venerdì 15 marzo 2013

Giovanni Crisostomo LA COMPUNZIONE

A Stelechio, e sulla katànixis; seconda trattazione

1. Come è possibile che uno come me, con un'anima così fiacca e fredda, esegua la tua richiesta, o Stelechio santo uomo di Dio e dia istruzioni sulla compunzione? È necessario che chi si accinge a trattare questo sublime tema, proprio lui arda di grande zelo e divampi più di tutti; discorsi su tale argomento, li deve gettare sulle anime degli ascoltatori in modo più ardente [che se colassero da] un ferro del tutto rovente. A me tale fuoco manca; in me non c’è altro che cenere e polvere. In che modo, dimmi, in quale maniera attizzeremo questo fuoco, se non abbiamo neppure una favilla? Non abbiamo a disposizione la materia [da ardere] né un soffio ci soccorre per rianimarla, poiché la moltitudine dei peccati stende sulla mia anima una pesante cappa. Davvero non lo so; a te, che mi hai affidato tale compito, spetterebbe indicarmi in che modo possa adempierlo ed eseguirlo in modo opportuno; compirò questo servizio contando sui tuoi suggerimenti. Chiedi allora a Dio che risana i contriti di cuore, infonde coraggio ai pusillanimi e solleva da terra il povero, di accendere in noi quel fuoco che suole consumare ogni umana debolezza ed eliminare ogni sonnolenza, ogni accidia e infiacchimento della carne. La sensibilità spirituale dell’anima si protende verso il cielo, e da quella volta, indica, come da una cima remota, la vanità e la finzione di tutta la vita presente. Chi non riesce ad innalzarsi fin lassù e a contemplare come da una specola, non ha possibilità di vedere come si conviene la terra e i fatti della terra. Molte sono le cose che oscurano la vista, altrettante quelle che disturbano l'udito e inceppano la lingua; per questo è necessario sottrarsi ad ogni turbamento e ad ogni oscuramento, e ritirarsi in quella solitudine dove la tranquillità è totale, chiara l’atmosfera, dove non esiste agitazione, là dove gli occhi, sempre fissi nell'amore di Dio, non deflettono mai; dove le orecchie stanno fermamente attente ad una sola cosa, ossia all'ascolto delle divine parole e sono prese da quella soavissima e spirituale sinfonia. La sua forza conquista a tal punto l'anima, una volta che sia sta incantata, che chi è stato catturato da quella melodia non prende più cibo o bevanda con piacere. Il tumulto delle vicende umane e il peso di tante preoccupazioni corporali non sono in grado d’affievolire una tale tensione. 
Lo strepito che sale dalle tempeste terrene non raggiunge questi vertici sublimi dell'anima.
In modo simile a chi si è trasferito sulla sommità dei monti, non può sentire né vedere quanto si fa o si dice nella città, ma può avvertire soltanto un rumore indistinto e leggero, piacevole come il ronzio delle vespe. Così non sentono niente delle nostre cose quelli che, ritiratisi dalla vita del mondo, hanno dispiegato il volo verso le sublimità della sapienza spirituale. Finché l'anima si rivolge alla terra, il corpo ed i sensi corporei, la tengono avvinta con un'infinità di legami. Da ogni parte fanno avvicinare la bufera amara dei piaceri terreni. Udito, vista, tatto, olfatto e gusto fanno entrare all’interno [dell’anima] i tanti mali che si trovano all’esterno. Quando invece l'anima si fa spirituale e si occupa delle cose spirituali, chiude l'entrata ai pensieri iniqui. Non ostruisce però l'apertura ai sensi ma schiude ad essi la via verso mete più sublimi. Allo stesso modo si comporta una padrona capace di imporsi e di dominare, nel preparare un unguento raffinato prezioso e di alto costo. Avendo bisogno di tante mani per prepararlo, sveglia le sue ancelle e le fa venire a sé, ad una comanda di escludere col vaglio gli aromi ancora non preparati all'uso; ad un'altra fa esattamente esaminare con bilance e stadere se vi sia qualcosa di meno o di più del necessario, perché nulla abbia a guastare le proporzioni di tutto il preparato; ad un'altra fa mettere a cuocere quanto ha bisogno del fuoco; ad un'altra ordina di pestare quello che così com'è non va; ad un'altra fa mettere insieme e rimescolare ingredienti diversi; ad un'altra dice di star attenta col vaso di alabastro;a chi fa tenere in mano un vaso, a chi un altro. A tutte così impone di prestare l'attenzione della mente e delle mani per quel lavoro; con il suo impegno non permettendo che qualcosa vada a male; vigilante in tutto, non concedendo neanche ai loro occhi di girarsi fuori o di spalancarsi svagati. Così pure l'anima quando prepara il prezioso unguento della compunzione, richiama a sé i sensi stroncando la loro negligenza. Se veramente si ripiega su se stessa per pensare a ciò che esige l'onestà o la pietà, esercita i sensi a distaccarsi dai loro impulsi, ad impedire l’ingresso di ogni male e a custodire in modo opportuno la pacificazione che ormai ha cominciato ad avvertire. Se dei suoni colpiscono le orecchie e delle immagini gli occhi, nulla può venire [a creare turbamento], purché l'attività di ognuno di questi organi sia rivolta all'anima. Perché parlare di suoni e di immagini, quando molti di coloro che si trovano in questo stato non soltanto ciò che passa davanti alla loro vista, ma neppure si curano di ciò in cui s’imbattono poiché neppure lo avvertono. La forza dell'anima infatti è tale che diventa facile, a chi lo vuole, vivere sulla terra come se abitasse nel cielo, senza avvertire nulla di ciò che accade nella terra. 
