mercoledì 10 ottobre 2012

Differenza tra morale e religione (K. Berger)

Parona. Sacrificio di Abramo
(frangia del baldacchino processionale)

Un contributo per la nuova evangelizzazione: superare gli stretti limiti della morale per testimoniare l'amore senza limiti che viene da Dio

La differenza tra morale e religione

Che cosa abbiamo fatto del nostro Dio, per non capire più tutto quanto descritto? E da supporre che scambiamo la religione con la morale. E così nelle chiese di massa dell'Illuminismo, nelle quali, in seguito alla critica kantiana della ragion pratica, ci si è fatti un'idea secondo cui deve valere soltanto ciò che corrisponde ai postulati di un agire morale razionale e al consenso sociale minimale che ne risulta. Tutto viene ormai inteso soltanto dal punto di vista morale. E anche il cristianesimo viene messo nel mazzo, viene ridotto alla ragione e alla morale. Dalle immagini del Nuovo Testamento, tuttavia, non parlano affatto la ragione e la morale, bensì il Dio vivente, non monopolizzabile neppure dal punto di vista morale. Riteniamo qualcosa edificante e religioso soltanto quando è moralmente emulabile. E quando non lo è, ci scandalizziamo. La nostra riduzione della religione alla morale ci consente di essere coloro che scagliano le pietre e per il resto sono a posto al cento per cento. Ma la nostra morale non va oltre un misero strato di correctness.
E torno a bloccare queste riflessioni: non proviamoci a comprendere tutte le immagini di Dio soltanto da un punto di vista morale. In questo modo ci mettiamo nei pasticci. Ci farebbe piacere addomesticare Dio con la morale, prescrivendogli che cosa deve e che cosa non può fare. Può essere soltanto il buon Dio e non, per esempio, anche il Dio abissale. Deve fare sempre e soltanto il bene e non arrivare allo scopo attraverso la via di un amore radicale, di un'astuzia radicale, forse addirittura di una radicale disperazione. Dev'essere sempre e soltanto un modello perbene. Tutto ciò non è sbagliato, ma non corrisponde al Dio di volta in volta e sempre interamente altro, ogni discorso sul quale deve restare analogico se non si vuole correre il rischio di sostituire un'immagine umana al mistero. C'è un tempo per parlare di Dio come modello. E c'è un tempo in cui egli è soprattutto il grande, l'inconcepibile, il santo e il caparbio, per noi impossibile da giudicare e a cui non possiamo attribuire alcun giudizio.
Non comprendiamo più le immagini eccentriche del Nuovo Testamento. Per questo esiste un conflitto tra la religione ridotta ai diritti umani e la Bibbia. Apprezziamo l'autonomia e la libertà - il Dio della Bibbia, però, regna direttamente e da solo, sceglie chi vuole lui e rende ostinato chi vuole lui. Intuiamo che lo scopo di Dio è avere misericordia di tutti. Ma non è questione di decoro e morale, bensì lì è il cuore di Dio a parlare, il suo amore inconcepibile.
Qual è la differenza tra religione e morale? Nella morale si tratta di misura, del consenso minimale per una convivenza ragionevole per tutti. Arthur Schopenhauer traduce questo concetto nella metafora dei porcospini, che nel branco stanno gli uni vicini agli altri quel tanto che è sufficiente a scaldarsi, ma mantengono le distanze abbastanza da non ferirsi. Non bisogna fare nulla che passi la misura; nessuno è tenuto a dare il massimo. Nessuno è tenuto a vivere sulle cassette per le banane dando tutto il resto ai poveri. Eppure, quando qualcuno lo fa, per esempio per motivi 'religiosi', questo è un segno che rimanda a Dio - soltanto allora. Nella morale vale l'imperativo categorico: agisci in modo che la norma del tuo agire possa valere per tutti in qualunque momento. No, quello che ha fatto Brùsewitz non può valere per tutti. Ma nella religione Kant è l'ultimo.
Bisogna dirlo tre volte in un Paese in cui da duecento anni i cristiani evangelici (ma di recente anche molti cattolici) costruiscono la loro immagine del mondo più su Kant che su Gesù. Dio non si è risparmiato, non ha risparmiato nemmeno Gesù. E nessuno (e tanto meno la morale) può obbligare le persone che amano a fare quello di cui sono spesso capaci, sovente è qualcosa di semplicemente sovrumano. Dal punto di vista morale, bisognerebbe continuamente ripetere: pensa anche un po' a tè stesso, non pretendere troppo da tè! La nostra morale parte dal presupposto che da nessuno si esiga quanto va al di là delle sue forze. E ciò ha un suo senso. Non bisogna pretendere troppo da nessuno, nessuno deve dare di più di quello che può.
