lunedì 8 ottobre 2012

L'ASSIST NELL'ICONE (Trubeckoj)


In questo santo ardore della Russia è tutto il segreto degli antichi colori delle icone.
La serie degli esempi testé citati ci dimostra come il pittore sappia con i colori distinguere due piani dell'esistenza: quello terreno e quello ultraterreno.
Abbiamo visto come questi colori siano assai vari. Ora è il rosso porpora del cielo tempestoso, ora l'abbagliante luce del sole, o lo splendore di una raggiante, luminosa figura. Ma per quanto vari siano i colori che segnano il limite fra due mondi, si tratta sempre di colori celesti a doppio senso, cioè nel senso proprio e insieme simbolico del termine. Sono i colori del cielo visibile che hanno assunto il significato convenzionale, simbolico di segni del cielo ultraterreno.
I grandi artisti della nostra antica iconografia, come gli iconografi greci che crearono questo simbolismo, erano senza dubbio acuti e profondi osservatori del cielo nei due significati di tale vocabolo. Il cielo di questo mondo si spalancava dinanzi ai loro occhi corporei; il cielo ultraterreno lo contemplavano con gli occhi della mente, viveva nell'intimo del loro cuore, aperto alle emozioni religiose e la loro creazione artistica univa l'uno all'altro cielo. Il cielo ultraterreno per essi si tingeva del variopinto arcobaleno di toni del nostro mondo sublunare. E in questa colorazione non v'era nulla di casuale, di arbitrario. Ogni sfumatura aveva il suo posto, il suo particolare significato e giustificazione. Se non ci riescono sempre chiari ed evidenti, ciò dipende unicamente dal fatto che noi li abbiamo smarriti, abbiamo perso la chiave per comprendere quest'arte unica al mondo.
La gamma di significati dei colori delle icone è immensa, come la gamma naturale dei colori del cielo che quella rende. Anzitutto, il pittore conosce una grande varietà di sfumature dell'azzurro: il blu-scuro della notte stellata, il luminoso splendore diurno del firmamento ceruleo, una quantità di toni azzurro-pallidi, turchini e persino verdastri, che impallidiscono al tramonto. A noi, abitatori del nord, capita assai spesso di osservare questi toni verdastri dopo il tramonto del sole, ma veramente azzurro ci pare soltanto quello sfondo generale del cielo sul quale si squaderna l'infinita varietà dei colori celesti: lo scintillio notturno delle stelle, l'alba di porpora, il rosso infuocato di un temporale notturno, il bagliore d'incendio purpureo, il policromo arcobaleno e infine l'oro smagliante del sole meridiano giunto allo zenit.
Nell'antica pittura russa noi troviamo tutti questi colori usati in modo simbolico, ultraterreno. Il pittore se ne serve per separare il cielo senza confini dal nostro sublunare, terrestre piano dell'esistenza. Qui sta la chiave per la comprensione dell'ineffabile bellezza del simbolismo pittorico dei colori.
La sua idea madre consiste, a quanto pare, in ciò che segue: la mistica della pittura iconografica è anzitutto una mistica solare, nel significato elevato, spirituale di questo termine. Per quanto splendidi siano gli altri
colori celesti, tuttavia l'oro del sole meridiano è il colore dei colori, la meraviglia delle meraviglie. Tutti gli altri colori si trovano, al suo confronto, come subordinati e paiono formare intorno a esso « un ordine ». Di fronte all'oro svanisce l'azzurro carico del cielo notturno, sbiadisce il luccichio degli astri e il bagliore dell'incendio notturno. Lo stesso rosso purpureo dell'alba non è che l'araldo del sole che sorge. E, infine, tutti i colori dell'arcobaleno dipendono dal gioco di raggi solari; giacché fonte di ogni luce e colore, nel cielo e nell'atmosfera, è il sole.
