giovedì 23 febbraio 2023

Peccato originale?

L'origine del male

di Bernard Sesboue'



Il peso della condizione umana

Ritorniamo per un istante a quanto vediamo tutti i giorni. Siamo di fronte, in effetti, ad una serie di divisioni, di 'alienazioni' insuperabili. La prima è l'alienazione tra l'uomo e la natura legata al problema della morte. Questa, infatti, non è un semplice evento biologico, bensì un evento umano, vissuto come lo scacco finale di ogni esistenza. La seconda è la divisione degli uomini tra loro nelle diverse espressioni della vita: quella della sessualità e della famiglia, quella del lavoro e della vita economica, e infine quella della vita politica. La divisione si produce a tutti i livelli della società umana; locale, nazionale e internazionale. Più radicalmente ancora, gli uomini fanno l'esperienza di una divisione all'interno di se stessi, e si sentono scissi dall'assoluto che desiderano con tutte le loro forze, quale che sia la rappresentazione che ne danno: assoluto della felicità, assoluto della vita, assoluto dell'amore.

In questa situazione uomini e donne fanno l'esperienza di una solidarietà misteriosa, nella quale ciascuno è insieme vittima e colpevole. Vittima, perché entra in un mondo già contrassegnato da questi malefici oggettivi che si abbatteranno su di lui - il male ci precede sempre. Colpevole, perché egli ne diventa immediatamente complice e aggiunge poco o tanto a questo peso globale dell'infelicità umana. Nessuno ha inventato il male, nessuno lo inizia, ma tutti lo ricominciano.

Per ciascuno di noi, nella propria esistenza, questo fenomeno è 'originale', perché è in questa società marchiata da questi malefici, che ciascuno emerge a se stesso. Ma questo fenomeno è anche il frutto; oggettivato, il risultato cristallizzato di un gioco di libertà nel quale ciascuno ha la sua parte di responsabilità. All'interno di questa solidarietà degli esseri umani nella alienazione, nel male e nella violenza, noi facciamo l'esperienza della 'solidarietà delle libertà'.

Questa solidarietà nella complicità interessa le culture umane e il loro linguaggio, in particolare sotto la forma della menzogna. Ogni mentalità, ogni cultura veicola un certo stato di costumi, una serie di giudizi di valore che contengono dei punti ciechi e delle deformazioni. Nessuna cultura è innocente. Tutte hanno i loro pregiudizi e i loro controvalori. «Il male fa parte della connessione interumana, scrive Paul Ricoeur, come il linguaggio, come l'utensile, come l'istituzione» (P. Ricoeur, Finitudine e colpa, II Mulino, Bologna 1970, 525).

L'educazione, luogo per eccellenza della trasmissione del linguaggio, è, anch'essa, abitata dal male. Ciascuna generazione trasmette alla successiva i suoi pregiudizi, i suoi complessi, i suoi giudizi falsi e i suoi squilibri.

Il male viene, dunque, in ampia misura 'trasmesso'. È tradizione e non soltanto affare di ciascuno. Questa solidarietà culturale e storica è indissociabile dalla solidarietà biologica e umana della successione delle generazioni. Da questo stato di cose nessuno si può considerare indenne. Noi constatiamo che il peccato è contagioso. I cattivi esempi vengono subito imitati. Non si pecca mai, quindi, soltanto per se stessi. Mai si pecca senza conseguenze per gli altri.


Il peccato del mondo come peccato originale

È questa situazione 'originale' per ciascuno di noi che la fede cristiana chiama 'peccato originale'. Ma qui bisogna subito eliminare una confusione che si fa troppo spesso a proposito di questa espressione. Essa evoca spontaneamente nelle nostre menti il peccato di Adamo narrato nelle prime pagine della Bibbia. L'essenziale viene allora situato in questo misterioso peccato delle origini, considerato come la rivelazione di una maledizione iniziale che si abbatte sull'umanità. Tutti vengono arbitrariamente inclusi in un peccato iniziale con il quale non hanno nulla a che vedere, cosa che appare scandalosa e ingiusta. Ora, il racconto del peccato delle origini, anche se è collocato all'inizio della Bibbia, è il frutto di una interpretazione seconda. Esso ha lo scopo di rendere conto dell'origine e della radicalità della situazione globalmente peccaminosa dell'umanità. È possibile raggiungerla soltanto all'ultimo, al termine dell'ultimo perché. Questo cambia tutta la prospettiva. Avanziamo dunque passo per passo.

Di fatto, nella tradizione cristiana, l'espressione 'peccato originale' si riferisce in primo luogo e soprattutto alla situazione globale dell'umanità. Essa costituisce l'interpretazione, alla luce della rivelazione, di ciò che abbiamo appena descritto e in seno al quale ciascuno di noi si trova ad essere insieme vittima e colpevole, in maniera indissociabile.

