lunedì 4 marzo 2013

Basilio e Gregorio di Nissa


Discorso commemorativo di Gregorio di Nissa 
in onore del fratello San Basilio


Dio ha stabilito un buon ordinamento a queste nostre feste annuali; le abbiamo appena celebrate in questi giorni, seguendo un ordine stabilito, e ancora le celebreremo in futuro. Il nostro ordinamento, stabilendo la ricorrenza delle festività religiose, segue il suggerimento del grande Paolo che, nel proporlo, fu ispirato dall'alto. Egli afferma: «In primo luogo  Dio ha stabilito che si pongano gli apostoli e i profeti, dopo di loro i pastori e i maestri» (Cf 1 Cor 12,28). La ricorrenza regolata delle festività annuali obbedisce, quindi, ad una disposizione stabilita dagli apostoli. Tuttavia la prima festività che celebriamo non ha lo stesso valore delle altre. La grazia [che ci viene offerta] dalla manifestazione del Figlio Unigenito, fatta conoscere al mondo mediante la nascita dalla Vergine, non è una festa come le altre, ma è quella santa fra le sante, la celebrazione fra le celebrazioni. Noi celebriamo le altre come derivanti da quella. Gli apostoli e i profeti sono i primi che aprono questo coro spirituale. I primi e i secondi furono ripieni di questi due carismi, quello apostolico e quello profetico. Tra questi troviamo: Stefano, Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo. In seguito, dopo costoro, rispettando il suo suggerimento, avanza il pastore e il maestro della festa che stiamo vivendo. Chi è costui? Devo rivelarne il nome oppure è sufficiente che alluda ai suoi doni di grazia per indicarlo? Hai sentito parlare di un maestro e di un pastore che viene dopo gli apostoli, hai avuto notizie sicuramente del pastore e del maestro che è secondo soltanto dopo gli apostoli. Parlo proprio di lui, del vaso d'elezione, di Basilio, uomo elevato nello stile di vita e nella parola, gradito a Dio già dalla nascita, una persona che, a motivo della sua maturità, era anziano già dalla giovinezza. Fu istruito con profondità nella sapienza dei pagani, come Mosé (At 7,22), ma dalla fanciullezza ha conosciuto anche le Sacre Scritture. Queste lo hanno nutrito, fatto crescere e lo hanno colmato di forza. Per questo fu in grado di istruire ogni uomo in ogni disciplina, divina e profana. Fu come un eroe eccellente in due culture. Addestrato con l'apprendimento di ogni disciplina per poter opporsi agli avversari, superò gli altri lottatori usando entrambe le due culture. Fu il migliore in ogni circostanza, sia nei confronti di quelli che credevano di poter opporsi alla verità (mi riferisco a coloro che, provenendo da gruppi ereticali, aggredivano le Scritture stravolgendo il loro significato), sia nei confronti dei pagani greci che egli riusciva a confutare servendosi dei concetti da loro elaborati. La sua vittoria contro gli avversari, però, non era fine dei vinti ma la loro risurrezione. Gli uomini che si arrendono alla verità sono dei vincitori, poiché trionfano sull'inganno e la menzogna. 
Anche noi ora abbiamo questo personaggio che costituisce l'oggetto della festa attuale, il genuino profeta dello Spirito, il valoroso soldato di Cristo, il banditore del messaggio di salvezza dalla voce possente, il lottatore e il sostenitore della libertà di Cristo. Nello scorrere dei secoli, soltanto lui viene considerato il secondo dopo gli apostoli. Se Basilio fosse vissuto al tempo di Paolo, sarebbe comparso sicuramente nei suoi scritti, come è avvenuto per Silvano e Timoteo. Non pensate che stia formulando congetture infondate, perché in seguito ne fornirò la prove. Espongo come procedono i santi lungo la storia. I diversi periodi storici, nel passato e nel futuro, per quanto riguarda il bene o il male, non presentano differenze notevoli, perché un momento storico, di per sé, non è né buono né cattivo. Il bene sta nelle nostre scelte volontarie e non è determinato dalle circostanze storiche in cui viviamo. 
Confrontiamo piuttosto, la fede dell'uno, [Paolo], con la fede dell'altro, [Basilio],  la parola dell'uno con la parola dell'altro. Chi confronterà tra loro in modo onesto le opere meravigliose compiute da entrambi santo scoprirà che in loro lo Spirito Santo ha infuso la stessa grazia, secondo la disponibilità della loro fede. Se Paolo precede nel tempo e molte generazioni dopo appare Basilio, riconoscerai [in questo avvicendarsi] l'azione del disegno provvidenziale di Dio verso gli uomini, senza sospettare invece che vi sia stata una diminuzione della grazia. Mosé venne molto tempo dopo di Abramo, Samuele di Mosé, ed Elia di Samuele. Molto dopo dopo di Elia venne il grande Giovanni e dopo Giovanni, Paolo. Infine è venuto Basilio. Nel corso del tempo, nessuno è venuto come secondo dopo l'altro; il tempo non erode la santità che è in relazione con la gloria di Dio.  
Anche oggi, quando parliamo della vita retta, non accampiamo discorsi pretestuosi sul degrado dei tempi. Anzi  il tempo, come ho detto, non fa altro che mostrare i segni della preveggenza di Dio verso gli uomini. Egli che conosce ogni essere prima ancora che venga all'esistenza, come ha detto il profeta (Dn 13,42), conoscendo la malizia del diavolo che si estende per tutte le generazioni umane, prepara la medicina per ogni morbo, specifica e adattata per ogni epoca, affinché non accada che una malattia contratta dagli uomini rimanga priva di cura. Non accadrà che [la sua malvagità] domini sugli uomini perché è venuta a manca loro una cura adeguata. Ecco perché, quando aveva preso il dominio la cultura dei Caldei, i quali consideravano come causa degli essere certi movimenti degli astri, mentre non pensavano che la potenza ordinatrice degli enti stesse al di sopra delle cose visibili, allora mostrò Abramo, il quale, servendosi della loro scienza come di una scala, cercò Colui che può essere conosciuto attraverso le cose visibili. Divenne una via di fede in Colui che è realmente l'unico Dio, agli uomini che sarebbero venuti dopo di lui, facendosi egli stesso una guida in quella strada; lo fece, rinnegando l'errore ereditato dai padri e [vincendo] la sottomissione degli organi sensoriali nei confronti delle realtà create. 