2. Così fu san Paolo: mentre viveva ancora nella città terrena si astenne da tutti i beni presenti, quanto noi siamo soliti evitare i cadaveri. Quando infatti egli dice Per me il mondo è stato crocifisso parla di questo modo di essere insensibili e non solo, ma [parla anche] di un altro modo ancora, sicché si possono distinguere due specie di insensibilità. Non disse soltanto: Per me il mondo è stato crocifisso e basta, ma aggiunse pure: come io lo sono per il mondo, parlando quindi così chiaramente di un secondo modo. Grande sapienza, invero, è considerare morto il mondo, ma più di questa e assai più alta è comportarsi come fossimo morti nei suoi confronti. Ciò Paolo volle dire è questo: non essere estranei alle cose presenti soltanto quanto lo sono i vivi dai morti, ma quanto lo sono i morti dai morti. Chi vive, benché non senta attrazione per un morto, pure prova per esso altri sentimenti, come ammirare ancora la bellezza del defunto oppure provare compassione e piangerlo. Chi invece è morto non ha per il morto neppure tali attenzioni o sentimenti. Questo lo disse prima con le parole: Per me il mondo è stato crocifisso, e poi aggiungendo quelle altre: come io lo sono per il mondo. Vedi quanto sia estraneo al mondo? Camminando sulla terra, si volge fino alla sommità del cielo. Non confrontare [questa cima] con le vette dei monti con i loro boschi, convalli e solitudini inaccessibili, poiché tutto ciò non basta da solo ad eliminare le agitazioni dell'anima. [A questo scopo] si deve [avere]  la fiamma che il Cristo accese nell'anima di Paolo. Poi quell’uomo beato l’alimentò con la meditazione spirituale. La drizzò a tanta altezza che, pur muovendosi in basso, da questa terra, raggiunse il cielo stesso; in seguito un secondo e un terzo cielo. [Anzi] lui stesso rapito fino al terzo cielo, ma, a motivo della sua brama e del suo amore per il Cristo poté raggiungere non soltanto i tre ma tutti i cieli. Era basso di statura e da questo punto di vista non aveva niente più di noi; ma quanto alla sua disponibilità spirituale superò di gran lunga ogni altro uomo della terra. Non si sbaglia ad applicare al Santo l'immagine della fiamma. [Penso] ad una fiamma che, dopo aver invaso tutta la superficie della terra, levandosi da qualsiasi luogo, s’innalza fino alla volta celeste. Investendo persino l'aria al di sopra di essa, (l’aria o altro che sia), riempia di fuoco le parti intermedie tra i due cieli; [neppure qui] arresti il suo impeto ma, via via, raggiunga [anche] il terzo [cielo], fino a consuma tutto in un unico fuoco: [un rogo] esteso in larghezza quanto si espande l’estensione della terra ed espanso in altezza [quant’è la distanza] dal terzo [cielo] fino a noi. Con ciò credo di avere reso in minima parte quello che fu l'immensità del suo amore. Che l'espressione non sia iperbolica lo potrà verificare con certezza chi esaminerà ciò che ho scritto a Demetrio su questo stesso argomento [della compunzione]. Così bisogna amare il Cristo ed estraniarsi dai beni presenti. I profeti furono persone di tal genere e per questo ricevettero [il dono] di un’altra vista. Al loro impegno si deve il fatto che si siano resi estranei ai beni presenti, e dopo aver compiuto questo, si deve alla grazia di Dio, quale dono aggiuntivo, che si siano aperti in loro altri occhi per la contemplazione dei beni futuri. Tale fu Eliseo. Si distaccò da ogni bene del mondo, e perciò desiderò il regno dei cieli. Disprezzò tutti i beni presenti, il regno e il potere, la gloria e l'onore da parte di tutti, e vide ciò che nessun altro mai aveva veduto: un monte tutto pieno di cavalli di fuoco di carri e soldati, nascosto dallo schieramento dei soldati. Non potrebbe essere mai giudicato degno di contemplare le cose future chi si infatua delle presenti; soltanto chi che le disprezza, non considerandole più che ombra o sogno, raggiunge facilmente quelle grandi e spirituali. Del resto anche noi, riveliamo ai nostri figli [il valore] delle ricchezze che si confanno a uomini maturi, quando vediamo che sono diventati uomini e che si disinteressano dei trastulli da fanciulli; finché sono ancora presi da questi, non li giudichiamo idonei di [amministrare] quelle. L'anima che non si esercita nel disprezzo delle piccole cose del mondo, non resterà presa da quelle del cielo, e se non si entusiasmerà di queste non potrà ridere di quelle. Proprio tale verità esprimeva san Paolo dicendo che «l'uomo animale non comprende le cose dello Spirito di Dio», benché con queste parole egli si riferisse alla dottrina; ma noi possiamo a proposito applicarle ai nostri costumi e ai doni di Dio. 
