifesta in tutti gli uomini che, accogliendo questo messaggio, vi prestano fede: «Sebbene tu ti sia comportato finora in modo riprovevole; quand’anche tu abbia agito come una fiera, abbandonando del tutto la ragione e ti fossi aggravato di un’infinità di colpe, non appena sentirai annunciare il messaggio della croce e ti farai battezzare, cancellerai tutto il tuo passato» (Crisost., CLR 2,5).


L’Antico Testamento rende testimonianza all'annunzio della buona novella: «David, a proposito degli apostoli dice: “Il Signore darà agli evangelizzatori una parola [da annunziare] con molta potenza” (Sal 67,12-13). Voleva insegnarci che l'efficacia persuasiva non proviene dalla composizione del discorso né dalla perizia nella scelta delle belle parole, ma dall'elargizione di una potenza divina. È per questo che anche Paolo dice: “La mia parola e il mio messaggio non ebbero discorsi persuasivi di sapienza, ma conferma di Spirito e di potenza” (1 Cor 2,4). A questa potenza rendono testimonianza Simone e Cleofa con quelle parole: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre discorreva con noi sulla strada, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32). Isaia, dichiarando: “Quanto sono belli i piedi di quelli che annunziano beni” (Is 52,7), comprese il senso profondo, la bellezza e l'opportunità della predicazione degli apostoli che camminano in colui che disse: “Io sono la via” (Gv 14,6)» (Origene, Commento al Vangelo di Giovanni… p. 131).


Parlando di salvezza, l'apostolo Paolo pensa soprattutto al futuro. Il cristiano non è già stato salvato interamente ma si trova sulla via della salvezza. Saremo salvi soltanto quando saremo simili al Cristo Risorto, partecipi della sua gloria. Per il momento, pur non vivendo la dimensione della glorificazione, possiamo considerarci, senza illusioni, nuove creature, persone riconciliate con Dio e che godono di una vera anticipazione dello splendore futuro.



La redenzione che è in Cristo Gesù


L'umanità finisce sempre col trovarsi sotto il dominio del male e la forza del peccato supera la buona volontà: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio. Ora, però, viene annunciata una novità di grande rilievo, l'attuarsi dell'azione risolutiva di Dio che era già stata testimoniata dalla Legge e dai Profeti, ossia preannunciata nel tempo della prima alleanza.
A creare problema non sono i peccati ma il Peccato, inteso come un dominatore dalle caratteristiche personali che sta all’origine delle trasgressioni; esso regna in modo universale su tutti e si manifesta nelle loro azioni disoneste.
Il progetto di Dio Padre consiste nel tentativo, definitivo, di perdonare i peccatori ma anche di dare loro la possibilità di diventare persone rette e innocenti, sottraendosi al dominio del Peccato. Al centro di questo progetto c’è redenzione compiuta da Gesù.


Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù.

Il vangelo di Dio prende così la forma di una «buona novella mediante la quale i peccatori sono convocati al perdono» (Ambr., CLR p. 41).

Vediamo ora in che cosa consista la redenzione annunciata: essa si presenta in un primo passo come espiazione. Era già conosciuta da Israele poiché i regolamenti stabiliti nel Primo Testamento prevedevano delle modalità attraverso le quali Dio concedeva il perdono. Il Signore ho voluto porre un rimedio a questa situazione senza sbocco: gli uomini sono giustificati gratuitamente per la sua grazia.


È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù. Dove dunque sta il vanto? È stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge (3,21-28).