Nella nostra iconografia questa è la gerarchia dei colori intorno al « sole intramontabile ». Non c'è colore dell'arcobaleno che non trovi posto nella raffigurazione della gloria divina ultraterrena, ma di tutti i colori solo l'oro solare designa il centro della vita divina, mentre tutti gli altri gli fanno corona. Soltanto Iddio, splendente « più del sole », è la fonte di luce regale. Gli altri colori esprimono la natura della gloriosa creatura celeste e terrena che costituisce il Suo tempio vivo, non fatto da mano d'uomo. Pare quasi che l'iconografo con mistica intuizione abbia indovinato il segreto dello spettro solare, scoperto parecchi secoli più tardi; pare che abbia sentito i colori dell'arcobaleno come rifrazioni policrome dell'unico raggio solare della vita divina.
Questo colore divino nella nostra iconografia ha il nome tecnico di « assist ». L'assist non è mai oro compatto, a massa, ma è come un'eterea, aerea ragnatela di sottili raggi dorati, che provengono dalla Divinità e con il loro luccichio illuminano tutte le cose circostanti. Nell'icona l'assist presuppone sempre e in certo modo indica la Divinità come sua fonte. Ma nello splendore della luce divina spesso con l'assist viene glorificato anche ciò che circonda la Divinità, ciò che già è entrato nella vita divina e le sta immediatamente vicino. Di assist sono ricoperte le vesti splendenti della « Sofia », Saggezza Divina, e della Madonna rapita in cielo (dopo l'Assunzione). Di assist spesso scintillano le ali degli angeli. In molte icone esso indora le cime degli alberi del Paradiso, talvolta ricopre nelle icone anche le cupole a bulbo delle chiese. È da notare che tali cupole nelle raffigurazioni pittoriche sono coperte non di oro compatto ma di lustrini e raggi dorati; a causa della loro eterea leggerezza danno l'idea di una luce viva, ardente e come in movimento. Mandano scintille le vesti del Cristo glorificato, luccicano di fuoco i paramenti e il trono della Sofia-Saggezza, ardono verso i cieli le cupole dei templi. E proprio da questo luccichio e da quest'ardore la gloria ultraterrena si distingue da tutto quanto è terreno, non glorificato. Il nostro mondo sublunare soltanto cerca il celeste, imita la fiamma, ma in effetti è da essa illuminato soltanto a quell'altezza che solo i fastigi della vita religiosa raggiungono. L'imitazione dell'oro etereo comunica anche a questi fastigi la sembianza dello splendore ultraterreno.
In generale, i colori ultraterreni vengono impiegati dalla nostra antica iconografia, specialmente da quella novgorodiana, con straordinaria delicatezza artistica. Non troviamo l'assist nelle raffigurazioni della vita terrena del Salvatore, dove è sottolineata la Sua natura umana, dove la Divinità è celata in Lui, apparso « sotto la forma di schiavo ». Ma l'assist ricopre le Sue sembianze non appena il pittore Lo vede glorificato, o anche soltanto vuoi far sentire la Sua futura glorificazione. Di assist non di rado brilla il Bambino Gesù, quando il pittore deve sottolineare l'idea dell'eterno infante, di assist sono tinte le vesti di Cristo nella Trasfigurazione, nella Risurrezione e nell'Ascensione, dello stesso specifico splendore della Divinità arde Cristo quando strappa le anime dall'inferno e sta in paradiso con il ladrone.
Un'impressione artistica particolarmente forte ottiene l'uso dell'assist dove il pittore deve contrapporre l'uno all'altro dei due mondi, distanziare l'ultraterreno dal mondano. Lo notiamo, per esempio, nelle antiche icone dell'Assunzione della Vergine. A prima vista nelle più belle di queste icone è evidente che la Vergine sul letto di morte, in veste scura, con tutte le persone care che l'attorniano, corporalmente dimora nel piano della nostra esistenza terrena, quello che si può toccare e vedere con gli occhi nostri mortali. Per contro, il Cristo ritto alle spalle del letto funebre, in vesti chiare, tra le mani l'anima della Vergine in aspetto d'infante, produce l'impressione altrettanto evidente di apparizione ultraterrena. Egli arde tutto, manda scintille e si distingue dai colori intenzionalmente severi del piano del-l'esistenza terrena per l'eterea leggerezza dei vaporosi lineamenti coperti di assist. Questo contrasto è reso in modo particolarmente incisivo nelle due icone del xvi secolo delle collezioni moscovite di A.V. Morozov e di I.S. Ostrouchov. S'aggiunga che in alcune pitture (nella collezione Ostrouchov) si vede nell'alto dei cieli
la Vergine, già glorificata di quello stesso splendore dorato, fra gli angeli sfavillanti di assist.