Quando, in quanto segue, parlo di morale, non intendo la teologia morale cristiana, bensì la morale popolare illuminista. E morale che tutti ottengano giustizia. È cristiano che qualcuno sappia anche rinunciare ad aver ragione. E morale che tutti abbiano dei diritti inalienabili. E cristiano chiedere coraggiosamente anche cose spiacevoli. Sono morali un salario adeguato, le ferie, il tempo libero e una casa propria. E cristiano cavarsela senza tutto ciò, se necessario. Sono morali i diritti dell'uomo e le libere decisioni di coscienza. Cristiano è un Dio che chiama e coglie di sorpresa, che rende ostinati e reclama e usa gli esseri umani come suoi strumenti. Morale è la tolleranza. Cristiano è un amore che corteggia in modo fantasioso.
Morale è: l'utero è mio. Cristiano è: appartengo a Dio, utero incluso. Noi genitori abbiamo insieme la responsabilità anche di un bambino disabile. Morale è: per carità, nessun sacrificio! Cristiano è: il mondo è stato redento per mezzo del dolore. Il tentativo complessivo di trasformare in etica il vangelo del discorso della montagna in fondo è stato lo sforzo a-teo di eliminare le pretese eccessive. Ma ciò che ne risulta è appunto ben diverso da ciò che voleva Gesù. E questo era ciò che voleva: non volgere lo sguardo a se stessi, ma prescindere radicalmente da sé, non badare alla misura, ma aprirsi al Dio senza misura, al di là della morale.
Una religiosa, 'suora della carità', che vive in celibato, rinuncia al matrimonio e alla famiglia, ai figli e, anche per il resto, a quasi tutto ciò a cui le persone aspirano a buon diritto. Nessuno è obbligato a essere una 'suora della carità'. Ma in una chiesa in cui le suore spariscono, in cui i parroci intentano processi contro l'amministrazione ecclesiastica perché la tredicesima viene dimezzata, domina sì la morale, ma appunto non più la religione. Una chiesa purgata della radicalità di Dio trasforma se stessa nella brutta copia di una morale umana banalizzata ed elimina il suo nucleo, il Dio vitalmente presente, che continua anche a esigere senza misura. Il celibato per amore del vangelo, il martirio, l'amore pieno di abnegazione, disinteressato oltre misura - sono tutti marchi di fabbrica dell'essere-cristiano. Ciò va smarrito dove la morale comune
viene anteposta alla religione, così che la seconda ne viene completamente nascosta. Un cristianesimo puramente morale è costretto a giudicare continuamente gli altri nell'ottica delle regole perbeniste borghesi. Siamo chiamati a essere giudici sulla lunghezza delle gonne e sulle loveparade? No, bensì ad aprire il nostro cuore e a stupirci delle vie del Signore.
Ma è un bene che esistano entrambi, la morale che stabilisce dei confini e la sconfinatezza di Dio. Il fatto che esista la morale è particolarmente utile per le persone a cui bisogna dire: pensa anche un po' a tè stesso. Sta scritto infatti: ama il prossimo tuo come tè stesso. Come tè stesso: ti è lecito dunque amare tè stesso, sei addirittura tenuto a farlo. La morale tutela anche noi, tutela le vittime e addirittura i carnefici. Nel frattempo, però, abbiamo adottato a sufficienza tali misure di protezione. Forse è meglio se pensiamo un po' anche ali'altro aspetto, cioè che esiste anche la sconfinatezza di Dio. Che imbarazzo quando un giovane religioso dice: ogni giorno devo fare qualcosa di buono per me. Sono diventato teologo proprio perché non volevo questo. Non lo sarei mai diventato, se non fosse esistito un parroco che aveva orario di ricevimento giorno e notte, non soltanto ogni martedì alle tré. Il Crocifisso si china dalla croce e stringe le braccia intorno a noi esseri umani, intorno a ognuno di noi. Una persona che ama non si risparmia. Dio ci conceda di riconoscere il momento, a seconda che siamo chiamati alla misura o alla mancanza di misura.
(Klaus Berger, Gesù, Queriniana, Brescia 2006, pp. 340-343)

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