Per un suo atto di bontà, la fedeltà dimostrata da Gesù, in tutta la sua vita ma soprattutto della sua morte in croce, viene considerata da Dio come espiazione, compiuta a favore degli uomini. Di per sé, sarebbe sbagliato ed ingiusto assolvere un peccatore senza che questi si penta e risarcisca il danno ma Cristo ha risarcito per noi. «Dio è giusto e come tale non poteva giustificare gli ingiusti: volle perciò che ci fosse l'intervento di un propiziatore affinché venissero giustificati per la fede in lui quanti non potevano essere giustificati per le proprie opere (Orig.,CLR, p. 155)».
Il perdono gratuito di Dio è una nuova manifestazione e rivelazione che Egli fa di se stesso poiché mostra la vastità della sua bontà. Qui, giustizia di Dio significa la sua fedeltà alle promesse, già formulate per grazia. «Paolo non parla soltanto di salvezza, ma di giustizia, dichiarando: la giustizia di Dio si rivela. Egli si manifesta negli eventi gloriosi, mirabili e magnifici» (Crisost., CLR, 8,1). Il perdono è uno di queste meraviglie.
Dall’altra parte anche l’uomo riceve una nuova identità poiché diventa giusto: «Chi viene salvato in questo modo [in base alla sua fiducia nel perdono di Dio], viene rassicurato sulla certezza della sua salvezza perchè viene accolto come giusto» (Crisost., CLR, 8,1).
Il versetto citato (v.21) ricorda in modo esplicito il valore del sangue di Gesù, ossia della sua morte in croce. Gesù ha obbedito a Dio mentre sperimentava la durezza della condizione umana. «Il Verbo che ha assunto tutto l’uomo fece suoi anche le sensazioni del corpo e i sentimenti dell’anima. Non pianse lacrime false o assunse cibo per una finta fame o dormì simulando il sonno. È stato disprezzato nella nostra povertà, addolorato nella nostra tristezza, crocifisso nel nostro dolore. La misericordia subì le sofferenze della nostra condizione mortale per risanarle e vincerle» (Leone Magno, Discorsi, 45,4-5).
La redenzione operata da Cristo segna una svolta nella storia degli uomini. Soltanto grazie al dono di sé da Lui compiuto, ora il bene può attecchire nel nostro mondo. Lo testimonia la modalità con cui si è attuata l’evangelizzazione: «Uomini stranieri, privi di sapere e di novità strabilianti, girarono il mondo predicando il crocifisso, proponendo il digiuno al posto delle crapule, una scomoda morigeratezza al posto della sensualità. Eppure avevano presa sulle persone. Che tesoro avevano? La potenza della croce. Prima della crocifissione i discepoli non operano nulla; dopo sì, quando noi immondi fummo lavati con il sangue. E come il ferro prima del contatto col fuoco è freddo ma quando è messo nel fuoco, diventa incandescente, allo stesso modo si comportano i mortali che si sono rivestiti di Gesù» (Eusebio di Emesa, Discorsi, 14,7-8).
Nessun vanto
L’ebraismo non era di per sé una religione legalistica. Israele non obbediva alla Legge per meritare l’amore di Dio ma per rispondere all’amore già ricevuto. All’interno di questo atteggiamento, però, poteva insinuarsi l’illusione di farcela da soli, la presunzione di essere innocenti in sostanza, accompagnata dal disprezzo verso i trasgressori, in questo caso, i pagani. Questo è un rischio permanente per tutti gli uomini religiosi. È necessario al contrario, sentirci bisognosi d’aiuto e di perdono, tolleranti verso chi sbaglia. Se la giustificazione è un dono perché proviene dall’opera di Dio e non dai nostri meriti, ogni vanto, ossia ogni sentimento di presunzione e d’orgoglio, viene escluso, non è più possibile. La morte in croce di Gesù deve ispirarci sempre questi sentimenti.


Dove dunque sta il vanto? È stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge (3,21-28).