3. Come ho detto, dobbiamo cercare la solitudine; non tanto dei luoghi solitari quanto piuttosto l’intento della vita solitaria, e prima di tutto cosa portare l'anima nella solitudine. Con questa santa disposizione anche il beato Davide, pur vivendo in città e amministrando un regno, assorbito da infinite preoccupazioni, si dedicò all'amore per il Cristo in modo più intenso di coloro che vivono da eremiti. Le lacrime, i gemiti e i lamenti, [profusi] di  giorno e notte [da lui], ora a stento, si potrebbero vedere verificarsi [ἐπιδεικνύμενον], se poi questo avvenisse davvero, da uno o due che hanno accolto la croce. Non dobbiamo soltanto notare i sentimenti di dolore ma osservare con attenzione anche chi era colui che li espresse. Non è proprio la stessa cosa che una persona posta in dignità, onorata da tutti e che nessuno avrebbe mai ripreso, si sia umiliata, piegata e macerata o che abbia compiuto la stessa opera un’altra persona che era priva di tutte queste prerogative. Il re vive tra tante cose che lo inducono alla dissipazione o gli impediscono il raccoglimento. I piaceri quotidiani lo portano a dissolutezza e a mollezze, il potere lo gonfia e gli fa perdere la testa. L'amore della gloria lo brucia e non di meno [lo consuma] la libidine, facendone il figlio dello strapotere e un allievo del piacere. Oltre a ciò il turbinio degli affari che da ogni parte lo sballottano tiene agitata la sua anima non meno delle suddette passioni; la compunzione non può trovare neanche un piccolo spiraglio per penetrare in lui, tanti sono gli intoppi che essa trova. Per quanto desiderato, il bene [della compunzione] può germogliare [soltanto] in [un'anima] libera da tutti quei mali. Il cittadino privato invece, stando di per sé al di fuori di tale turbinio, può più facilmente raggiungere tale meta, purché sia troppo dissipato; non lo può invece chi ha grande potere, supremazia e autorevolezza. Penso poi sia altrettanto difficile o impossibile che la voluttà stia insieme alla compunzione: sarebbe come fare stare assieme il fuoco con l'acqua, elementi contrari che si eliminano a vicenda. La compunzione genera il pianto e la temperanza, la voluttà è madre di riso e di ogni eccesso; l'una fa l'anima leggera ed alata, l'altra la rende greve e pesante più del piombo. Non ho detto di Davide quello che certamente è più importante, che cioè egli visse quando ancora non era richiesta una vita così intemerata. Noi siamo scesi in campo in tempi in cui non soltanto altre cose [sbagliate] erano state vietate, ma anche il riso smodato è riprovato con una punizione e vengono esaltati sempre il pentimento e l'afflizione. Il Santo, rimuovendo tutte quelle cose [come] impedimenti, abbracciò [la compunzione] con grande fortezza d'animo, come fosse uno fra tanti, mai considerando un sogno il regno e il lusso regale. Nella porpora, col diadema e sul trono, mostrò tanta compunzione quanta ne [rivela] chi siede nel sacco, nella cenere e nel deserto. È un bene invero che conferisce a chi veramente lo possiede la vigoria che ha il fuoco tra le spine. Anche se oppresso da innumerevoli mali, più volte legato dalle catene del peccato, consumato del tutto dal fuoco delle passioni, tormentato intensamente dal tumulto degli affari del mondo, egli da tutto viene liberato al sopraggiungere della compunzione. Essa scaccia tutto e subito dall'anima, facendo tutto allontanare quasi con il semplice schiocco della sua frusta. Come una polvere leggera non può resistere all'impeto di un vento violento, così la moltitudine delle passioni non può sostenere il dirompere della compunzione; li spazza e li dissolve non di meno che fossero polvere o fumo. Se infatti l'amore carnale rende l'anima sottomette l’anima al punto da allontanare ogni altro e da consegnarla soltanto alla tirannide della persona amata, che cosa non potrà l'amore di Cristo, unito al timore di perderlo? Questi due sentimenti pervasero l'anima del Profeta al punto che disse: «Come il cervo anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio »; poi: «La mia anima è per te come terra senz'acqua»; ed ancora: «A te si stringe l'anima mia»; ma altrove: «Signore non punirmi nel tuo furore e non castigarmi nel tuo sdegno». 