In seguito fece sorgere Mosé il quale ridusse al nulla la falsa cultura egiziana, servendosi d'una sapienza superiore. Mise al vaglio, infatti, la cultura demoniaca e magica dell'Egitto che era stata elaborata per suggerimento del diavolo - ne sono convinto - il quale aveva fatta sprofondare quel popolo in falsità di vario genere. Chi ha studiato la Scrittura, conosce bene quel racconto. Saprà come mentre i maghi contrapponevano ai segni divine le loro falsità, Mosé li vinse in potenza; grazie al soccorso che gli giunse dall'alto, ridusse al nulla la forza degli egiziani. Potrai riconoscere questo evento utilizzando gli altri racconti e ciò che operò con il segno del bastone. 
Tempo dopo, quando gli israeliti si trovarono senza un capo e vivevano senza regola, nello sconvolgimento delle lotte intestine, apparve Samuele che riuscì a farsi ascoltare dal popolo. Pose fine al dissidio tra le varie tribù. In seguito, riuscì, componendo le lotte intestine a dare forma ad un governo monarchico; riunì attorno a sé le varie tribù e diede inizio al potere dei re. 
Dopo questi avvenimenti, quando si era succedute diverse generazioni, Acab, schiavo di una donna, si allontanò dai costumi dei padri. Asservito ad una femmina lussuriosa, si diede alla vanità del culto idolatrico per istigazione di quella, coinvolgendo il popolo d'Israele. Dio, allora, indicò Elia come antidoto, il quale aveva la forza terapeutica per contrastare la gravità della malattia che aveva colpito gli uomini. Quest'uomo non si curava affatto della prestanza fisica, aveva un volto inaridito, ricoperto dall'ombra di una folta chioma, originale nello stile di vita; era venerabile al vedersi per la severità dell'aspetto e per lo sguardo accigliato. Si copriva il corpo con una pelle di capra, coprendo solo quella membra che era opportuno ricoprire mentre il resto del corpo era sopportava i disagi della nudità e non considerava troppo gravoso esporsi al caldo torrido o al gelo. Elia si mostrò al popolo per riportare Israele alla saggezza punendolo con la carestia affinché il popolo abbandonasse la sua vita disordinata con la sferza di questa punizione. Dopo questi fatti, facendo scendere dal cielo  un fuoco che consumò il sacrificio, poté contrastare il malanno dell'idolatria. 
Dopo questo personaggio, quando un altro periodo storico era giunto al compimento, appare un secondo Elia, dotato del suo spirito e del suo vigore: Giovanni Battista. Questi, generato da Zaccaria ed Elisabetta, radunò tutto il popolo nel deserto con un appello [penitenziale]. Il popolo intero, infatti, era coinvolto nel crimine dell'uccisione dei profeti, in moltissimi altri misfatti e peccati. Lo liberò da tutte queste colpe, con una predicazione di penitenza e le deterse nell'acqua scorrente del Giordano. Non fu in nulla inferiore nella virtù agli uomini di Dio che erano apparsi in precedenza. 
Si può pensare che Paolo, venendo al modo dopo del Battista, sia stato inferiore a lui visto che Egli cercò in tutti i modi di correre e di progredire verso la perfezione indicatagli da Dio? Non s'innamorò subito della bellezza divina, che era rifulsa davanti al suo sguardo, mentre gli cadevano delle scaglie dagli occhi, simbolo del velo che aveva coperto il suo cuore? Questo velo steso sopra gli occhi dei giudei, impediva a loro di vedere la verità. Quando, nel bagno sacramentale si purificò dalla sporcizia dell'ignoranza e dell'errore, subito cominciò ad essere un'altra persona, più consona a Dio. Si spogliò della pesantezza della carne che l'avvolgeva, ed allora poté essere ammesso nei segreti celesti. Il trovarsi ancora nel corpo non gli fu d'impedimento per poter entrare nel giardino paradisiaco di Dio. Là fu iniziato ai misteri ineffabili della verità; ricevuto il dono di una predicazione efficace, sottomise all'obbedienza della fede tutti i popoli. Per questo motivo divenne il padre di quasi tutti gli uomini del mondo. Sopportando i travagli del parto, diede alla luce  tutti coloro che, per mezzo di lui, erano trasformati in Cristo per vivere nella vera religiosità. 
Abbiamo visto riguardo ad alcuni santi che lo trascorrere del tempo non ha causato una diminuzione nel loro progresso nella comunione con Dio poiché la grazia aiutava ognuno di loro a raggiungere la perfezione. Non è strano allora se osiamo dichiarare che l'uomo di Dio apparso nella nostra generazione, ossia Basilio, il vaso della verità, appartenga al numero dei santi illustri. Nello scorrere del tempo,  né il suo grande desiderio di Dio, né la grazia divina sono diminuiti affinché potesse ottenere la perfezione dell'anima. Il disegno della provvidenza divina non venne meno e neppure il logoramento del tempo attenuò la sua collaborazione affinché si attuasse il piano di Dio. Nessuno ormai ignora il motivo per il quale nel nostro tempo ci è stato donato questo maestro. 