Origene così suggerisce: «Il vanto che proveniva dalle opere della legge viene escluso perché non ha l'umiltà della croce di Cristo; e chi in essa si gloria ascolta cosa dice: “Lungi da me il gloriarmi, se non della croce del Signore mio Gesù Cristo, per il quale il mondo è per me crocifisso e io per il mondo” (Gal 6,14). Vedi come l'apostolo non si glori della propria giustizia né della castità né della sapienza né delle altre sue virtù e azioni, ma assai apertamente proclami e affermi: “Chi si gloria, si glori nel Signore” (1 Cor 1,31). Chi infatti potrà con ragione gloriarsi della propria castità dal momento che legge: “Se uno avrà guardato una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,28)? Onde anche il profeta dice: “Come si glorierà uno di avere il cuore casto”? (Pro 20,9). Oppure chi si glorierà della propria giustizia dal momento che ascolta Dio dire mediante il profeta: “Tutta la vostra giustizia è come il panno di una donna mestruata?” (Is 64,6). L’unico vanto giusto è quello per la fede nella croce di Cristo, fede che esclude il vanto proveniente dalle opere» (Orig.,CLR/1, p. 166).
Cerca poi di rassicurare gli scandalizzati, ossia quelli che pensavano che, garantendo una modalità di perdono così facile, sarebbe stato come incoraggiare gli uomini a continuare a peccare, ma cerca anche di correggere eventuali approfittatori. Agli uni e agli altri dichiara in modo inequivocabile: «La fede non può avere nulla in comune con l’incredulità né la giustizia una qualche comunione con l’iniquità, così come per la luce non può esserci associazione con le tenebre. Se, infatti, chi crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio e chi è nato da Dio non pecca, è chiaro che chi crede a Gesù Cristo non pecca: ché se pecca, è certo che non crede a lui» (Orig.,CLR/1, p. 176). Dalle fede autentica scaturisce un retto comportamento.


Presente e futuro del cristiano

Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,1-6).


Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Abbiamo ottenuto la pace con Dio. Mentre godiamo di questo dono insperato, guardiamo con sicurezza anche al nostro futuro, quando potremo condividere in pienezza la gloria del Risorto. La situazione di grazia di cui godiamo, e soprattutto quella di cui godremo, dipendono da un evento è passato: siamo stati giustificati per mezzo della morte di Cristo.


Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo... «Da Cristo ci vengono molte e svariate cose: è morto per noi, ci ha riconciliati, ci ha dato accesso ad un'ineffabile grazia e ce l’ha comunicata; per parte nostra invece ci mettiamo solo la fede. E non si ferma qui, perché annuncia anche altri beni, quelli indicibili che superano la mente e la ragione. Infatti, parlando di grazia si riferisce alle realtà presenti che abbiamo conseguite, ma quando dice: ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio, rivela tutte le realtà future (Crisost., CLR, 9,2).
Noi ora ci troviamo stabilmente in una grazia che si dilata oltre misura e non viene mai meno. «Giustamente dice: nella quale rimaniamo, perché così è la grazia di Dio: non ha fine né limiti ma si espande sempre più, cosa che per gli uomini non si verifica. Facciamo un esempio: uno può prendere il comando, la gloria, il potere, ma non rimane stabilmente in essi, perché ben presto ne decade. Per le cose di Dio non è così: non c'è uomo o tempo o circostanza e neppure lo stesso diavolo o la morte che possa venire a privarcene. Anzi, quando moriremo le possederemo più pienamente e cresceremo sempre più nel loro godimento» (Crisost., CLR, 9,2).


… e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria. «Il credente deve ostentare certezza non solo delle cose che gli sono state date, ma anche di quelle future come se gli fossero già state date. Infatti uno si vanta di ciò che ha già ottenuto. Ora, poiché la speranza delle cose future è sicura e certa quanto le cose già date, noi ci vantiamo a pari titolo anche di quelle» (Crisost., CLR, 9,2). In altre parole, Dio ha fretta a comunicarci per intero ciò che vuole donarci e che ha cominciato a darci in parte.


Ci vantiamo anche nelle tribolazioni. Se abbiamo ricevuto un dono così rilevante perché ancora stiamo soffrendo e dobbiamo affrontare molteplici tribolazioni? Dobbiamo trovare da noi la risposta. In che modo? Siamo invitati ad osservare in profondità l'esperienza che stiamo vivendo. Il cristiano che ama Dio e si affida a lui in spirito di abbandono, supera o facilità tutti i travagli che incontra. Lo può fare grazie alla presenza in lui dello Spirito Santo, che rappresenta il dono massimo di Dio per il tempo presente. Se ci facciamo guidare da lui, le stesse vicissitudini di dolore e sofferenza si trasformano in un’occasione di crescita. Paolo, così, più che dare un insegnamento teorico, ci offre dei parametri per renderci capaci di discernere i fatti della nostra esistenza al fine di scoprire in quale modo l'amore di Dio ci raggiunga. Osservando in noi gli effetti della sua grazia impariamo a conoscere Dio mediante la nostra vita.