4. Non mi si dica che in questo salmo Davide deplora il proprio peccato; che ciò di fatto non sia vero lo suggeriscono le parole iniziali del titolo che non fanno supporre una cosa del genere. Se dal titolo posto al principio non risultasse chiaro l'argomento, si potrebbe volendo vedere nel salmo un riferimento ai suoi trascorsi; ma a chi pensasse questo ricordo che il riferimento non c'è e il tema svolto è un altro. Non confondiamo il senso delle divine parole, e non pensiamo che le nostre convinzioni siano più importanti degli insegnamenti dello Spirito Santo. Quale dunque il titolo? Sta scritto: « Sull'ottava». Che cos’è l’ottava se non quel giorno grande e splendente, che arderà come una fornace e farà tremare le potenze superne, secondo sta scritto: Le potenze dei cieli saranno sconvolte; essa mostrerà quel fuoco che precede il Re eterno che da allora regnerà. La chiamò ottava per indicare il cambiamento di situazione e il rinnovamento della vita futura. La vita presente non prevede altro che [il decorso della] settimana la quale, cominciando dal primo giorno e concludendosi nel settimo — di nuovo muovendosi in circolo in questo ordinamento — riprende lo stesso punto di partenza, per ritornare al medesimo punto finale. Non si può dire perciò che la domenica rappresenta l’ottava giornata ma piuttosto la prima. Il ciclo della settimana non si estende fino al numero otto. Quando tutto cesserà e verrà distrutto, allora l'ottavo giorno s’imporrà nel mondo. Esso non si rivolgerà più al suo inizio ma ci sarà una nuova successione. Il Profeta, per la sua grande compunzione, conservò il ricordo del giudizio, come fosse scritto in lui, ebbe il culto di quel giorno con gioia continua e interiore mentre noi ce ne ricordiamo a stento ed affliggendocene. Scrisse questo salmo mentre pensava sempre al giudizio. Che cosa disse? Signore, non punirmi nel tuo furore e non castigarmi nel tuo sdegno. Chiama furore e sdegno l'intensità della vendetta; pur sapendo che la Divinità è estranea da ogni passione e che le sue azioni non erano degne di pena o punizione ma di onore e riconoscimenti. La fede, per la quale aveva abbattuta la torre delle genti straniere e per la quale addirittura stappò alle porte della morte l’intero popolo ebreo; la benevolenza esercitata verso il persecutore, non una o due volte ma spesso, ma soprattutto l’attestazione di Dio a suo riguardo dimostrano all'evidenza la virtù dell’uomo ed anzi la perfetta condotta di vita. Le sue azioni, per quanto grandi e mirabili, potrebbero ugualmente sollevare talora qualche grave interrogativo, benché anche la perfezione delle opere da lui compiute sia ben lungi dal dover essere sospettata, considerando che Dio, ponendosi come testimone, pronuncia un verdetto che annulla ogni sospetto. Qualora infatti Dio non avesse voluto confermare con saldezza la sua virtù, non si sarebbe pronunciata dal cielo in quel modo. Che cosa Dio disse di lui: Ho trovato Davide figlio di lesse, un uomo secondo il mio cuore. Dopo un giudizio così encomiastico e dopo tante virtù, Davide tuttavia proferì le espressioni dei colpevoli che non hanno alcuna familiarità con Dio; già consapevole [dell’invito] evangelico: Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Che cosa avrebbe potuto dire quel pubblicano, colmo di innumerevoli peccati, che non osando guardare verso il cielo al cielo e rifiutando di fare un lungo discorso, neppure osò mettersi sullo stesso piano del fariseo?. Questi, in modo controproducente, diceva: Non sono come gli altri uomini, ladri ingiusti e adulteri, o come questo pubblicano. Il pubblicano neppure avvertì la durezza [di quel parlare],  ma accolse il discorso, non se ne sdegnò e per di più concepì tanta devozione per quell'insolente fanfarone da non credersi degno della terra ch'egli calpestava. Non disse una sola parola che non fosse di confessione dei suoi peccati, si batté forte il petto e supplicò Dio di voler essere misericordioso. Non fa nessuna meraviglia che si sia comportato in questo modo lui, che volente o nolente doveva stare a testa bassa per la moltitudine dei suoi peccati, ma che un giusto cui nulla rimorda la coscienza giunga a condannarsi come il pubblicano, questo è straordinario e segno autentico di un animo contrito. Che differenza c'è, infatti, tra le parole Abbi pietà di me peccatore e le altre Signore, non punirmi nel tuo furore e non castigarmi nel tuo sdegno? Anzi la seconda preghiera dice molto di più della prima. Il pubblicano non ebbe neppure l’ardire di guardare il cielo, ma il giusto fece ancora di più; Il primo disse semplicemente: Abbi pietà di me, ma Davide non osò dire neanche quello. Non disse: Non punirmi, ma anche nel tuo furore. Non solo: Non castigarmi, ma anche: nel tuo sdegno. Non chiese, quindi, di essere liberato dalla punizione, ma di sfuggire alle pene più dure. In entrambe le espressioni perciò possiamo