In altre icone dell'Assunzione, il medesimo effetto artistico di separazione dei due piani dell'esistenza viene talvolta ottenuto con colori diversi di quella stessa gamma di tinte celesti. Cristo, in piedi dietro il letto di morte della Vergine, si distingue da lei non soltanto perché coperto d'assist, ma per una particolare colorazione delle sfere celesti che l'attorniano. A volte si tratta di un'unica sfera, formante attorno a Cristo un ovale azzurro-cupo nel quale sono visibili i cherubini; tutti paiono come sommersi nell'azzurro, a eccezione di uno, fiammante di porpora, proprio sul vertice dell'ovale sopra il capo del Salvatore. Ma talvolta, per esempio nella bellissima icona novgorodiana del xvi secolo che si trova al Museo Alessandro III di Pietrogrado, vediamo in quello stesso ovale molte sfere celesti disposte l'una sopra l'altra. Esse si distinguono fra loro per una quantità di sfumature e riflessi diversi dell'azzurro e alcune di queste sfere appaiono dipinte di toni inverosimili, chiari, verdi turchese. Lo spettatore riceve da questi toni un'impressione di ultraterreno semplicemente sbalorditiva. A lungo mi sono sforzato di scoprire l'enigma dove mai l'artista avesse potuto osservare in natura quei colori, finché non li ho visti io stesso dopo il tramonto del sole sullo sfondo del nordico cielo di Pietrogrado.
Del resto tutta questa varietà di toni azzurri, bluastri e persino verdognoli, ispirati dalla natura immateriale delle teste alate degli angeli, rappresenta un enigma relativamente semplice e facile. Assai più complesso e, se si vuole, più profondo è il mistero di quel brillante color porpora del cielo che costituisce uno dei più grandi fascini dello stile iconografico novgorodiano. L'enigma qui si complica in particolare per la straordinaria varietà dei toni del porpora celeste che si possono osservare. L'iconografo, come già abbiamo visto, conosce il porpora della tempesta celeste, ispirato dal-l'immagine del profeta lancia-fulmini. Osserva il purpureo bagliore dell'incendio notturno e di esso illumina le immense profondità della notte eterna nell'inferno, colloca alle porte del paradiso la fiamma purpurea di un cherubino di fuoco. Infine, nelle antiche icone novgorodiane del Giudizio Universale noi vediamo tutta una barriera infuocata di cherubini purpurei immediatamente sotto la rappresentazione del secolo futuro e sopra le teste degli apostoli assisi in trono. Tutte queste raffigurazioni iconografìche del fuoco celeste sono relativamente chiare e trasparenti. Il problema diventa incomparabilmente più arduo e complesso quando noi accediamo al mistero mistico del colore purpureo della S. Sofia-Saggezza Divina.
Perché il nostro iconografo ha ornato di chiara porpora il volto, le mani, le ali e a volte persino le vesti dell'eterna Saggezza che ha creato il mondo? Sino a oggi nessuno ancora ha dato una risposta soddisfacente a tale quesito. Capita spesso di udire che il porpora della S. Sofia è fiamma. Ma tale spiegazione non spiega nulla. Infatti, come abbiamo già visto, esiste una grande quantità di specie e perciò di significati della fiamma ultraterrena: dall'ardore solare dell'assist al sinistro bagliore della Geenna infuocata. Di quale specifico tipo di fiamma si tratta qui? Che fuoco è quello di cui fiammeggia la S. Sofia e in che consiste la differenza di questo porpora dalle altre rappresentazioni icono-grafiche dello stesso colore?