La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Il dono dello Spirito attesta in maniera certa che Dio ci ama oltre ogni dubbio e che agisce con noi con grande generosità. «Qualcuno infatti potrebbe dire: “E se Dio non volesse concederci la sua grazia? Che ne abbia il potere e che duri in eterno e viva lo sappiamo tutti, ma da dove sappiamo che egli anche lo voglia?” Da quanto si è già verificato. E cos'è che si è verificato? L'amore che ha mostrato per noi. In che modo? Donandoci lo Spirito Santo. Per questo, dopo aver detto che la speranza non delude, ne dà dimostrazione aggiungendo: “Perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori” (Rm 5,5). Non ha detto: “È stato dato”, ma “È stato riversato nei nostri cuori”, sottolineando la generosità. Infatti quello che ci ha fatto è stato il dono più sublime; non il cielo e la terra e il mare, ma un dono più prezioso di tutti questi, che da uomini ci ha fatti diventare angeli, figli di Dio e fratelli di Cristo. Qual è questo dono? Lo Spirito Santo!» (Crisost., CLR, 9,2).


L’espressione amore di Dio allude in primo luogo alla benevolenza che il Padre usa verso di noi, ma in seguito lo Spirito suscita in noi un amore di risposta verso Dio; in questo modo siamo inseriti all’interno della Trinità perché viviamo mediante quella carità che è la caratteristica di ogni Persona divina: «È stato diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo quell'amore con cui noi amiamo Dio, oppure quello con cui siamo da lui amati? Se si deve piuttosto intendere quell'amore con cui noi siamo amati da Dio, è certo che l'apostolo ritiene l'amore il sommo e massimo dono dello Spirito santo. Avendo prima ricevuto da Dio un tale dono, noi possiamo amare Dio poiché da lui siamo amati. Dall'unica fonte della divinità del Padre è infusa l'abbondanza dell'amore anche nei cuori dei santi, perché ricevano la partecipazione alla natura divina (cfr. 2 Pt 1,4). Mediante questo dono dello Spirito santo, trova compimento quella frase pronunciata dal Signore: “Come tu Padre in me ed io in te, anche questi siano una cosa sola in noi” (Gv 17,21): siano resi cioè partecipi della natura divina per l'abbondanza dell'amore donato per mezzo dello Spirito Santo» (Orig.,CLR/1, p. 223 passim).


Paolo torna a parlare dell'impegno di Dio per noi. Cristo è morto per noi, per annullare le nostre colpe. Tutti i peccati degli uomini sono stati come eclissati dalla sua santità e dalla sua obbedienza, che manifestava la sua completa fiducia nel Padre.

Quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (5,6-8).

«L'apostolo, volendo far capire meglio la forza dell'amore, ci insegna che Cristo è morto, non per gli uomini pii, ma per gli empi. Eravamo infatti empi prima di convertirci a Dio, e Cristo certamente ha subito la morte per noi prima che credessimo. Non avrebbe fatto questa cosa se non avesse avuto verso di noi un amore straordinario e sovrabbondante, sia il Signore Gesù morendo per gli empi, sia Dio Padre consegnando il suo Unigenito. In questo vi è un indizio della sua infinita bontà divina. Se infatti non fosse Figlio di quel Padre di cui è detto: “Nessuno è buono, se non il solo Dio Padre” (Mc 10,18), non avrebbe certo potuto manifesta-re una bontà così grande verso di noi» (Orig., CLR/1, p. 224).


A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione (5,9-11)

