lunedì 8 ottobre 2012

ALL'ORIGINE DELLA PREGHIERA DI GESU'

Icone di Luciano Mistrorigo

«Questa divina preghiera, l'invocazione del Salvatore, il "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me", è preghiera e supplica, professione di fede e apportatrice dello Spirito Santo, conduttrice di doni divini e purificazione del cuore, cacciatrice dei demoni e inabitazione di Gesù Cristo, sorgente di ragionamenti spirituali e di pensieri divini e liberazione dai peccati, medico delle anime e dei corpi e conduttrice dell'illuminazione divina, fonte della misericordia di Dio e causa di rivelazioni e misteri divini nell'umiltà, unica salvifica, in quanto porta in sé il nome salvifico del Dio nostro. L'unico nome che dobbiamo invocare è quello che Gesù Cristo, Figlio di Dio, "in nessun altro c'è salvezza" (At 4,12), come dice l'Apostolo».
In queste parole di un bizantino del XV secolo, Simeone di Tessalonica, l'esaltazione di un tipo particolare di preghiera, la preghiera di Gesù, ha già raggiunto il culmine. Si potrebbe definire la preghiera di Gesù, dicendo che essa
consiste nella ripetizione di una breve formula, composta di due elementi:
1. Nome (e titoli) di Gesù,
2. Domanda di aiuto e di misericordia. La formula che si è affermata dall'età tardo-bizantina sino ai nostri giorni è: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me (peccatore)». A partire dalla seconda metà del XIII secolo, in molti autori, ['orazione è accompagnata o preceduta da alcune tecniche psicofisiche consistenti, perlopiù, in una disciplina respiratoria e in particolari posizioni corporee. [...]
La ricerca delle origini della preghiera di Gesù conduce agli inizi dello stesso monachesimo, all'Egitto dei Padri del deserto. Non va dimenticato, infatti, che la preghiera di Gesù è una creazione monastica e che si diffonde, in primo luogo, anche se non esclusivamente, tra i monaci. Di fronte al comando dell'Apostolo di pregare incessantemente (1Ts 5,17), si cercò di giungere, di fronte all'evidente impossibilità di un atto continuo, a uno stato permanente di preghiera, alla continua memoria di Dio. Per giungere a ciò è necessario eliminare gli ostacoli che impediscono questa memoria, i pensieri (loghismoi). Il mezzo per combattere i pensieri era la meditazione interiore. Oggetto di questa meditazione era spesso la «ruminazione» di un breve passo della Scrittura o la ripetizione di preghiere corte, particolarmente efficaci contro i pensieri. Anche queste ultime erano tratte dalla Scrittura: tra tutte emerge la formula del pubblicano: «O Dio, sii propizio a me peccatore» (Lc 18,13) e quella dei ciechi: «Figlio di David, abbi pietà di noi» (Mt 9,27). Queste preghiere erano innanzitutto domande di misericordia, adatte a suscitare la compunzione, la via prediletta dai Padri, perché refrattaria a ogni specie di illusione. Per sintetizzare: la preghiera di Gesù è nata in un ambiente monastico dedito alla compunzione, che usava preghiere corte nella lotta contro i pensieri e che aveva un'attività nascosta indirizzata alla preghiera incessante, alla memoria continua di Dio. La nostra panoramica deve perciò partire da alcuni esempi di questi elementi ancora isolati, prima di ritrovarli uniti nella preghiera di Gesù.
Iniziamo da un testimone «esterno». Agostino scriveva:
«Si dice che i fratelli in Egitto hanno delle preghiere frequenti, ma molto brevi, e come rapidamente lanciate (raptim quodammodo jaculatas)». Una di queste caratteristiche dell'orazione ricompare sotto la penna di una delle autorità del monachesimo egiziano dell'epoca, Evagrio Pontico (399), quando raccomanda di usare, nel momento della tentazione, una preghiera corta e veemente. Se sfogliamo la raccolta alfabetica degli apoftegmi, ricaviamo sicuramente delle informazioni più precise. Macario il Grande diceva che nella preghiera: «Non si devono dire molte parole, ma bisogna stendere le mani e dire: "Signore, come vuoi e come sai, abbi pietà". Se sopraggiunge il combattimento: "Signore, soccorrimi"». Alcuni altri esempi. Arsenio diceva: «Signore conducimi in modo che sia salvato». Abba Apollo: «Ho peccato come un uomo, come Dio abbi pietà». Lucio: «Abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia (cf. Sal 51[50],1) e secondo la grandezza della tua compassione, cancella la mia iniquità». Abba Ammona, invece, consigliava di stare nella cella, di avere continuamente nel cuore le parole del pubblicano: «O Dio, sii propizio a me, peccatore». Nelle raccolte anonime di apoftegmi troviamo: «Signore, Figlio di Dio, aiutami», «Figlio di Dio, abbi pietà di me». Paolo Everghetinòs ricorda un anziano che, di fronte a un attacco demoniaco, ripeteva: «Gesù, soccorrimi». Un altro apoftegma si soffermava piuttosto sulla memoria di Dio e non menzionava nessuna formula:
«Un fratello domandò a un anziano: Che tipo di pensieri devo avere nel cuore? L'anziano gli rispose: Tutto quello che può pensare l'uomo, dal cielo sino alla terra, è vanità. Colui che persevera nella memoria di Gesù è nella verità. Il fratello gli disse: E come acquisire Gesù? Rispose: La fatica, l'umiltà e la preghiera ininterrotta acquisiscono Gesù».