ammirare l'umiltà dell'anima di Davide; si stimò degno di un grande castigo e non reputò giusto di domandare a Dio l’intera remissione, cosa invero che giustamente fanno quelli che sono degni della massima condanna e che siano persuasi di essere più peccatori degli altri uomini. Ma cosa più grande ancora fu quella di credere si debba attribuire solo alla misericordia e benignità divina il fatto di non ricevere l'estrema condanna dopo il peccato commesso, secondo è scritto: Pietà di me perché son venuto meno. Come poté dirlo? Come lo poteva uno che meritò la testimonianza di Colui al quale non sfuggono i giudizi di Dio e che disse: Mi son proposto i tuoi giudizi, mentre irradiava la sua luce più folgorante del sole. Questo, poi, suscita meraviglia: pur avendo compiuto grandi cose, non ha mai parlato o pensato di sé in modo orgoglioso, ma si è considerato l’ultimo di tutti ed ha ritenuto di poter ottenere salvezza soltanto per divina benignità. Per questo diceva: Sono degno di condanna inesorabile e d’essere punto con la morte, ma poiché non sono in grado in nessun modo di sopportare, domando la liberazione dai mali che ora m’affliggono. Fece come quei servi che sono responsabili di innumerevoli misfatti i quali, non potendo negare d'averli commessi e d'altra parte non riuscendo a sopportare il dolore delle frustate, supplicano che vengano loro almeno risparmiate altre battiture. Penso poi che egli qui abbia accennato ad un altro modo di venir meno. Quale? Quello che deriva dall'angoscia e dal pianto. L'eccesso del dolore, quando c’investe in modo gagliardo, di solito consuma l’energia dell'anima. Lo chiarisce il testo seguente. All'espressione, Pietà di me fa subito seguire: perché son venuto meno. Risanami o Signore perché tremano le mie ossa ed è tutta sconvolta la mia anima. Prima aveva detto: Signore, non punirmi nel tuo furore. Chi aveva coscienza d’essere integro chiede di non venire esaminato nelle sue azioni con rigorosa indagine! Che cosa faremo noi che siamo avviluppati da tanti mali, tanto distanti dal potere come lui avere fiducia, e neppure in minima parte disposti come lui a confessare? Ma donde attingeva il Santo motivo a questa confessione? Dall'avere imparato che nessuno può credersi giusto davanti a Dio e che il giusto stesso si salva a stento; perciò a volte pregò dicendo: Non chiamare in giudizio il tuo servo, altre volte disse: Abbi pietà di me, o Signore, perché sono debole. 
5. È opportuno osservare come Dio nella sua perfezione non si dimentichi delle proprie creature, e come la nostra salvezza si fondi sulla sua benevolenza. Questo è segno di un'anima contrita, questo è segno di uno spirito umiliato, questo vale come aver operato cose grandi e perfette: temere e tremare più degli peccatori. Senti come tremava e temeva Davide se ebbe a dire: Se consideri le colpe, Signore, Signore chi potrà resistere? Sapeva infatti ed aveva piena coscienza della universale responsabilità di fronte a Dio per tanti debiti contratti, e del fatto che anche i peccati più leggeri per sé meritano grave punizione; conosceva, come se se avesse osservate da un luogo elevato, già le leggi che sarebbe venuto a dare il Cristo e credeva nella grave pena che egli avrebbe minacciata non solo agli omicidi ma anche ai violenti, ai maledici e a chi acconsente sia ai cattivi pensieri che al riso smodato, sia alle parole inopportune che ai sollazzi e a cose anche di minor conto. Per questo anche Paolo, benché di nulla gli rimordesse la coscienza, diceva: Benché non abbia coscienza di colpa alcuna, per questo non sono giustificato. Perché mai? Perché anche se non aveva fatto alcun male, e così era veramente, non per questo poté credere di avere onorato Dio nella dovuta misura; poiché anche se fossimo morti un'infinità di volte e avessimo dato prova di ogni virtù, non saremmo con ciò riusciti a dare l'onore dovuto a Dio per i benefici elargitici. Considera questo: Egli non aveva bisogno di noi ed era autosufficiente in tutto. Dal non essere ci ha tratto all'essere, ci ispirò un'anima ben diversa da quella degli altri animali della terra, per noi fece il paradiso, stese la volta del cielo, consolidò la terra, accese splendidi luminari, adornò [la terra] di laghi, fonti, fiumi, fiori, piante e trapunse il cielo con un cangiante coro di astri. Creò la notte che ci è più utile del giorno per il riposo e l'energia che ci offre; col sonno non meno che coi cibi egli nutre il nostro corpo, come possiamo chiaramente constatare dal fatto che mentre non si possono passare neanche pochi giorni senza sonno se ne tollerano invece molti con la fame. [Col sonno] volle attenuare e dissolvere l'arsura immagazzinata nel giorno per via dei raggi solari e delle fatiche quotidiane, per restituirci rinnovati e rinvigoriti per il lavoro. Nella stagione invernale, con le notti più lunghe [con la misura della durata] ci offre più riposo