Nel momento presente, cominciamo ad essere salvi e possiamo essere liberati dall’ira. L’ira corrisponde alla nostra situazione di miseria, peccato e tristezza (il concetto era già stato sviluppato all'inizio della lettera); è l'incapacità di uscire dal male che ci attanaglia. L'evento della salvezza non è però soltanto una liberazione dal male ma l'avvio in un cammino verso il bene. La giustificazione non è soltanto un atto di perdono ma anche l' inizio di una vera trasformazione dell'uomo; è questo che Paolo intende quando parla di riconciliazione.
«Se si è manifestato buono verso gli empi in tal misura da dare l’unico Figlio per la loro salvezza, quanto più generoso sarà verso coloro che si sono convertiti e che sono stati redenti dal suo sangue?» (Orig.,CLR, p. 226). Dio non rende giusti gli uomini soltanto nel momento in cui li perdona gratuitamente e concede loro il dono della fede in Lui ma continua a coltivarci nell’attesa di verificare la nostra produttività. «Il fatto stesso che possiamo compiere qualcosa o pensare o parlare, ci è possibile farlo per suo dono e benevolenza» (Orig.,CLR/1, p. 179).
«È evidente che se, per riconciliarci a sé, Dio consegnò suo Figlio alla morte, quanto più una volta riconciliati ci renderà salvi per mezzo della vita del Figlio stesso, perché non potrà non amare gli amici colui che fa del bene ai nemici. Certo, se la morte del Salvatore ha giovato a noi ancora empi, quanto più, una volta giustificati, ci gioverà la sua vita di risorto dai morti? Perché, come la sua morte ci ha strappati al diavolo, così anche la sua vita ci libererà dal giorno del giudizio di Dio» (Ambr., CLR p. 129).
«Dio ha amato gli uomini che lo odiavano e continua ad amarli. Infatti “fa sorgere il s-le sopra i cattivi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45). Ama Colui che ti ama e ti ama davvero. Obietterai: come è possibile che mi ami se minaccia la pena eterna e il castigo? Lo fa proprio perché ti vuol bene. Elimina da te la malizia e frena la tua inclinazione al male; Egli fa tutto questo, ti promette il premio e ti minaccia il castigo per impedire che tu ti volga al peggio» (Crisost., CLR, 9,4).
La riflessione sviluppata nella lettera suscita un altro interrogativo la cui risposta ci aiuta a scoprire la vastità delle generosità di Gesù. Se la morte viene in conseguenza della colpa, Gesù non avrebbe dovuto morire. Come spiegare la morte dell’innocente Gesù? Non siamo di fronte ad un’incongruenza? Così risponde Origene: «Pur non avendo personalmente commesso peccato, tuttavia, per la nostra salvezza, mediante l’assunzione della carne, si dice sia diventato peccato egli stesso. Così, pur non essendole sottomesso, l’accolse spontaneamente per la nostra salvezza e non per necessità, per portare a compimento quel piano divino che aveva accolto. Lo disse Egli stesso: “Ho il potere di consegnare la mia vita e ho il potere di prender-la di nuovo”» (Orig.,CLR/1, p. 243). Il fatto di morire come tutti noi, segnala l’estrema generosità di Gesù.



Adamo e Cristo

Cristo, annunciando lo splendore della grazia, mostra, per contrasto, la nostra povertà estrema. Entrambe le situazioni vengono collegate a due figure tipiche Adamo e Cristo. Tra i due si scorgono più differenze che somiglianze. Il primo è soltanto un simbolo astratto. Rappresenta l'immagine tipo dell'uomo, la parabola dell'umanità; Cristo, invece, è realmente un uomo concreto reale e inizio di una nuova umanità.


L’apostolo annuncia la nostra povertà ma anche la causa che l’ha provocata:

Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti, perché tutti hanno peccato... (5,12).

Adamo e, dietro di lui, ogni uomo che ripete volontariamente ciò che egli ha compiuto, diventano responsabili della situazione di morte presente nel mondo. Insieme al peccato compare la morte perché il peccato spegne e dequalifica l’esistenza e poi la distrugge.
Dopo Adamo e condizionati dal suo esempio negativo, gli uomini, da sempre, fino ai nostri giorni, confermano la scelta sbagliata dei progenitori. «Il peccato viene quasi personificato come una potenza malefica, entrata nella natura umana, che provoca la morte come segno della morte spirituale. Sotto l'influsso di questa potenza, tutti hanno peccato, non per un destino cieco, ma assecondandola in se stessi con i peccati personali» (cfr. Pulcinelli, La Bibbia. Via Verità e Vita… p. 2681).