Il Vaticano II ha opportunamente sottolineato che, in questa materia, «quanto la divina rivelazione ci fa conoscere concorda con la nostra esperienza» (Vaticano II, Costituzione Gaudium et Spes, su La Chiesa nel mondo contemporaneo, 13).

Dobbiamo quindi verificare la legittimità di questa corrispondenza tra la nostra esperienza e la parola della rivelazione. Quello che la nostra esperienza chiama male degli uomini e colpe umane, la rivelazione lo chiama peccato, nel senso di uno stato generale di peccato. Con questo termine essa vuole dire che nella condizione umana attuale c'è qualche cosa che si oppone a Dio e al suo disegno sull'umanità. Il termine colpa, infatti, si riferisce al giudizio degli esseri umani sulla loro attività nei confronti di se stessi e degli altri. Il termine peccato, invece, include la relazione con Dio. È un modo per dire che il mondo come lo ha voluto e creato Dio era diverso da questo stato.

Ma questa interpretazione radicalizza l'oggetto della nostra esperienza e va ancora più avanti di essa. Ci dice che non soltanto questo peccato ci riguarda collettivamente, ma anche in maniera universale. In altre parole, questo peccato è presente sempre e dappertutto. Coinvolge ciascuno e tutti. Nessuno può pretendere di sfuggirvi. Il bambino che nasce in questo mondo ne subisce dapprima passivamente il contagio. Ma noi constatiamo ben presto nel suo comportamento che, più cresce, più ratifica la cosa. Una madre di famiglia, uscita con difficoltà dai suoi problemi di adolescenza, aveva fatto di tutto per dare a suo figlio un'educazione quanto più possibile armoniosa e pacifica. Il figlio non aveva raggiunto ancora l'adolescenza che davanti al suo comportamento la madre diceva: «Ecco, siamo daccapo!». Sì, siamo sempre daccapo, di generazione in generazione. È all'opera un maleficio, come un virus che non si riesce ne a identificare ne a distruggere. Ciascuno di noi nasce sotto questo segno senza poter riconoscere un momento decisivo di inizio di questo stato.

È proprio questo stato che san Paolo descrive in una lunga diatriba piena dì afflato all'inizio della sua epistola ai Romani. Per lui: "Giudei e Greci, tutti sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: Non c'è nessun giusto, nemmeno uno. [...] Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" (Rom 3,9-10.23).

Ma egli non osa pronunciare una simile accusa se non per annunciare il vangelo della salvezza e della giustificazione mediante la fede in Gesù Cristo.

Questo stato è anche oggetto di una esperienza profondamente personale, come abbiamo visto. In un primo tempo noi abbiado? la tendenza a dire che sono gli altri ad essere peccatori, ma non noi, come due ubriachi che sono perfettamente d'accordo sul fatto che «il mondo è malvagio», ma si mettono tutti e due inconsciamente fuori discussione. Ciascuno, se è onesto, si sente parte attiva nell'esperienza del male e del peccato. La domanda dovrebbe essere piuttosto questa: «Sono sicuro che tutti gli altri sono come me?».

È stata posta, tra teologi, la questione se l'applicazione di questo termine di 'peccato' ad una situazione di fatto e a una solidarietà oggettiva, che trascende gli atti propriamente peccaminosi di ciascuno, sia stata felice. Questo vocabolario è occidentale e risale a sant'Agostino. La tradizione della chiesa antica di lingua greca preferiva altre parole per esprimere la stessa cosa: morte, corruzione, ferita dell'immagine di Dio in noi. Il termine di peccato può, in effetti, prestarsi a confusione, nella misura in cui si riferisce ad una situazione generale e non ad un atto personale. Esso appare del tutto fuori posto anche quando si riferisce alla solidarietà passiva del bambino, per il semplice fatto che egli appartiene all'umanità, prima che abbia potuto commettere un qualsiasi peccato personale. Si parla spesso anche di 'peccato del mondo', espressione più moderna e senza dubbio più incisiva. Ma siccome non è dato legiferare sull'uso dei termini e poiché l'espressione 'peccato originale' è diffusa dappertutto nella nostra cultura e spesso ripresa per designare situazioni viziate alla base, siamo costretti a tenercela. La sola soluzione è di chiarirne il significato.


L'origine della condizione peccaminosa dell'uomo

Possiamo fermarci qui, e dire semplicemente che il preliminare del 'peccato del mondo' costituisce per ciascuno il peccato delle origini? C'è chi lo vorrebbe. Ma i perché ritornano. Perché questo peccato del mondo? Perché questo orientamento universale dell'umanità? L'umanità sarebbe forse uscita così come è dalle mani di Dio? Perché il mondo è così, e perché noi, esseri umani, siamo attraversati da questa contraddizione che ci spinge a fare il male, mentre desideriamo il bene? Perché viviamo sotto il regime di una sregolatezza dei nostri desideri che non siamo in grado di dominare? Se fosse davvero così, Dio diventerebbe il grande colpevole della lunga tragedia della storia umana. È proprio questo il punto più difficile, quello verso il quale irresistibilmente risale il nostro perché.