La spiegazione si può trovare soltanto nella sudde-scritta mistica solare dei colori che esprimono simbolicamente i misteri del cielo ultraterreno. Chi conosce le più belle immagini novgorodiane della « Sofia » non nutre il minimo dubbio in proposito. Prendiamo l'icona di rara bellezza ricamata in seta della S. Sofia del xv secolo, donata dal conte A. Olsuf'ev al Museo storico di Mosca, o la non meno stupenda Sofia novgorodiana del Museo Alessandro III di Pietrogrado, senza poi dire delle molte altre raffigurazioni della purpurea Sofia di minor pregio artistico; noi troviamo in esse sempre un tratto comune. Vi vediamo infatti la « Sofia » assisa in trono sullo sfondo azzurro-cupo del cielo notturno, stellato. Proprio il contatto con le tenebre notturne rende straordinariamente bella quest'apparizione del porpora celeste, e proprio in questo contatto sta la spiegazione del significato simbolico di un tale colore.
« Hai fatto tutto con Sapienza » si canta nel salmo. Ciò significa che la Saggezza è proprio quell'eterno pensiero divino sulla creazione che chiama ogni creatura celeste e terrena all'essere dal non-essere, dalla tenebra della notte. Ecco perché la Sofia è raffigurata su uno sfondo notturno, ma appunto questo sfondo notturno rende assolutamente necessario il brillare del porpora celeste nella « Sofia ». Esso è il porpora dell'alba divina che ebbe inizio fra le tenebre del non-essere, è il levarsi del sole sempiterno sopra le creature. La Sofia è ciò che precede tutti i giorni della creazione.
Non intendo decidere quanto il ragionamento consapevole abbia preso parte nella scelta del colore; sono propenso a ritenere che il porpora della « Sofia » sia stato piuttosto scoperto da un'immediata illuminazione dell'istinto creativo, da una mistica sovracoscienza dell'iconografo. Ma ciò non muta il nocciolo della questione. L'attrazione verso il cielo e la profonda conoscenza del medesimo nei suoi due significati gli suggerirono che il sole, uscendo dalle tenebre o in genere a contatto con esse, inevitabilmente si colora di porpora. Egli era abituato a un tale spettacolo, perché ogni giorno l'osservava e ne era impressionato. Così stando le cose, è indifferente ch'egli si rendesse conto di dipingere un'alba, ovvero che nella sua creazione artistica l'alba rappresentasse soltanto una reminiscenza inconscia. In ambedue i casi è vero che la Sofia per lui si tingeva del colore dell'alba. Egli vedeva l'alba sempiterna e dipingeva esattamente quello che vedeva.
Del resto altri prima di lui ebbero la meravigliosa visione dal volto infuocato e dalle dita di porpora alla luce del sole nascente. Chi non conosce l'alato verso di Omero: « Si levò dalle tenebre la giovane Eos dalle dita purpuree »? La differenza di sentire tra l'Omero pagano e l'iconografo cristiano-ortodosso sta nel fatto che quest'ultimo vede le dita purpuree non nell'alba terrena ma in quella sempiterna e le rapporta al cielo ultraterreno. Il porpora rimane sempre il colore del mattino, ma muta nella stessa sua essenza il suo principio ispiratore.
Nelle icone sunnominate c'è ancora un tratto che conferma nettamente il carattere solare dell'apparizione della « Sofia ». Ho già detto che è tutta coperta di una sottile ragnatela di assist e perciò lo stesso purpureo suo volto appare al pittore fra il luccichio dei raggi del sole.