Come può avvenire per gli uomini questo sprofondare nel male?
Il sole risplende su tutti, ma qualcuno può sempre chiudere gli occhi e costringersi a camminare al buio: «La luce solare può essere percepita da tutti coloro che sono provvisti della facoltà visiva. Chi vuole può, chiudendo gli occhi, rimanere estraneo a questa percezione; in tal caso però non è il sole a ritirarsi altrove ed a produrre quindi la tenebra, ma è l'uomo a separare il proprio occhio dal raggio chiudendo le palpebre» (Gregorio di Nissa, La Verginità… pp. 76-77).
L’uomo, creato ad immagine di Dio, era dotato della libertà ed era così capace di attuare il bene a cui aspirava. Non è stato Dio a creare il male ma fu Adamo a rivolgersi contro se stesso, e a dare consistenza, nel suo agire, a quel male che di per sé non ha una propria consistenza. «L'uomo era l'immagine e l'imitazione [di Dio], della potenza che su tutto regna, e per tale ragione, nella libertà delle sue scelte, era simile al padrone di tutte le cose. Non era schiavo di nessuna necessità esterna, e poteva disporre di sé come voleva secondo il proprio giudizio, giacché aveva la facoltà di scegliere ciò che gli piaceva. Fu lui ad attirare volontariamente su di sé, fuorviato da un inganno, la disgrazia in cui ora si trova il genere umano: da sé scopri il male, senza averlo visto prodotto da Dio. Non fu infatti Dio a creare la morte (cfr. Sap 1,13), ma fu l'uomo a divenire in un certo senso il creatore e l'artefice del male (Gregorio di Nissa, La Verginità… pp. 76-77).


Dobbiamo evitare di pensare che il male esista di per sé o che l’uomo sia in uno stato totale di depravazione. Come persone umane siamo deboli, cioè suscettibile di tentazioni, ma non corrotti alla radice. Oltretutto Gesù è vissuto in una carne debole come la nostra ma è stato esente dal peccato perché il peccato non si identifica con la carne dell'uomo, ossia con il suo corpo.

Il peccato non è soltanto trasgressione della legge ma un comportamento sbagliato in sé e per sé, un operare che genera morte. Questo tipo di danno compare anche là dove nessuna legislazione esplicita è intervenuta in precedenza per stabilire un regolamento. Adamo sperimenta la morte, la quale nel suo ultimo sviluppo negativo è inferno. Da Gesù scaturiscono invece la libertà dal peccato e la vita nuova che raggiunge il suo culmine nella vita eterna.
L'intento primario dell’Apostolo non è quello di descrivere la condizione negativa dell'umanità, quasi per il gusto di denigrare, ma è quello di presentare l'ampiezza e la vastità della grazia e del rimedio al nostro male, procurato da Dio per mezzo di Gesù.
Dio Padre ha posto gli uomini in solidarietà tra di loro, così che il comportamento dell'uno influisce su quello dell'altro. Dal momento che Gesù è venuto sulla terra, la sua santità ha esercitato e continua ad esercitare un influsso positivo al massimo grado. Per l'obbedienza di un uomo solo, cioè Cristo, tutti veniamo prima considerati e poi formati da Dio come uomini giusti. Proprio per poter godere appieno dei benefici portati a noi da Gesù, siamo stati posti da Dio in solidarietà gli uni o gli altri, in ogni evenienza. Il guadagno che avremmo ricevuto da questo legame costitutivo, sarebbe stato superiore a qualsiasi perdita.

Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti (5, 15-19).


L’umanità intera si trovava nell’incapacità di vincere il peccato e di evitare l’esperienza della morte. La possibilità di superare questo accumulo di male e recuperare in tutto la nostra esistenza ci venne offerta da Cristo Gesù. «La morte ha regnato da Adamo, che per primo aprì il passaggio al peccato in questo mondo, fino a Mosé, cioè fino alla legge. Mediante la legge infatti cominciò a manifestarsi la purificazione dei peccati e, in qualche misura, per mezzo delle vittime immolate, dei vari riti di espiazione, dei sacrifici e dei precetti si iniziò a contrastare la sua tirannide. Ma poiché il suo dominio era talmente grande da superare le forze della legge, furono mandati in aiuto di essa i profeti. Anche costoro però, riconoscendo che la potenza del tiranno era superiore alle loro forze, implorarono che venisse di persona lo stesso re, supplicando Dio: “Manda la tua luce e la tua verità” (Sal 42,3), e ancora: “Abbassa i tuoi cieli e discendi” (Sal 143,26) e “Sorgi, Signore, soccorrici” (Sal 43,26). Venne dunque Gesù Cristo Figlio di Dio» (Orig., CLR/1, pp. 250-251).