L'annuncio del Vangelo aveva risanato la pazzia degli uomini che li aveva indotti all'idolatria. I culti vani erano ormai in rovina ed erano stati annientati. Il mondo, quasi nella sua totalità, era ormai pervaso dall'annuncio della vera religione. Il Nome di Cristo aveva cacciato ovunque il diavolo che aveva imposto il dominio della menzogna. Il creatore del male, tuttavia, sempre intento a dar vita ad opere di malizia, non smise di tramare, per far in modo che l'umanità rimanesse ancora sotto il suo dominio. Allora, sotto le apparenze di pietà cristiana, in modo nascosto, riportò l'idolatria; persuase gli uomini che si fidarono di lui ad accogliere i suoi raggiri, affinché non lasciassero di venerare la creatura, anzi l'adorassero e venerassero. Volle che considerassero una creatura Dio stesso, Colui che era chiamato Figlio di Dio. Se la creatura proviene dal non essere, se essa, nella sua natura, è totalmente diversa dall'essenza divina, nessuno deve venerarla ma se il nome di Cristo viene imposto ad una creatura, allora questa merita adorazione, venerazione, in questa è possibile porre speranza di salvezza e da essa aspettarsi il giudizio. Il diavolo, l'apostata per eccellenza, decise di andare all'assalto e di trasmettere negli uomini disposti ad accoglierla, tutta la sua malizia. Mi riferisco ad Ario, ad Aezio, Eunomio, Eudossio e a tutti gli altri, in gran numero per mezzo dei quali, come ho detto, riportò nel mondo cristiano l'idolatria che si era già dissolta. Volle che la malattia dominasse gli uomini ed essi adorassero la creatura al posto del Creatore, pensò di rafforzare l'errore con la collaborazione dei sovrani del tempo e facendo in modo che tutte le autorità preposte favorissero la diffusione di questo morbo. Mentre quasi tutti gli uomini stavano dalla parte del potere, Dio suscitò il grande Basilio, come aveva suscitato Elia al tempo di Acab. Mentre i sacerdoti accettavano questa grave caduta, fece di nuovo risplendere l'annuncio della fede, mediante la grazia che abitava in lui; apparve come una lucerna che prima era stata messa da parte. Fu per la Chiesa come un fuoco che appare di notte ai marinai che vagano smarriti in mezzo al mare. Riportò tutti sulla strada retta; lottò contro i capi; partecipò ad imprese di guerra; parlò con audacia ai sovrani; alzò la voce nella chiese; a somiglianza di Paolo, mediante delle lettere, chiamò, coloro che si erano allontanati; evitò le prese degli antagonisti, poiché non dava alcun pretesto sul quale gli avversari potevano fare presa. Era più forte di coloro che avevano confiscato i suoi beni, poiché egli liberamente aveva dato tutto se stesso alla speranza del Regno. Era libero dalla paura dell'esilio, poiché riteneva che la vera patria degli uomini fosse il paradiso e considerava il mondo intero come una terra d'esilio per tutti gli uomini. Chi muore ogni giorno e, spontaneamente si annulla nella mortificazione, come poteva temere la morte che gli veniva minacciata dai nemici? Considerava una sventura non poter imitare di frequente le lotte dei martiri a favore della verità, visto che tutti gli uomini devono morire. Egli, una volta, ad uno dei magistrati che lo minacciava in modo orribile di strappargli il fegato dal corpo, prendendosi beffa della crudele minaccia, rispose con un sorriso sardonico: Ti ringrazierò per questa decisione. Il fegato, premendo sulle viscere, mi provoca un grande disturbo. Se me lo togli, come hai minacciato, liberi il mio corpo da un fastidio. 
Il fatto che sia vissuto dopo gli altri santi, ha oscurato lo splendore divino, al punto che il ricordo di lui non abbia lo stesso valore delle feste degli altri santi? Come si può dire una cosa del genere? Osserva con attenzione, se ti sembra di doverlo fare, la vita di costui e paragonala con quella di uno dei santi che lo hanno preceduto. Paolo ha amato Dio; l'amore è l'elemento fondamentale della rettitudine. Parlo dell'amore dal quale proviene la fede, la speranza, l'attesa che si rafforza nella pazienza, la costanza nel bene. L'amore è il culmine di ogni dono spirituale. Osserva: con quale misura Paolo ha amato Dio? Dirai che lo ha fatto in modo totale. Infatti amò Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente. La Legge ha posto in questa totalità il massimo della misura dell'amore per Dio. Chi dona a Dio tutto il cuore, tutta l'anima e tutta la mente, e non si attacca con forza a nessun interesse della vita, raggiunge la vetta più alta della carità. Se qualcuno può dimostrare che la vita del nostro maestro era rivolta agli interessi mondani, come la ricchezza, la vanagloria, la bramosia - che facessero presa su di lui i piaceri più abietti, non è neanche il caso di pensarlo -, o possa scoprire che era interessato a cose del genere, allora necessariamente afferma contro di lui che la sua misura d'amore per Dio era molto debole, poiché la sua forza d'amore non era indirizzata a Dio ma ai beni della terra. Invece, se risulta che Egli respingeva ed avversava tutto questo, poiché già da giovane aveva eliminato dalla sua vita ogni propensione passionale, e se è certo che in secondo momento aveva anche santificato la vita vissuta in comune con il suo insegnamento e il suo esempio, allora è chiaro che egli possedeva in se stesso una misura d'amore per Dio così grande che un uomo non potrebbe averne di più. 
Se, come abbiamo appreso, il massimo dell'amore completo sta nel dedicarsi a Dio con tutto il cuore, poiché Paolo e Basilio hanno amato Dio consacrandosi a lui con tutto se stessi, non è improprio affermare, senza proferire alcuna falsità, che entrambi hanno raggiunto una stessa misura d'amore. L'apostolo afferma che l'amore è il più grande di tutti i beni e questo insegnamento è in sintonia con il Vangelo. L'apostolo ha dichiarato che esso è più apprezzabile della profezia e della scienza, che è più solido della fede, più tenace della speranza e che perdura nell'eternità, ed allora non ha senso premurarsi di raggiungere il bene senza di esso. Il Signore facendo dipendere tutta la legge e tutti i misteri della profezia da questo carisma, attesta anch'egli che l'amore ha il primato su tutto. Se il grande Paolo ha goduto interamente del dono più elevato, capace di accogliere tutti gli altri, è chiaro che poteva usufruire anche di tutti gli altri, dei quali l'amore è causa poiché da esso sono generati. Come chi partecipa alla nostra umanità, possiede tutte le sue caratteristiche, così chi ha realizzato in se stesso l'amore perfetto, riceve con esso, tutte le forme di bene, assieme al prototipo di tutti i beni. Se la fede è principio di salvezza e se siamo salvati dalla speranza, se riceviamo la grazia per mezzo della sopportazione paziente, l'amore tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, come dichiara l'Apostolo. Tutte le altre qualità, che non conviene ora elencare, germogliano perché affondano le radici nell'amore. Questo vale per qualsiasi virtù. Chi possiede l'amore non ha bisogno di niente altro. 
