martedì 14 febbraio 2023

Amore per il nemico


I desideri dello Spirito conducono alla vita e alla pace. L’uomo spirituale, allora, è una persona gioiosa, pacifica, umile. Paolo si attende che i suoi cristiani siano dotati di amabilità (Fil 4,5). Del resto, 

«Non c’è atteggiamento che tanto edifichi il prossimo, quanto la benignità nel trattare con lui. Nello sguardo sorridente e nella delicatezza dei gesti, dobbiamo portare l'immagine espressa della benignità di Gesù Cristo. Se siamo costretti a negare quel che non è lecito concedere senza offesa della coscienza, dobbiamo mostrarci così benigni, che gli altri, sebbene non è questo che volessero in un primo tempo, si allontanino contenti, provando affetto per noi» (de Liguori, Pratica, 81-82). 

L’amabilità viene riversata, spontaneamente, sui poveri, sugli ammalati, sulle persone irritanti ed indisponenti. 

Nella benevolenza, si fa strada l’amore per i nemici. Gesù ci ha dato questo comando paradossale, esclusivo del Vangelo. Questo comando rende evidente che la proposta di Gesù non è soltanto etica ma teologica. Che cosa voglio dire con questo? Egli non chiede soltanto al discepolo di vivere con rettitudine ed onestà ma di divenire un imitatore dell’amore di Dio, di agire com un figlio. Egli dovrà comportarsi meglio dei pagani più onesti. C’è un di più da sperimentare ed offrire. Non si tratta di dare spettacolo di sé ma di mostrare la luce divina infusa in noi come dono. Non si deve amare per qualche strategia: ad esempio, mostrarsi remissivi per persuadere il nemico a rinunciare alla violenza. Anche questo è utile ma il discepolo ama perché non riesce più ad odiare. È divenuto un altro; in lui traspare un amare che viene da altrove, dal cielo. 

«Colui che ha fatto esperienza dell’amore [nello Spirito], quand'anche fosse insultato o danneggiato in mille modi, non si irrita affatto contro il colpevole, anzi la sua anima resta come aderente all’anima di chi lo ha insultato o danneggiato. E questo non gli viene più da un poco di volontà, ma per lui una tale disposizione è diventata un abito, a motivo della sua forte esperienza dell’amore di Dio» (Diadoco di Foticea, Opere Spirituali, 91 pp. 241-243)

La stessa attestazione viene offerta anche da Teresa d’Avila: 

[La persona maturata nell’amore] se viene perseguitata, non solo non prova il minimo risentimento per quelli che le fanno o le vogliono fare del male, ma li circonda di maggiori attenzioni; e se li vede in qualche travaglio, ne rimane teneramente afflitta, sino ad essere disposta a far di tutto per sollevarli. Li raccomanda istantaneamente al Signore, e rinuncerebbe volentieri ad alcune delle sue grazie affinché Dio le concedesse a loro, ed essi non l’offendessero più (Teresa d’Avila, Castello interiore, VII,3,5 Tutte le opere 950). 

Teresa non sta comunicando ciò che si propone di fare né ciò che intende suggerire ad altri. Mostra ciò che ormai è emerso in lei e ciò che ormai è diventata. Nella piena maturazione, il cristiano non è più uno che si sottomette alla Parola di Dio, lottando contro se stesso, ma è una persona che è diventata quella parola, perché la compassione, il perdono, la disponibilità al servizio diventano un modo di sentire e di vivere spontaneo. 

Lo attesta anche Silvano del Monte Athos. Egli non è un teorico ma un testimone ed attesta più volte di aver conosciuto, nel senso di avere sperimentato, la grazia di Dio o l'azione dello Spirito Santo: «È molto diverso credere soltanto che Dio esiste, averne una conoscenza che deriva dalla natura o dalle Scritture, e conoscere il Signore nello Spirito Santo» (Nostalgia…, 63). 

La vita del cristiano, infatti, riceve una svolta fondamentale quando comincia ad affiorare in lui la carità, un sentimento di compassione universale, rivolta a qualsiasi tipo di disagio, fisico e morale. In una parola, lo Spirito Santo rende il credente simile al Signore: «Chi ha conosciuto Dio nello Spirito Santo assomiglia al proprio maestro, Cristo Figlio di Dio, e gli è diventato simile» (Nostalgia..., 63).

Lo Spirito Santo insegna particolarmente l'amore per i nemici. Silvano insiste molto su questo elemento: 

«L'anima non può avere pace se non pregherà per i nemici. Il Signore mi ha insegnato ad amare i nemici. Senza la grazia di Dio non possiamo amare i nemici, ma lo Spirito Santo insegna l'amore e allora avremo compassione perfino dei demoni, perché si sono staccati dal bene, hanno perso l'umiltà e l'amore per Dio» (Nostalgia..., 144). 

Questo sentimento non sorgerà all’improvviso ma sarà l’esito di un lungo tirocinio: 

«All'inizio costringi il tuo cuore ad amare i nemici e il Signore, vedendo le tue buone intenzioni, ci aiuterà in tutto e l'esperienza stessa ti istruirà. Ma chi pensa male dei nemici, in lui non c'è amore di Dio né l'ha mai conosciuto» (Nostalgia..., 144).

Il perdono e l’amore ai nemici non si oppone alla ricerca della giustizia e alla lotta per una società più giusta. «Amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale. Al contrario, il modo buono di amarlo è cercare in vari modi di farlo smettere di opprimere, è togliergli quel potere che non sa usare e che lo deforma come essere umano. Perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui, o lasciare che un criminale continui a delinquere. Chi patisce ingiustizia deve difendere con forza i diritti suoi e della sua famiglia, proprio perché deve custodire la dignità che gli è stata data, una dignità che Dio ama. Se un delinquente ha fatto del male a me o a uno dei miei cari, nulla mi vieta di esigere giustizia e di adoperarmi affinché quella persona – o qualunque altra – non mi danneggi di nuovo né faccia lo stesso contro altri. Mi spetta farlo, e il perdono non solo non annulla questa necessità bensì la richiede» (Fratelli tutti, 241). Chi perdona decide di non continuare a inoculare nella società la stessa forza distruttiva che li ha colpiti; cerca la giustizia per amore di essa non come sfogo d’ira; la cerca per prevenire nuovi crimini, per rispetto delle vittime. 


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