e calore costringendoci a restare al coperto; l'oscurità è prolungata in questa stagione non in modo spontaneo o per caso ma per donare un riposo più lungo. [Dio] agi come una madre che ama molto i suoi bambini. Quando vuole soccorrere i figli spossati, li accogliendoli fra le proprie braccia, e velandone gli occhi col lembo della sua veste, li addormenta. In modo simile Dio, distendendo sulla terra un velo di tenebra, ristora gli uomini dai loro affanni. Senza quest’attenzione, rimarremmo tutti distrutti dalle attività e dalle passioni innumerevoli che ci opprimono. Mentre nella presente condizione noi anche contro voglia siamo sollevati dalle fatiche e dai condizionamenti del corpo e, non meno che del corpo, dell'anima. Che dire poi della serenità e della calma delle ore notturne, quando tutto è silenzioso e libero da frastuoni? Non si sentono più i clamori del giorno: chi geme per la povertà, chi grida per oltraggi ricevuti, chi piange per la malattia o per la mutilazione, chi per la morte dei congiunti, per perdita di denaro o per un’altra umana traversia. Le sofferenze sono innumerevoli! Liberandoci da tutte queste, come da ondate, la notte offre agli uomini il rifugio del suo porto tranquillo. Tanti beni la notte ci elargisce, ma sono ben noti a tutti anche quelli che ci offre il giorno. Che dire del fatto che Dio ci ha facilitato lo scambio? Affinché la lunghezza del viaggio non divenisse un impedimento nella comunicazione, egli adunò i mari, vie più brevi per percorrere da ogni parte la terra; sicché abitandovi come in una sola casa andassimo spesso così gli uni dagli altri, sicché potesse facilmente dare ciascuno al vicino di quel che personalmente possiede e da lui pure ricevere di quel che egli ha. Perciò essendo padroni di una piccola porzione di terra è come se la possedessimo tutta, potendo tutti godere ogni bene, come è possibile ad ogni commensale di una ricca tavola partecipare al suo vicino quanto per lui imbandito ed anche ricevere col solo stendere la mano quello che all'altro è servito. A voler parlare di tutto, il nostro discorso si farebbe indicibilmente lungo, e non arriveremmo a parlare che di una minima parte. Come potrebbe un uomo tentar di misurare l'infinita sapienza di Dio? Rifletti frattanto (τέως) sulla diversità delle piante, fruttifere e infruttifere, che crescono nei deserti o sulla terra che abitiamo, sui monti o nelle pianure. Considera la varietà dei semi, negli erbaggi, nei fiori, negli animali di terra, anfibi o natanti. Pensa che quanto vediamo è per noi, cielo terra mare e quel che in essi si trova. Al modo d’un costruttore di una splendida reggia, rifulgente d’oro e smagliante per lo scintillio delle gemme, così Dio, dopo aver creato il mondo, vi condusse l’uomo perché regnasse su tutto ciò che vi trovava. C’è ancora dell’altro che stupisce. Per costruire il tetto di una tale abitazione, non si servì di pietre ma di materiale ben diverso e più prezioso; accese delle luci non su candelabri d'oro ma disponendo sulla volta del cielo in alto sopra l'abitato dei luminari in modo che fossero non soltanto utili ma anche di molto nostro gradimento. Volle poi il pavimento come una tavola riccamente imbandita, e lo diede all'uomo che non gli aveva dato alcuna prova di bontà. In seguito alla sua mancanza di riconoscenza per il Benefattore di doni tanto grandi, lo privò dell’onore. Limitandosi a scacciarlo dal Paradiso, con questa punizione gli impedì di proseguire nella via dell'ingratitudine e ne richiamò la volontà dal peggio. L'Apostolo, mosso dallo Spirito divino, ricapitola questi ed altri benefici, le cose che fece da principio e quelle che fa ogni giorno, ciò che singolarmente concede a ciascuno e ciò che da in comune a tutti, in modo evidente. I doni segreti sono molto di più di quelli manifesti. Soprattutto i beni già elargiti nell’economia dell'Unigenito Figlio di Dio e quelli che donerà in futuro. Osservandoli tutti con semplicità, colse in ognuno di essi l’ineffabile amore di Dio e li comprese, come se si fosse sommerso in un mare profondo. Si rese conto anche di quanti e gravi peccati era stato colpevole, come di essi non aveva pagato il fio che in minima parte. Perciò parlò in quel modo. Fece un esame di coscienza scrupoloso dei peccati anche leggeri, e dimenticò le sue grandi virtù; al contrario di noi che non teniamo conto dei nostri numerosi e gravi trascorsi né li ricordiamo. Se abbiamo compiuto qualche eventuale piccolo atto di virtù, ne parliamo in lungo e in largo; non smettiamo di gloriarcene e di trarne vanto al punto da svuotare, per la vanagloria, anche quel poco. Davide, osservando questo comportamento, esclamò: Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi? Non solo, ma condannò anche l’ingratitudine dicendo: nella prosperità l'uomo non comprende, si può paragonare con gli animali privi di senno e considerarlo simile ad essi. 