Basilio era colmo d'amore e quindi non mancava di nessun'altra qualità. Se le possedeva tutte, non era inferiore a nessuno. Qualcuno obietterà: Paolo però sperimentò il terzo cielo, fu rapito in paradiso, udì parole ineffabili, che nessun uomo può pronunciare. Egli non spiegò con chiarezza se questo dono così grande lo ricevette mentre era nel corpo e non risolve questo dubbio quando dichiara: Se ero nel corpo o fuori del corpo, non lo so; soltanto Dio lo sa (2 Cor 12,2). Riguardo a questo evento, qualcuno potrebbe spingersi a dichiarare che mentre si trovava nel corpo non vide nulla, poiché è possibile che ciò avvenga soltanto alla contemplazione spirituale ed incorporea. Lo testimoniano le sue stesse parole, sia quelle pronunciate, sia quelle scritte. Egli, a partire da Gerusalemme navigò da un luogo all'altro fino all'Illirico, annunciando il Vangelo agli uomini che là abitavano. La sua predicazione il suo annuncio raggiunse quasi tutti i luoghi della terra, come è testimoniato da ciò che ha detto e compiuto. Mi si conceda di non richiamare tutti i tratti dai quali traspare come la vita di questo [Basilio] si accordi con la vita dell'altro, come l'espressione sono crocifisso al mondo e il mondo per me. Mortificò il suo corpo, mostrò pienamente come la sua forza agiva nella debolezza. Cristo era la vita per entrambi, ed entrambi consideravano un guadagno il morire e preferivano ad una vita instabile il dissolversi nel Signore. 
E' possibile ora fare un paragone tra Giovanni e il nostro maestro Basilio? La parola divina attesta riguardo a questo profeta che egli detiene un primato, come il migliore tra i nati da donna. Se pensiamo a questo elogio,  sembra una pazzia e nello stesso tempo  un'empietà, tracciare paragoni e mettere a confronto un altro santo con la vita di costui. Tuttavia se seguiamo da vicino l'uno e l'altro, troviamo la prova della loro santità. Allora cerchiamo di comprendere bene il testo biblico. Giovanni non si vestiva di abiti lussuosi e non era una canna sbattuta dal vento. Preferiva i luoghi solitari a quelli abitati eppure incontrava la gente. Chi oserebbe opporsi alla parola se la verità testimonia queste cose riguardo al nostro maestro poiché in queste virtù non è stato per nulla inferiore a Giovanni? Chi non si è accorto di quanto egli si sia opposto ad una vita trascorsa nel lusso e nella frivolezza? Chi non ha visto come in ogni circostanza abbia mantenuto un comportamento paziente e fermo, invece di lasciarsi andare ai piaceri; come affrontasse il dover stare esposto al sole o al gelo, come esercitasse il corpo  con digiuni e mortificazioni, vivendo nelle città come se si trovasse in un deserto (la frequentazione della gente non metteva a repentaglio la sua virtù), e rendendo le città  un deserto? Mentre viveva a contatto di tante persone,  non modificò il suo stile di vita cauto e immune da ogni male, né, nei momenti di solitudine, si separava da coloro che avrebbe potuto contare sul suo aiuto. In aggiunta a quanto ho riferito, a somiglianza del Battista, trasformava la solitudine in una città, poiché era assediato dall'afflusso della gente. Inoltre, che non sia stato per nulla una canna che si piegava con facilità alle opinioni contrarie, lo dimostra il fatto che sia sempre rimasto fermo in tutte le prove della vita. Dall'inizio della sua vita, volle distribuire i suoi beni; nel giudizio fu come una pietra inamovibile. Desiderava entrare in comunione con Dio mediante la sua purezza e questa sua brama era solida come una montagna non flessibile come una canna. Non si lasciava mai volgere verso il basso dalle tentazioni avverse. L'apostolo ci indica nel suo insegnamento quando l'amore che abbiamo per Dio sia davvero solido:  né vita, né morte, né presente, né futuro, né nessun'altra creatura possono separarci dall'amore per Dio (Rm 8,38). In tutte le circostanze nelle quali la sua virtù era messa alla prova, Basilio non si comportò mai come una canna né era incostante, ma sempre nel corso della sua esistenza rimase fisso in ciò che è bene. Giovanni parlò ad Erode con audacia e lo stesso fece Basilio con l'imperatore Valente. Confrontiamo tra loro le loro nobili azioni. La Palestina  per decreto dei Romani, era stata designata come una parte  del loro impero, la cui ampiezza era corrispondente quasi al corso del sole, poiché si estendeva dal regione della Persia fino alla Britannia e ai luoghi più remoti, bagnati dall'oceano. Giovanni parlò in modo aperto ad Erode affinché  non trasgredisse la legge per causa di una donna ma contenesse l'ardore del desiderio, poiché ciò che aveva fatto era vietato dalla legge. Con quale coraggio si comportò il nostro maestro nei confronti di Valente?  Volle che la fede rimanesse  intatta e senza macchia poiché se quello avesse permesso qualche deviazione, avrebbe contagiato tutto l'impero. Si ponga un confronto il giusto indagatore dei fatti la potenza con la potenza e lo scopo di quella libertà esercitata da Basilio con quella di Giovanni. Questi si opponeva ad un crimine che si limitava alla persona di Erode, mentre nel caso affrontato da Basilio, la deviazione dalla fede sarebbe diventata una colpa che riguardava tutta l'umanità. Il primo per la sua franchezza subì la morte, mentre costui affrontò l'esilio, come conseguenza della sua libertà di parola.  L'imperatore gli impose questa pena invece di una condanna a morte. Dopo la sua morte si credeva che il Battista fosse ancora in vita, mentre Basilio si vide condonare l'esilio da parte dei nemici visto che egli non aveva ammorbidito la sua opposizione, neppure in seguito alle minacce. 