Paragoniamo questo volto con quello del Cristo glorificato assiso in trono, È chiaro che sarebbe sacrilegio dipingere Cristo purpureo! E perché ciò che risulta sconveniente per Cristo è tanto bello e conveniente per la « Sofia »? Perché nella sfera solare della mistica iconografica non si addice a Cristo Rè nessun altro colore se non quello più elevato nella gerarchla regale dei colori: la luce abbagliante del giorno che non tramonta. Invece alla « Sofia », proprio per la sua posizione subordinata nella gerarchia celeste, s'addice il porpora che anticipa la rivelazione solare suprema.
Nell'iconografia russa non è questo l'unico caso in cui il porpora segna il punto di contatto della luce solare con la tenebra. Nella collezione di I.S. Ostrouchov c'è una bellissima icona della Trasfigurazione nello stile di Ustjug del xvi secolo, dove si registra un fenomeno analogo. Di solito la Trasfigurazione viene dipinta su uno sfondo chiaro di meriggio. Per contro nell'icona suaccennata la Trasfigurazione è raffigurata su uno sfondo notturno di cielo stellato, mentre la luce del Tabor desta gli apostoli dormienti nelle tenebre.
Ebbene, in questa rappresentazione notturna la gamma dei colori si distingue nettamente da quelli usati nelle icone diurne della Trasfigurazione. Nell'iconografia novgorodiana la luce taborica viene sempre raffigurata sotto forma di stella che aureola il Salvatore. Nel nucleo centrale di questa stella il Salvatore appare sempre inondato di oro assist, conforme alle parole evangeliche: « E il Suo volto risplendette come il sole... ». Ma i margini della stella di solito abbondano di altri colori celesti: l'azzurro-cupo, il blu, il verdastro, l'arancione. Per contro nell'icona notturna di I.S. Ostrouchov, la luce del Tabor, venendo a contatto con la circostante tenebra, trapassa non verso l'azzurro, ma verso il porpora. Anche in questo si esprime una concezione artistica molto ardita e profonda. In mezzo alle simboliche tenebre notturne che avvolgono l'universo, il fulmine della Trasfigurazione, destando gli apostoli, annuncia l'alba del giorno divino e così pone fine al pesante sonno del peccato.
Esiste un tratto stupendo che distingue quest'alba della Trasfigurazione dall'apparizione della «Sofia». Nelle icone della « Sofia » è dipinto di porpora lo stesso suo volto, le ali e le mani. Per contro nella nominata icona della Trasfigurazione notturna noi notiamo il porpora soltanto nell'aureola stellare di Cristo, anzi ai suoi margini estremi. Nell'apparizione della « Sofia-Saggezza » il porpora esprime l'essenza di questa, mentre nell'icona della Trasfigurazione è soltanto uno dei colori subordinati dello sfondo celeste dell'apparizione di Cristo.
Per concludere, accenniamo al fatto che il pittore d'icone non ignora il più bello di tutti i fenomeni della luce solare: l'arcobaleno celeste. Antecedentemente ho già detto come nelle icone della Vergine di stile novgorodiano il mondo, raccolto in Cristo attorno alla Madonna, appaia quasi policromo arcobaleno. Una stupenda rappresentazione di quest'arcobaleno e una comprensione straordinariamente profonda della sua mistica essenza si può trovare nelle icone della « Vergine, Roveto Ardente », specialmente nella bellissima icona di S. P. Rabusinskij, stile di Pskov, sec. xv. Qui per l'appunto vediamo raffigurata la rifrazione dell'unico raggio del sole divino in uno spettro policromo di ordini angelici, raccolti intorno alla Vergine e per il suo tramite dominanti sugli elementi del mondo. In questa corona ogni spirito ha un suo particolare colore; ma quell'unico raggio cui s'associa la Deipara, quel fuoco che riluce attraverso di Lei, unisce in Lei tutta questa gamma spirituale dello spettro celeste: di esso arde tutto il mondo multicolore angelico e umano. In tal modo il « Roveto Ardente » esprime l'ideale della creatura illuminata e glorificata, della creatura che alberga in sé il fuoco del Verbo Divino e di esso arde senza incenerire.

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