domenica 14 ottobre 2012

ISLAM E VIOLENZA


Eppure il Corano dice che non ci deve essere costrizione alcuna in materia di fede...
Nel Corano si trovano sia dei versetti che sono in favore della tolleranza religiosa, sia altri che sono apertamente contrari a questa tolleranza. Di solito, i musulmani che vivono in Occidente citano volentieri i primi come, appunto, il versetto 256 della sura della Vacca (II) sul divieto di costringere la gente a credere. La traduzione di Bonelli dice: «Non vi sia costrizione alcuna per la religione, la via retta si distingue bene dall'errore», mentre quella di Peirone»: «Non ci sia coercizione in materia di libertà religiosa: la strada diritta è facilmente distinguibile dall'errore».
C'è anche il versetto 99 della sura di Giona (X) che, nella traduzione di Bonelli, recita: «Se, però, il tuo Signore lo avesse voluto, quelli che sono sulla terra avrebbero creduto tutti in generale; vuoi tu forse costringere gli uomini a divenire credenti?». Peirone traduce così:
«Se volesse il Signore, tutti quelli che sono sulla terra crederebbero. Ma tu non puoi prendere la gente per il collo perché credano!».
Queste affermazioni sono chiaramente nel segno della tolleranza, ma accanto ad esse ce ne sono altre più aggressive, come il famoso versetto 29 della sura della Conversione (IX). La traduzione di Bonelli dice: «Combattete contro quelli che non credono in Dio, ne nel Giorno estremo, e non considerano proibito quel che proibisce Dio e il suo apostolo e che non professano la religione della verità, ossia coloro ai quali è stato dato il Libro, finché non paghino la jizya (tributo) alla mano, con umiliazione». Con il termine "coloro ai quali è stato dato il Libro" ci si riferisce ovviamente a ebrei e cristiani. Nella traduzione di Peirone si legge: «Combattete coloro che sono kàfirùn (miscredenti) nel Dio e nell'ultimo giorno, che non dichiarano haràm (lecito) ciò che hanno dichiarato haràm il Dio e il rasùl (messaggero). Combattete, tra le genti della Scrittura, quelli che non praticano la religione verace. Combatteteli pure fino a che non abbiano pagato, uno ad uno, il tributo e non si siano umiliati».
Oppure il versetto 51 della sura della Mensa (V) che dice: «La gente del Vangelo giudichi, quindi, secondo ciò che Dio ha dichiarato in esso, poiché quelli che non giudicano secondo ciò che Dio ha rivelato, quelli sono gli empi»; o anche il versetto 110 della sura della Famiglia di "Imràn (III), che si rivolge ai musulmani dicendo: «Voi siete la miglior nazione che sia stata prodotta agli uomini, voi ordinate ciò che è lodevole e proibite ciò che è riprovevole e credete in Dio, che, se la gente del Libro pure credesse, meglio sarebbe per essa, tra quelli vi sono dei credenti però la maggior parte di essi sono degli empi». Come dire che la maggior parte degli ebrei e dei cristiani sono degli empi e devono perciò essere combattuti come kuffdr o kàfirùn, come dei miscredenti.
Non dimentichiamo che qui stiamo ancora parlando di cristiani e di ebrei e non di politeisti. Per questi ultimi, infatti, non c'è scampo: o diventano musulmani o devono essere uccisi. Il versetto 142 della stessa sura si interroga: «Pensate forse di entrare in Paradiso senza che Allah vi veda combattere la guerra santa con fede salda e sicura?», mentre il versetto 39 della sura del Bottino raccomanda: «Combatteteli finché non ci sia più afflizione e la religione sia tutta per Allah».
Anche nella tradizione degli hadith attribuiti a Maometto troviamo raccomandazioni simili. Nella raccolta di al-Bukhan un capitolo intero è dedicato al jihàd: in esso Fautore tratta esclusivamente della guerra in nome di Dio. Il paragrafo 102 di questo capitolo dice: «Ho ricevuto l'ordine di combattere la gente finché confessino che non c'è altra divinità se non Dio. Chi confessa questo non ha niente da temere da me, non può essere attaccato nella sua persona, ne nei suoi beni se non in conformità con il diritto dell'islam ed è Dio che sarà responsabile di lui».
Un altro hadith attribuisce a Maometto la massima:
«Sappiate che il Paradiso è sotto le ombre delle spade».
Al capitolo primo, paragrafo 29, della raccolta di Ibn Hanbal troviamo, invece, un hadith attribuito a Maometto - ma personalmente nutro dei dubbi - in cui il profeta esprime la sua intenzione o addirittura da l'ordine di cacciare gli ebrei e i cristiani dalla Penisola arabica affinchè non vi rimangano che i musulmani:
«Espellerò gli ebrei e i cristiani dalla Penisola degli Arabi, in modo da non lasciarvi che i musulmani»; o ancora: «Espellete dalla Penisola degli Arabi gli ebrei del Hijaz e la gente di Najran (cioè i cristiani)». Sappiamo che, basandosi su questi hadith la cui attribuzione è piuttosto discutibile, nell'anno 20 dell'egira (641 d.C.) il califfo Umar ha effettivamente cacciato i cristiani e gli ebrei dalla Penisola arabica.
Sto facendo questa riflessione sulla violenza nel Corano e nella vita di Maometto per rispondere all'affermazione diffusa in Occidente secondo cui la violenza che vediamo oggi costituisce una deformazione dell'islam. Dobbiamo invece riconoscere onestamente che esistono due letture del Corano e della sunna: una lettura legittima che opta per i versetti che invitano alla tolleranza nei confronti degli altri credenti, accanto ad una seconda lettura altrettanto legittima che preferisce i versetti che invitano al conflitto.
Di fronte a questi versetti tra loro contraddittori la tradizione musulmana ha dovuto trovare un metodo di interpretazione chiamato il principio dell'abrogante e dell'abrogato, in arabo al-nàsikh wa-l-mansùkh. La teoria è semplice: Dio, dopo aver dato una disposizione o un ordine, può dare un ordine opposto, per motivi contrari. Si tratta quindi di sapere quale sia l'ultimo ordine di Dio con cui viene cancellata e abrogata la disposizione precedente. Il problema è stato trattato da decine di esegeti i quali hanno scritto lunghi trattati intitolati «Dell'abrogante e dell'abrogato», senza purtroppo raggiungere un consenso che ci permetta di dire con chiarezza: questi versetti hanno abrogato quelli, e questi sono stati abrogati da quelli. Il principio dell'abrogante e dell'abrogato trova del resto fondamento nel versetto 106 della sura della Vacca (II): «Non abroghiamo un versetto ne te lo facciamo dimenticare senza dartene uno migliore o uguale. Non sai che Dio è onnipotente?».

da Cento domande sull'Islam di Samir Khalil Samir pp. 39-42

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