6. È proprio d’un servo riconoscente considerare come fatti a sé i benefici resi a tutti, mostrandosene compreso e premuroso come fosse debitore di tutto. Questo il comportamento di Paolo, di cui è bene tornare a fare menzione; egli disse che il Cristo era morto per lui: Questa vita nella carne, affermò, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Con questa affermazione, non intese restringere il dono del Cristo ma premurandosi d’essere come debitore di tutto, esortò ogni altro a fare lo stesso. Anche se il Cristo si fosse incarnato soltanto per uno, non solo non avrebbe invero svilito il suo dono ma lo avrebbe rivelato maggiore. Come mai? Mostra verso un’unica [persona]particolare la medesima grande premura, manifestata dal [pastore] che va in cerca di una sola pecora, mentre per la sua perdita si addolora e piange. Chi ha ricevuto in prestito del denaro e non è in grado di restituirlo, ma si trova come sommerso in un abisso di debiti, non mangia e non dorme perché divorato dalle preoccupazioni. Il giusto che si scopre debitore non di denaro ma di opere [buone], che cosa non soffrirà? Al contrario noi, per poco che abbiamo restituito, ci comportiamo come se avessimo estinto tutto il debito, anzi come se avessimo pagato molto di più; e riguardo a questa piccola restituzione, non solo non ci comportiamo con la sicurezza che converrebbe a chi è libero, ma ci domandiamo pure se non meritiamo una giusta mercede, anzi un'abbondante ricompensa. Se questo è il nostro pensiero, allora ragioniamo come schiavi o mercenari. Che cosa dici o uomo gretto e misero? Ti si propone di fare quel che piace a Dio e tu vai pensando alla ricompensa? Se il tuo agire ti avesse procurato la caduta nella Geenna, avresti dovuto uscirne  mettendo mano ad un’infinità di opere buone e con grande generosità? Ora tu invece fai quel che piace a Dio e cerchi un'altra mercede! Non hai compreso quanto sia già una cosa buona il piacere a Dio? Se lo sapessi non penseresti che vi possa essere un’altra ricompensa pari ad essa. Non sai che tale mercede aumenta, se compi ciò che devi fare senza sperare ricompensa? Non vedi come [già] gli uomini onorino soprattutto le persone che si preoccupano di ciò che vale  mentre [apprezzano] di meno quelle che pensano al guadagno? [Hanno stima] di quelli che si danno da fare [per svolgere il loro compito] piuttosto di quelli che pensano solo al riconoscimento [che otterranno]? Alcuni si comportano in un modo tanto signorile anche con i compagni di schiavitù; tu invece già beneficato in modo così generoso dal tuo Signore, conoscendo [il valore] della ricompensa che ti verrà attribuita, quando devi operare per la tua salvezza, prima di compire ciò che devi, vai contrattando la mercede. Per questo risultiamo sempre così freddi e miserabili, e non siamo ben disposti a compiere alcuna opera generosa? Da ciò deriva che non raggiungiamo né la compunzione né il minimo atteggiamento che sostenga la nostra anima. Non calcoliamo con precisione ciò che dobbiamo a Dio per i nostri peccati né valutiamo i suoi benefici, e neppure ci prefissiamo di osservare coloro che hanno agito al meglio. Per questo le opere buone le trascuriamo né compiamo il bene nella misura opportuna, e quando ci proclamiamo peccatori — e lo ripetiamo spesso — non siamo veramente sinceri. Ciò risulta chiaro dal fatto che, quando ce lo sentiamo dire da altri, in verità ci irritiamo, andiamo in bestia e lo qualifichiamo un vero e proprio insulto. Ciò che diciamo è tutta un'ipocrisia e facciamo l’opposto del pubblicano. Questi, quando l’altro gli rinfacciava un’infinità peccati, non reagì agli insulti, e raccolse il frutto del suo comportamento. Se ne tornò giustificato, al contrario del fariseo. Noi, invece, ignoriamo persino che cosa sia confessione, benché siamo pieni di mali. Non solo dobbiamo essere convinti dei peccati commessi un'infinità di volte, ma dobbiamo pure scriverli tutti, gravi e leggeri, nel cuore come in un libro e piangerli come se li avessimo commessi di recente. Così possiamo reprimere davvero la superbia dello spirito ricordando di frequente il male compiuto. Il richiamare alla memoria le colpe commesse costituisce un bene si grande che san Paolo non finiva mai di parlare delle colpe già cancellate. Col battesimo aveva infatti già lavato ogni peccato precedente e ormai viveva una vita si pura che la coscienza non lo rimproverava di nessun peccato ancora da piangere; richiamò allora quelli già cancellati dal battesimo, ora dicendo: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, e di questi il primo sono io; ora confessando: Mi ha giudicato lui degno di fiducia chiamandomi al ministero; mentre, in precedenza, ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Perseguitavo la Chiesa dì Dio e la devastavo, e ancora: Non son degno di essere chiamato apostolo. Di fatto, anche se ne siamo già liberi, perché assolti da quei peccati, è opportuno che noi facciamo arrossire la nostra anima e la spingiamo all'amor di Dio. Perciò quando Simone fu interrogato dal Signore quale dei due debitori avesse amato di più il benefattore, rispose: Penso sia quello a cui ha condonato di più, e si senti replicare: Hai giudicato bene. 