Avrò l'ardire di dilatare così tanto il mio elogio al punto da proporre un confronto  con il grande Elia, fino a mostrare che il nostro maestro, con l'aiuto della grazia, ha avuto un comportamento simile a quello del profeta? Il viaggio sul carro di fuoco, la corsa dei cavalli di fuoco e il passaggio al mondo che sovrasta  la volta celeste, non è un prodigio che possa essere richiesto agli uomini. Del resto se egli rimase illeso nel fuoco, non lo fece in seguito alle sue possibilità.  Il corpo pesante e terreno veniva tramutato dalla potenza divina in qualche cosa di leggero, capace di essere sollevato in alto. Del resto aveva usato la sua parola come fosse una chiave che regolava l'approvvigionamento di cibo, aprendo il cielo quando lo voleva aprire e rinchiudendolo quando decideva di fare così. Quando era rimasto per lungo tempo senza prendere cibo, con l'alimento di un pane d'orzo nascosto sotto la cenere preservò la sua forza vitale per quaranta giorni. Lascio cadere anche questi fatti perché superano le possibilità umane. Le azioni che superano le nostre possibilità non possono essere imitate da noi. Non parlo neppure del vaso di creta che conteneva poca farina né dell'orcio dell'olio. Bastò alle necessità di ognuno in quella provvista di cibo e prolungò il dono di grazia per tutto il tempo della fame, per tre anni e sei mesi. I miracoli operati dalla potenza divina si mostrano efficaci proprio nelle opere che realizzano. Nessuno che li celebra può pensare che siano il risultato dell'operatività umana. 
Quali sono le virtù del nostro maestro, Basilio, che possono essere considerate altrettante valide di quelle che contempliamo nel profeta Elia? Lo zelo nella fede, lo sdegno verso i dispregiatori della fede, l'amore per Dio, il desiderio di comunione con Colui che è il vero essere, mentre non si volge a nessun bene materiale; una vita del tutto controllata, la parsimonia nel godere dei beni di sussistenza, lo sguardo rivolto all'intensità spirituale, un stile nobile senza affettazione, il ritenere che tacere sia meglio che parlare, l'attesa dei beni sperati, il disprezzo per i beni visibili; la medesima deferenza verso tutti, sia che si trattasse di persone altolocate, sia di persone umili e di nessun conto. Questi sono i tratti con i quali il maestro ha imitato le azioni prodigiose di Elia. Se qualcuno menziona i quaranta giorni d'astinenza, noi contrapponiamo la temperanza conservata lungo l'intero corso della vita. Nutrirsi in modo misurato ha lo stesso valore del digiunare, soprattutto quando una persona si astiene dal cibo per poco tempo, mentre l'altra vive con sobrietà per tutta la vita. L'orcio d'olio unito al pane cotto sotto la cenere ha preservato la salute del profeta, poiché manteneva intatta l'energia che era stata infusa da colui che offriva quel nutrimento. Lo documenta questo fatto: non ricevette quel cibo da altri uomini che l'avevano preparato per lui, ma gli fu offerto da un angelo. L'energia che penetrava nel suo corpo mediante quel tipo di nutrimento era intensa e continua. Basilio, invece, senza interrompere le sue abitudini, era sempre misurato nel cibo. Forniva al suo organismo non quella quantità alla quale l'avrebbe spinto l'istinto, ma quella che gli veniva permessa dalla legge dell'auto dominio. Il ministero sacerdotale di Basilio ha imitato il ministero sacerdotale del profeta, che aveva un significato prefigurativo. Questo lo scorgiamo nell'invito ripetuto tre volte (a versare dell'acqua), nel fuoco celeste caduto sopra il sacrificio. Abbiamo appreso dalla Scrittura che spesso il fuoco simboleggia la forza dello Spirito Santo. Il nostro maestro non allontanò né fece venire la carestia sulla terra. Un tempo il profeta, dopo aver punito la terra con il flagello della siccità, divenne il medico della ferita che aveva inferto ed offrì agli uomini un perdono risanante, paragonabile alla sofferenza che aveva inflitto con la punizione. Posso presentare, riguardo a Basilio, un prodigio simile a quello operato da Elia. Un tempo, dopo aver minacciato una prossima sventura che sarebbe sopraggiunta per volere divino (per tutto l'inverno era durata la siccità e sembrava che non si potesse più attendere il raccolto), il nostro maestro, postosi in ginocchio davanti a Dio, con le sue suppliche chiese il perdono divino, finché perdurò la paura di quella minaccia, e, mediante le sue preghiere, allontanò la sventura della siccità. In tempo di fame, il grande Elia confortò una vedova ma qualcosa di simile possiamo riscontralo nella vita del nostro maestro. Mentre una durissima carestia opprimeva la città nella quale viveva in quel momento, con tutta la regione circostante, vendette i suoi beni, e, dopo aver procurato degli alimenti con quel denaro, quando era un fatto straordinario che quelli più benestanti potessero apparecchiare una mensa per sé, egli provvide e nutrì, nel tempo della carestia, tutti quelli che accorrevano da ogni parte e la gioventù del popolo di quella città. Anche a tutti i bambini degli ebrei offrì la possibilità di godere della sua solidarietà. Non fa alcuna differenza che il comandamento di Dio sia osservato mediante un orcio o mediante un altro mezzo qualsiasi. La sollecitudine a favore dei miseri non consente di guardare alla loro provenienza ma presta attenzione soltanto alla necessità incombente. Che Elia sia stato sollevato in alto, questo è un evento mirabile, superiore ad ogni dire. Tuttavia non si deve sottovalutare un'altra forma di ascesa, che avviene quando un uomo, grazie al suo nobile comportamento, dalla terra si trasferisce in cielo, e, per mezzo dello Spirito, usa le virtù come un carro [che lo solleva in alto]. Chi vuole onorare il maestro, dopo averlo osservato con cura, riconoscerà che egli ha realizzato questo modo di ascesa. 