Esiste una grande differenza tra l’opera di Adamo e quella di Cristo. Gesù ripara il nostro male e ci dona molto di più che di quanto avevamo all’origine e di quanto potevamo desiderare; ottiene un risultato che è incomparabile, al punto da rendere pienamente giustificabile il nostro precedente coinvolgimento nel peccato di tutta umanità. La vita è molto più forte della morte e la giustizia del peccato. …Quelli che ricevono l'abbondanza della grazia: l’apostolo non parla soltanto di grazia ma di abbondanza di grazia. «Noi non abbiamo ricevuto, infatti, soltanto una stretta misura di grazia, il minimo necessario per evitare il peccato, ma molto di più. Siamo stati sottratti al castigo, abbiamo deposto ogni fardello di peccato, siamo stati rigenerati dall’alto, siamo stati risuscitati dopo aver sepolto l’uomo vecchio, siamo stati riacquistati e santificati, abbiamo ricevuto l’adozione a figli e la giustificazione, siamo diventati fratelli dell’unico Figlio, siamo stati designati come coeredi, membra del suo corpo, uniti a lui come il corpo alla testa. Tutti questi beni sono parte dell’abbondanza di grazia di cui ci parla Paolo. Non ci è stato dato soltanto una medicina per guarire dalle nostre ferite, ma la santità, la bellezza, l’onore, la gloria, tutti doni che superano le nostre possibilità umane» (Crisost., CLR, 10, 2)
L’attenzione viene rivolta al futuro: regneranno nella vita per mezzo di quell'uno che è Gesù Cristo. L’uomo non ha ancora ricevuto la salvezza ma soltanto un inizio di salvezza; esso di già molto ricco, rimane ancora inferiore alle sue potenzialità ultime. «Mentre ha detto “tutti muoiono in Adamo”, non ha detto così anche in Cristo tutti sono vivificati ma “saranno vivificati”. Non ha detto: la vita regna, ma “la vita regnerà per il solo Gesù Cristo”» (Orig.,CLR/1, p. 263). Inoltre c’è una crescita della vita divina in noi anche al presente. Abbiamo la possibilità di acconsentire alla vita di Cristo di regnare in noi in modo sempre più profondo.



La legge poi è intervenuta a moltiplicare la trasgressione; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata, affinché, come il peccato regnò mediante la morte, così pure la grazia regni mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore (Rm 5, 12-21).

La promulgazione della legge, mediante Mosè, ha avuto una conseguenza indesiderata. Invece di indurre gli uomini ad una maggiore obbedienza a Dio e ad una vita più santa, li ha spinti ad alimentare uno spirito di ribellione ancora più acuto. Il dono si è così trasformato in sventura. Dio però non si è lasciato travolgere dal male ma ha escogitato un rimedio di grande forza e di grande valore: dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata.
La legge è intervenuta a moltiplicare la trasgressione. «La Legge non era stata data perché il peccato aumentasse ancora di più, ma perché diminuisse e sparisse. Invece è successo il contrario; non a causa della Legge in se stessa ma della debolezza degli uomini che l’avevano accolta. Perchè dice che la Legge è intervenuta e non dice che essa è stata donata? Voleva dire che era stata data per un certo tempo e che non godeva di un’importanza primaria e definitiva. Nella lettera ai Galati afferma lo stesso contenuto in un’altra forma: “Prima che venisse la fede, eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata” (Gal 3,23)» (Crisost., CLR, 12,3).
Dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata. «Non dice che la grazia ha abbondato ma che ha sovrabbondato. Essa, infatti, non ci elargito l’essenziale ma doni molto grandi: come se un medico riuscisse non soltanto a togliere la febbre ad un malato, ma gli restituisse il fiore dell’età, dell’energia e dell’onore; come se un benefattore non solo nutrisse un affamato, ma lo ricolmasse di ricchezze e poi lo elevasse alla carica più elevata. In che senso il peccato ha abbondato? La Legge ribadiva i suoi innumerevoli precetti ma dal momento che venivano tutti violati, il peccato abbondava. Avete colto la differenza tra la Legge e la Grazia? La prima ha reso più grave la nostra condanna mentre l’altra ci ha riversato un dono sopra l’altro» (Crisost., CLR, 12,3).
La grazia regni mediante la giustizia a vita eterna. «ILa morte ci ha espulsi dalla vita presente; la grazia non ci ha restituito questa vita, ma ci ha donato una vita immortale ed eterna. Cristo ne è l’autore. Non dubitate della vita, poiché avete la giustizia: la giustizia è più grande della vita perché ne è la madre» (Crisost., CLR, 12,4).