La preghiera per il momento del combattimento dell'abba Isaia era invece più lunga: «Padrone Gesù Cristo, soccorrimi e non lasciare che io pecchi contro di te, ecc.».
A conclusione di questa prima stagione del monachesimo egiziano va ricordata una pagina molto interessante, nella quale Giovanni Cassiano metteva per iscritto l'insegnamento dei monaci da lui incontrati in Egitto. Soffermandosi sull'incessante ripetizione e costante meditazione della formula: «Mio Dio, vieni in mio aiuto, affrettati Signore a soccorrermi» (Sal 70[69]2), diceva che questa orazione «vince ogni tentazione, attacco dei demoni, malattia dell'anima, mantiene il perpetuo ricordo di Dio, forma nel cuore una preghiera continua e conduce alla più alta contemplazione. E un segreto che i rari sopravvissuti dei Padri della prima epoca ci hanno trasmesso e che noi riveliamo a nostra volta alle anime rarissime che hanno veramente sete». Queste righe sono un vero e proprio panegirico di questa orazione e ricordano gli encomi medievali della preghiera di Gesù.
Lo pseudo-Nilo del De octo vitiis conosceva l'uso di una formula corta contro le suggestioni. Di fronte a un attacco della fornicazione, infatti, «levati, gettati dinanzi a Dio e grida: "Figli di Dio, soccorrimi"». 
Nelle sue Epistole, Nilo d'Ancira (+ 430) invita, dapprima, a «combattere i demoni soprattutto con l'invocazione del nome di Gesù Cristo, nostro Dio e Salvatore, amico degli uomini». A più riprese, Nilo ritorna sull'invocazione del nome di Gesù, che deve essere senza sosta:
«Contro i demoni bisogna impiegare il ricordo del nostro Salvatore, la fervente invocazione del venerabile nome notte e giorno, l'uso frequente del segno della croce sulla fronte e sul petto, sul cuore e sulle altre membra; e ancora la meditazione delle parole inspirate». 
Per quanto riguarda le formule utilizzate, va segnalato il rimando alla preghiera dei ciechi di Gerico: «Abbi pietà di noi, Signore Figlio di Davide» (Mt 20,30), «Abbi pietà di noi; sei tu che chiamiamo in soccorso».
Sempre al V secolo risale un testo di particolare rilevanza, le Centurie di Diadoco vescovo di Foticea, dove, peraltro, si insiste più sulla necessità della costante memoria di Dio che sulla preghiera vera e propria: la memoria è l'unico mezzo per ricomporre l'unità della mente (e. 56). La pratica dell'orazione incessante traspare solo da alcuni accenni:
«L'uomo... che invoca senza tregua il Signore Gesù», «Colui dunque che vuole purificare il proprio cuore non cessi di bruciarlo con la memoria di Gesù, avendo ciò come unico esercizio e opera ininterrotta. Per coloro che desiderano rigettare il loro marciume non c'è un momento per pregare e uno no: devono sempre dedicarsi alla preghiera nella custodia della mente». Un altro passo è significativo per diverse ragioni:
«La mente esige assolutamente, quando abbiamo chiuso tutte le sue uscite con la memoria di Dio, un'attività che occupi la sua solerzia. Bisogna dunque darle il "Signore Gesù" come unica occupazione che risponde al fine... Coloro infatti che meditano incessantemente questo santo e glorioso nome, potranno vedere un giorno la luce della loro mente... Questo nome glorioso e molto desiderabile fissato nel calore del cuore con la memoria della mente, fa nascere un'abitudine a amare sempre la sua bontà, senza incontrare ormai impedimenti».
Da queste righe si sarebbe tentati di concludere che la formula consigliata consistesse nel solo nome «Signore Gesù», ma in un altro capitolo la preghiera sembra più estesa:
«... Ha allora la grazia che assieme all'anima medita e grida il "Signore Gesù Cristo" come una madre insegna e ripete con il figlio il nome "Papa", finché non si è abituato a chiamare suo padre, anche dormendo».
Gli scritti del VI secolo legati alle attività dei monaci nella regione di Gaza contengono alcune informazioni precise. Nella Vita di s. Dositeo leggiamo che Doroteo gli aveva insegnato a dire incessantemente: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me» e, a intervalli: «Figlio di Dio, vieni in mio soccorso». Diventato troppo debole per poter ripetere l'intera preghiera, il maestro gli consiglia: «Ricordati soltanto di Dio e pensa che è dinanzi a te». Nell'ampia corrispondenza di Barsanufio ( 540), si accenna in più occasioni alla preghiera. Innanzitutto egli raccomanda di lasciare la contraddizione (antirresis) ai perfetti, ai «potenti secondo Dio», mentre «a noi, deboli, non rimane che rifugiarci nel nome di Gesù. Alla domanda se è meglio dedicarsi al «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me» o alla salmodia, Barsanufio risponde: «Bisogna fare l'uno e l'altra, un po' di quello e un po' di questa», mentre in un'altra occasione raccomanda la preghiera di Macario, con la sua domanda di pietà e di aiuto. Ricordiamo ancora alcune formule d'orazione: «Gesù, vieni in mio soccorso» e, quando sopraggiunge la tentazione: «Signore Gesù proteggimi e soccorri la mia debolezza». 

Antonio Rigo, testo completo e riferenze bibliografiche in “La preghiera di Gesù”, Parola, Spirito e Vita, 25, pp. 245ss. 

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