Devo spingermi a formulare un paragone anche con Samuele? Pur conoscendo a questo profeta delle qualità primarie fra tutti gli altri, ne presenterò due soltanto, attingendole da ciò che la Scrittura riporta a suo riguardo e poi mostrerò che esse erano presenti anche nel nostro maestro. Entrambi nacquero per un dono particolare di Dio. La madre ottenne di avere Samuele come figlio per averlo chiesto a Dio, mentre fu il padre ad ottenere la nascita di Basilio. Quest'ultimo infatti, mentre era in tenera età, fu colpito da una malattia mortale. Il padre, mentre dormiva, in una visione, vide che gli appariva il Signore, che nel Vangelo aveva guarito il figlio all'ufficiale del re e sentì che gli ripeteva lo stesso incoraggiamento che aveva rivolto a quello: Và pure, tuo figlio vive (Gv 4,50). Avendo imitato la fede di quell'ufficiale, ottenne anche lui lo stesso dono, frutto di fede. Considerò la salvezza del figlio come un dono particolare di Dio. 
Abbiamo messo a confronto questo unico prodigio con quelli che sono in relazione con Samuele. L'altro consiste nel fatto che entrambi hanno istituito il medesimo tipo di sacrificio. Entrambi offrirono a Dio sacrifici pacifici e hanno chiesto il dissolvimento dei nemici; Basilio ha chiesto la sparizione delle eresie, l'altro la sconfitta dei popoli stranieri. 
L'esempio migliore per gli uomini che vogliono imparare a vivere in modo virtuoso si trova nel grande Mosé. Non deve distogliersi da lui, chi ha deciso che l'acquisto della virtù di questo legislatore diventi lo scopo della sua vita. D'altra parte non si pensi che sia spinto da invidia se dichiaro che il nostro maestro, proprio in ciò che è diventato, ha imitato il legislatore. Dove possiamo scorgere questa imitazione? Una principessa d'Egitto, dopo aver adottato Mosé, lo fece istruire fornendogli l'educazione propria di quella famiglia. Permise anche che potesse nutrirsi con il latte materno, come è conveniente che avvenga ad un bambino per la sua alimentazione. 
In verità questo accadde anche a Basilio. Dopo essere stato istruito nella sapienza dei pagani, si volge al latte offerto dalla Chiesa, crescendo e fortificandosi grazie alla sua dottrina. In seguito Mosé ripudiò la parentela fasulla con la donna che non era sua madre. Neppure Basilio volle rimanere a lungo per imparare quello stile di vita poiché se ne vergognava. Rifiutando la gloria che avrebbe potuto conseguire con la scienza dei pagani, scelse una vita povera come se fosse un regno, come del resto Mosè aveva pensato che stare con gli ebrei era cosa migliore del possedere un tesoro. Ogni uomo segue la propria indole; la carne di ogni uomo manifesta desideri contrari a quelli dello spirito. Basilio conosceva bene il combattimento spirituale con l'Egitto che assale chi vuole purificarsi. Combattendo in accordo con la parte migliore di sé, faceva morire la parte carnale, che insorgeva contro l'ebreo interiore. Denomino ebreo la ragione che si purifica e si libera da ogni macchia. Chi combatte con l'anima per far morire le membra che appartengono alla terra, imita la nobiltà di Mosé. Conviene che trascuri tanti particolari del racconto per non appesantire l'ascoltatore. Cosa che accadrebbe se esaminassi con accuratezza tutto ciò che il testo biblico riferisce a riguardo di Mosé, perché   offre molti elementi di confronto tra il nostro maestro e il legislatore. Dopo aver ucciso un egiziano, Mosé abbandonò l'Egitto e trascorse molto tempo durante il quale conduceva una vita ritirata. Anche Basilio lasciò i tumulti della città e gli interessi materiali che suscitano grande attrazione, e stette ritirato coltivando la sapienza in comunione con Dio. Mosè fu illuminato dal fulgore di un roveto. Possiamo riferire di una visione del genere anche riguardo a Basilio: una notte, mentre pregava, una luce illuminò tutta la casa. Era una luce immateriale che inondava tutta la sua abitazione, che non era alimentata da nessun combustibile materiale. Mosé salvò il popolo liberandolo dal tiranno. Il popolo attesta che anche il nostro legislatore ha compiuto la stessa opera, poiché è stato guidato verso la promessa di Dio mediante il suo servizio sacerdotale. Non è affatto necessario dilungarci in dettagli per riferire a quante persone Egli fece attraversare le acque, quante ne illuminò con la colonna di fuoco della sua predicazione, quante ne protesse sotto la nube dello Spirito, quante nutrì con il cibo celeste. Fece rivivere l'evento della roccia, quando con il bastone fece in modo che essa aprisse la sua bocca e facesse scaturire l'acqua, ossia quando un segno prefigurativo della croce toccò quella bocca, diede da bere agli assetati con quell'acqua che era di un'abbonda smisurata, simile a quella di un abisso. Nei sobborghi della città fece innalzare una tenda della testimonianza, molto concreta, facendo in modo, con il suo nobile insegnamento, che i poveri nella vita divenissero poveri di spirito affinché potessero partecipare alla beatitudine della povertà nel vero regno, procurato dalla grazia. Con la sua parola rendeva ogni anima una vera tenda in cui Dio veniva ad abitare. Al suo interno innalzava delle colonne. Vedo in queste colonne un'immagine dei discorsi che rianimavano a riprendere una vita virtuosa. Le vasche servivano per detergere l'anima dalla sporcizia, per lavare ogni macchia con l'acqua delle lacrime che scendono dagli occhi. Quanta luce fece entrare nell'anima di ogni fedele, mettendo in luce con la sua parola le cose nascoste! Quanti incensieri e quanti altari edificò con le sue preghiere, con oro puro e integro, ossia con un sentimento formato dalla verità e dalla purezza, né mai il peso plumbeo della vanagloria oscurò la limpidezza dei suoi atti. Che devo dire della mistica arca che costruì per ognuno? Che dire delle tavole dell'alleanza, le quali, dopo essere state scritte con il dito di Dio, venivano incise nei cuori? Dico queste cose mentre penso a lui quando faceva del cuore di ogni fedele un'arca contenente i misteri dello Spirito, in cui era incisa la legge, come lo manifestavano le opere realizzate con l'aiuto dello Spirito (così si deve interpretare l'espressione dito di Dio). In essa si trovavano il bastone del sacerdozio sempre fecondo di frutti, che germinava grazie alla partecipazione ai riti di santificazione. Ricordo l'urna che mai era priva della manna. Il recipiente dell'anima diventa privo del cibo celeste, quando, a motivo della caduta nel peccato, impedisce la discesa della manna. La manna è il cibo del cielo. 