Nel commentare il ruolo di Adamo in contrapposizione a quello di Cristo, Origene menziona un altro passo significativo dell’epistolario paolino che presenta tematiche similari:

«Così anche sta scritto: “Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente”; l'ultimo Adamo è spirito vivificante. Però, ciò che è spirituale non viene prima; ma prima, ciò che è naturale, poi viene ciò che è spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo uomo è dal cielo. Qual è il terrestre, tali sono anche i terrestri; e quale è il celeste, tali saranno anche i celesti. E come abbiamo portato l'immagine del terrestre, così porteremo anche l'immagine del celeste» (1 Cor 15,45-49).

L’apostolo designa due figure e due condizioni di vita contrastanti: Adamo e la piena solidarietà con lui, quale essere vivente; Cristo e l’unità con Lui, quale Spirito datore di vita. L’appartenenza all’uno o all’altro, dipende dalla nostra scelta e la decisione presa provoca un diverso e totale orientamento di vita sul piano pratico:
Seguiamo ora la riflessione di Origine nel commentare il testo citato. In un primo passo, rievoca i due personaggi e le due forme di vita: «L’apostolo definisce “primo uomo dalla terra”, uomo terreno, il solo uomo [Adamo] per il quale è entrato il peccato; definisce invece quale “secondo uomo”, quello celeste che viene dal cielo (1 Cor 15, 47)» (Orig.,CLR, p. 241).
Combinando insieme poi altri passi biblici nei quali sono enunciati l’estraneità al mondo del cristiano autentico e la sua appartenenza al mondo celeste (per il momento in modo soltanto incoativo ma in seguito in modo totale), può dichiarare che chi si rinnova a immagine di Dio «non è né terreno, né sta in questo mondo, ma di lui si dice che la sua cittadinanza è nei cieli (Fil 3,20). Perciò, stando alle parole di Gesù che disse: “Voi non siete di questo mondo” (Gv 15,19), la morte non lo può attraversare. Chi invece è ancora in questo mondo ed è terreno, di costui è detto che per lui il peccato è entrato in questo mondo e per il peccato la morte» (Orig.,CLR/1, p. 241). Mentre ancora conduciamo questa vita sulla terra, possiamo appartenere a Cristo risorto, uscire dalla negatività del mondo e collocarci nel cielo stesso; al contrario, chi vive nel male, continuare a perpetuare l’errore di Adamo ed aprire l’ingresso alla morte.
Origene riprende questo annuncio e lo ribadisce: «… sono estranei alla morte e al peccato quanti, per Cristo o con Cristo, sono morti a questo mondo e sono risuscitati con lui, con lui anche hanno meritato di sedere nelle regioni celesti. La loro cittadinanza non è più in questo mondo ma nei cieli» (Orig.,CLR/1, p. 241).
Il percorso normale di ogni persona è però travagliato. In un primo tempo, siamo uomini terreni, dominati dall’egoismo mentre in seguito possiamo diventare spirituali, in comunione con Cristo Risorto, divenuto spirito vivificante: «Ogni uomo è in un primo tempo tratto dalla terra, terrestre. Quando porta l’immagine dell’uomo terreno e secondo tale immagine cammina, egli si prende cura della carne e comprende le cose che sono della carne. Finalmente, una buona volta, accade che si converta al Signore e sia condotto dallo Spirito di Dio. Reso spirituale, viene fatto “ultimo Adamo, spirito vivificante”» (Orig.,CLR/1, p. 241).

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