7. Quando ci saremo resi conto della moltitudine dei peccati commessi, allora comprenderemo la misura straordinaria della grazia di Dio, allora avremo un sentimento umile, allora manterremo un atteggiamento di vigilanza. Quanto più ci sentiremo responsabili di gravi colpe, tanto più crescerà il nostro senso di vergogna. Paolo si ricordava di quelle [colpe]. Noi invece non vogliamo ricordare neppure quelle commesse dopo il battesimo, quelle che rischiamo di ripetere e delle quali ci dobbiamo dichiarare responsabili esaminandoci a loro riguardo. Se ci capita di tornare col pensiero su qualcuna, subito pensiamo ad altro e non vogliamo rattristare la nostra anima neppure con un ricordo istantaneo. Una miriadi di mali prolificano in noi a causa di questa nociva indulgenza. Rimanendo indifferenti e indulgenti, non potremo riconoscere le colpe già commesse (come [confessarle] se neppure siamo soliti ricordarle?) e resteremo inclini a ripeterle. Se fiorirà in noi il tratto amabile di quel ricordo e se l’anima resterà turbata per la paura, allora potremo dissipare l’indifferenza e l’indulgenza. Se l’anima rimane libera da questi freni, chi potrà trattenerla dagli abissi fino a che precipiterà nel baratro della perdizione? Per questo quel giusto pensò al castigo imminente. Per questo piangeva, per questo s’affliggeva, con intensità. Per voi che siete maturi, basterà a far scaturire la compunzione il solo ricordo dei benefici divini, senza pensare alle vostre buone opere. Cercherete, con grande attenzione, se avrete commesso qualche piccola mancanza. Rivolgerete la vostra attenzione ai grandi uomini che sono molto piaciuti a Dio. In seguito penserete all’incertezza del vostro futuro, sulla possibilità di cedere al peccato in modo inaspettato. Su questo argomento anche  Paolo rifletteva e diceva: Temo che dopo aver predicato agli altri, io stesso non venga squalificato. Ed anche: chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. Queste cose le meditò in cuor suo anche Davide, il quale, considerando i benefici di Dio disse: Che cosa è l'uomo perché tè ne ricordi e il figlio dell'uomo perché tè ne curi? Eppure l'hai fatto di poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato. 
Dimentico delle sue virtù pur dopo una serie innumerevole di azioni davvero sapienti, esclamò: Chi sono io, Signore Dio, e cos'è la casa di mio padre, perché tu mi abbia amato fino a questo punto? E questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, mio Signore; tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire; ma per tè questa è la legge dell'uomo, Signore Dio! Che potrebbe dirti di più Davide? Riflettendo di continuo sulla virtù degli antenati, e confrontandosi con quelli, si considerò un nulla. Dopo aver detto: I nostri padri sperarono in te, di sé aggiunse: Ma io sono verme, non uomo. L'incertezza del futuro poi l'aveva davanti agli occhi al punto da domandare: Conserva la luce ai miei occhi, perché mai mi sorprenda il sonno di morte! Si stimava reo di tanti peccati e pregava: Perdona il mio peccato anche se grande. Per voi che siete maturi basterà questa medicina, ma noi, oltre a questi farmaci, abbiamo bisogno di [assumerne] altri ancora più incisivi e appropriati per contrastare l’orgoglio e l’arroganza. Qual’è? La moltitudine dei peccati e la coscienza sporca.  Se saremmo stati catturati da queste [convinzioni], non oseremo erigerci in alto .
Ti chiedo supplicandoti, per quella franchezza che hai acquistato verso Dio a motivo del tuo retto agire, di darci una mano di [aiutare] noi che ti chiediamo aiuto in continuazione: che possiamo pentirci in modo adeguato del nostro pesante fardello di peccati e che rimanendo in questo sentimento di dolore, imbocchiamo la strada amica che ci porta in cielo; che possiamo sfuggire all’inferno, là dove non è possibile alcuna confessione. Da quelle sofferenze che patiamo nella condizioni di vinti, nessuno ci potrà liberare. Finché siamo in questa vita, potremmo ricevere molto da voi e voi potreste esserci molto utili. Se saremmo caduti là, né amico, né fratello, né padre potrà soccorrere o offrire aiuto a chi sta scontando la condanna. In quel caso, calati in un abisso inaccessibile e tenebroso, nell’assenza totale di ogni conforto, saremmo costretti a scontare una condanna inestinguibile, divenuti esca perenne di un fuoco divoratore. 

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