Che cosa debbo dire a proposito dell'accuratezza con cui rivestita l'abito sacerdotale e ornava gli altri con il suo esempio? Portava sempre sul petto l'ornamento, il cui nome è pettorale, decreto e verità. Affido agli esperti dei sensi allegorici adattare al maestro tutte queste denominazioni; grazie ad esse egli era ciò che era e comunicava agli altri le sua qualità. Spesso mi sono accorto che entrava nella caligine, dove Dio è presente. Ciò che agli altri rimaneva incomprensibile, a lui risultava facile grazie alla mistagogia dello Spirito. Per questo ho dedotto che egli stava nell'ambito della tenebra, là dove la parola di Dio viene comunicata. Spesso pose se stesso come baluardo contro gli Amaleciti, rivestito dell'armatura della preghiera. Mentre egli teneva le mani alzate nell'orazione, il vero Giosué, cioé Cristo, sbaragliava i nemici. Spesso dissolse le magie dei maghi che agivano come Balaam. Costoro non volevano ascoltare la verità, ma accoglievano l'insegnamento asinino del diavolo. Impediva alla loro bocca di pronunciare parole malvagie poiché la preghiera di questo nostro maestro tramutava le loro maledizioni in benedizioni. Parlo di queste cose in modo sintetico e abbreviato, ma chi ha conosciuto il santo mentre era in vita, saprà testimoniare che quanto affermo corrisponde alla verità dei fatti e richiamerà altri particolari. Gli uomini che tramano contro il prossimo e preparano venefici e incantesimi contro di lui, verificarono l'inefficacia dei loro tentativi criminosi, ostacolati dalla fede del maestro a portare a compimento il male che avevano progettato. 
Tralascio altri aspetti della loro esistenza per ricordare come entrambi siano morti. Hanno concluso la vita senza neppure lasciare un sepolcro che ricordasse la loro figura terrena. Quanto a Mosé non si poté ritrovare la sua sepoltura né questi fu tumulato con sfarzo mondano. Non appena morì, disparvero con lui tutti gli artifici con i quali si cerca di dare consistenza alla vita umana. Non si trova alcun monumento materiale edificato dallo zelo degli eredi perché venisse esaltato al meglio. Del resto la storia tramanda, riguardo a Mosé, che fino al presente non è stato possibile trovare la sua sepoltura. 
Se sono riuscito a mostrare che il grande Basilio è stato così significativo da poter essere posto, per la sua vita, alla pari dei santi, - dal momento che l'ho messo a confronto con ognuno di questi grandi uomini -, allora è giusto che il succedersi ordinato delle celebrazioni offra la possibilità di ricordarlo ora, nella festività presente. Allora mentre celebriamo questa festa, ci chiediamo in quali modi onoreremo questo santo e lo ringrazieremo. Forse qualcuno si aspetterà che esponga un discorso come quelli che vengono fatti per dimostrare qualche tesi, così da ricevere riconoscimenti ambiti dal vanaglorioso? Dovrei dire che era nato in una regione importante, da una stirpe illustre, che poteva contare sulla formazione ricevuta dai genitori e su altre discipline che preparano alla vita in ogni campo, grazie alle quelli era cresciuto e fiorito e per le quali avrebbe potuto essere famoso e celebre tra gli uomini? 
Ma egli, per la grandezza delle sua virtù, ben visibili in lui, non ha cercato la rinomanza che rende tronfi ma ha mirato ad ottenere ben altri risultati. I discorsi retorici non offrono alcun vero risultato pari a quello che è possibile ottenere mediante l'acquisizione delle virtù, proprio a motivo della loro dignità. Non voglio allora né diminuire la sua statura morale facendo un discorso moralmente misero, né che qualcuno, lasciandosi trascinare da coloro che vogliono che venga celebrato con un'orazione pomposa, finisca col compromettere il vero valore della sua personalità. Caso mai, sarebbero preferibile  che restassimo in silenzio e lo ammirassimo nel nostro ricordo, piuttosto che dissolvere la sua grandezza con elogi dissonanti dal suo stile. 
Quando mai chi ha detto che egli era davvero un grande, lo ha reso ancora più nobile? Basilio ha apprezzato quella che, secondo un criterio mondano, viene considerata una nascita fortunata? Qualcuno ha visto che egli era amante delle cose terrene o non è vero piuttosto che le detestava, sempre cercando di allontanarle dai suoi pensieri come se fossero delle catene, agendo come uno schiavo che è riuscito a fuggire? Attraverso la penitenza e il dominio di se stesso, puniva e mortificava il corpo, come fosse uno schiavo indisciplinato, alla stregua di un padrone inflessibile che non offre alcuna tregua al suo prigioniero. Sarebbe assurdo allora elogiare con discorsi carnali l'uomo che aveva questo atteggiamento verso la carne. Come potremmo onorarlo in modo degno se usassimo quei mezzi che egli aveva rifiutato nel corso della vita? Perciò adesso non faremo alcuna menzione della sua patria e della sua stirpe alle quali apparteneva. Egli si era collocato al disopra della realtà del mondo, si sentiva oppresso dalla materialità delle cose, non sopportava neppure il cielo che gravava su di lui. Aveva inviato la sua anima al di sopra di tutto e come se stesse ricurvo sopra la vastità del mondo sensibile, sempre coi pensieri andava penetrando e si stabiliva nelle regioni celesti tra le potenze divine. La  pesantezza del corpo non impediva il viaggio del suo spirito. Come si potrebbe onoralo usando qualche elemento della terra e celebrarlo servendosi delle abilità di questo luogo? Sarebbe un insulto e una corrosione del vero elogio. Invece di ammirare la sua virtù, ci metteremmo a guardare l'acqua, le foglie, i terreni e altre cose simili. è un vero bene ciò che è frutto della libera scelta, sebbene possa essere attraente. Tutte le altre qualità, distinte dal bene, per quanto potremo richiamarne, non contribuirebbe a descrivere la sua statura morale. Allora non parliamo mai né della patria, né della stirpe e di tutte le altre caratteristiche che riceviamo a caso. Piuttosto dovremo parlare di quella patria e di quella nobiltà che si procurano gli uomini che si propongono di ottenerla con lo sforzo della loro volontà. 
In che cosa consistette la vera nobiltà di Basilio e quale fu la sua vera patria? La sua condizione nobiliare la riponeva nella familiarità con Dio e la sua patria era la virtù. Chi accoglie Dio, insegna il Vangelo, ha la possibilità di diventare figlio di Dio. Che cosa c'è di più nobile da desiderare della stessa parentela con Dio?  Chi vive nella virtù e coltiva questo campo e da esso guadagna, fa la sua patria ciò di cui vive. La sua casa era la saggezza e il suo guadagno la sapienza. Gli ornamenti splendidi e ammirati per la loro bellezza del suo palazzo, erano la giustizia, la virtù e la purezza. Abitando in esse, ne godeva molto di più di quanto possono fare gli uomini che si gloriano di palazzi rivestiti di marmi e di oro. Chi lo loderà per questa patria, e lo considererà nobile per questa parentela, dirà la verità e lo celebrerà per delle cose che gli erano gradite. La terra, il sangue e la carne, la ricchezza e le cariche e tutto ciò che è compreso in questi beni, li apprezzino chi lo vorrà fare per dilettare gli amici del mondo. Se non possiamo onorarlo componendo un discorso retorico (perché non sarebbe idoneo ad un uomo del genere) allora è preferibile abbandonare questi tentativi e ricusare le tecniche dell'arte oratoria. Se non pronunciamo un discorso di questo tipo, obietterà qualcuno, come potremo onorarlo in modo degno? Rischiamo di disobbedire alla Scrittura la quale chiede che la memoria dei giusti sia celebrata e dovremo farlo componendo un discorso infarcito di lodi, perché sarebbe ignominioso produrlo attraverso parole ordinarie. 
Ci viene in aiuto, però, una soluzione affinché non lo lasciamo del tutto privo della nostra riconoscenza. In che cosa consiste questa soluzione? Tutti sappiamo che un qualsiasi discorso privo delle opere, risulta vano e inconsistente. Le opere buone manifestano la verità e la concretezza di un discorso.  Una proposta concretizzata nei fatti è più apprezzabile di un intento che rimane soltanto a livello di parole. In che cosa consiste questo discorso? Nel fatto che il ricordo di lui rende la nostra vita migliore del consueto. Nell'anello che portiamo al dito appare incisa una figura molto bella e chi la imprime nella cera al modo di un sigillo trasferisce in essa la bellezza racchiusa nell'intaglio. Nella riproduzione appare la figura dell'anello. Usando delle parole, nessuno potrebbe riprodurre la bellezza splendida del sigillo soltanto descrivendola, nella misura in cui lo può fare chi invece mostra incisa sullo strato di cera la forma che ha voluto trasporre. Allo stesso modo un uomo può celebrare soltanto a parole la virtù del maestro, ma chi invece la riproduce nella sua bellezza nella propria esistenza, per mezzo dell'imitazione, l'elogio inciso nel suo comportamento risulta molto più persuasivo di quello ottenuto dal discorso più elevato. 
Fratelli, diventiamo allora imitatori della sapienza di questo uomo saggio; così facendo innalzeremo una lode alla virtù e facendo nostre tutte le altre qualità, partecipando alla sua saggezza, realizzeremo quella meraviglia costituita dall'uomo sapiente. Elogeremo la sua sobrietà nel diventare anche noi sobri nell'uso dei beni. Quanto al disprezzo del mondo, non diciamo soltanto a parole che esso è lodevole e glorioso,  ma l'esistenza stessa diventa testimone del rifiuto del mondo attuato con premura. Non limitarsi ad apprezzare il fatto che egli si era dato a Dio ma anche tu offri te stesso a Dio. Non dire che soltanto lui ha potuto partecipare al riposo al quale  tutti speriamo, ma anche tu procurati questo tesoro come ha fatto lui. E' infatti un traguardo possibile! Se egli trasferì la sua cittadinanza dalla terra al cielo, trasferiscila anche tu. Proprio per aver avuto quel maestro sarà un discepolo ben preparato. Anche nelle altre materie, chi ha appreso  l'arte da un bravo medico, o geometra o retore, non sarà considerato affidabile quando elogia l'insegnamento del maestro, se, mentre a parole si congratula con la sua guida, nel suo agire non appare degno di quell'uomo così meraviglioso. Gli dirà qualcuno: perché affermi che il tuo maestro era un bravo medico dal momento che non sembri affatto un esperto? Come fai a vantarti di aver appreso il mestiere da quel geometra, se non lo eserciti bene? Chi, al contrario, mostra di praticare bene l'insegnamento appreso, grazie al suo sapere, rende un buon servizio anche a chi gli ha trasmesso quell'arte. Noi ci gloriamo di aver avuto Basilio come maestro, mostriamo allora nelle opere della vita di aver imparato bene, diventiamo come era lui, facciamo ciò che egli fece di valido e di grande presso Dio  gli uomini, in Cristo Gesù nostro Signore, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen. 

[traduzione di V. Bonato 


da PG 46, 749-817]

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