Possiamo dire che noi siamo così «per costruzione creatrice"? Che il male è una situazione inevitabilmente inaugurale in un mondo in crescita e in progresso? In qualsiasi creazione, per ipotesi limitata e 'non Dio', c'è sempre del 'non bene'. Per esempio, si dirà, la morte è un dato biologico ineluttabile, «Tutto ciò che nasce, muore»: Tertulliano lo aveva già osservato nel in secolo. Perché stupirci, allora, del fatto che questa legge universale si applichi a quel vivente che è l'essere umano, anche se questa morte è dolorosa? È seducente, in realtà, mettere il problema del male sul conto di una 'fìnitudine' creata: sul conto, cioè, del carattere finito e limita-to della creatura. Questo fu un tempo il voto di Teiihard de Chardin, consapevole dell'ostacolo alla fede che per molti poteva rappresentare la presentazione classica del peccato originale. Ma si rese conto lui stesso che una tale interpretazione era insufficiente e che l'eccesso' del male non poteva spiegarsi senza l'ipotesi di una responsabilità radicale. Una tale interpretazione metterebbe gravemente in causa l'immagine stessa di Dio. Infatti se fosse così, Dio sarebbe colui che ha messo in moto volontariamente il nostro mondo con il suo peso infinito di male e di peccato. Dio sarebbe così l'autore del male.

Bisogna cercare ancora, quindi, perché la mente dell'uomo non può fermarsi a metà strada. Egli è spinto da un bisogno incoercibile di risalire all'origine, vale a dire al perché originale della situazione di peccato in cui si trova l'umanità. È quanto ha fatto la Bibbia in un movimento incontenibile verso l'inizio assoluto. La creazione del popolo d'Israele non le basta più. Bisogna che giunga fino alla creazione del mondo e riesca a spiegare perché il nostro mondo è fatto così. È per questo che si parla di racconti 'eziologici', vale a dire racconti che spiegano cosa spetta a Dio e cosa spetta all'uomo nella nostra situazione.

Il peccato è universale, vale a dire dovunque e sempre. Per arrivare alla ragione di questa universalità, bisogna per forza risalire all'origine. Il sempre vuole dire da sempre, fin dall'inizio. Ma l'origine non può essere direttamente raggiunta dal sapere umano. Bisogna dunque esprimerla sotto forma di un racconto ideato. Come abbiamo fatto per il racconto della creazione, risaliamo dunque a quello della caduta.


Il racconto della Genesi

I primi capitoli della Genesi hanno appunto lo scopo di spiegarci perché le cose stanno come stanno e non altrimenti. Essi distinguono formalmente due origini nel mondo. La prima è totalmente buona, è l'attività di un Dio buono che ha creato un mondo di paradiso nel quale, sulla brezza della sera, egli viene a conversare con A-damo. Questo 'bene originale' è più antico del 'peccato originale'. La seconda è malvagia, viene dall'uomo Adamo, il quale, ingannato da un genio del male, simboleggiato dal serpente, infrange l'interdetto dato da Dio. È notevole che una forma misteriosa del male sia già presente, anteriore alla decisione di Adamo. L'uomo non ha quindi inventato assolutamente il male, egli ha lasciato, in qualche modo, che esso invadesse l'umanità. Ha aperto una^breccia in una diga protettrice: tale è, perlomeno, l'interpretazione di san Paolo (Rom 5,12). Secondo il testo, non è Dio la causa del male, è un atto di libertà fondamentale dell'uomo.

Ma la rappresentazione simbolica della caduta di Adamo nel paradiso significa che l'atto isolato del primo uomo empirico è la causa pura e semplice che rinchiude tutta l'umanità nel peccato? O invece esprime in maniera simbolica l'inizio di questo stesso peccato?

Per interpretare in maniera giusta l'episodio della caduta di Adamo, bisogna rinunciare una volta per tutte ad un Adamo empirico, situato in qualche parte della lunga risalita dell'evoluzione. L'identificazione ingenua e spontanea dell'Adamo 'teologico', vale a dire dell'uomo rappresentato nella Genesi, e di un Adamo ipotetico situato sulla catena del-l'evoluzione è un grave errore che non si è stati capaci di evitare. L'Adamo teologico è una figura dell'insieme dell'umanità. Egli ha la funzione di rappresentarci ciò che non è rappresentabile, vale a dire un atto misterioso di libertà mediante il quale tale libertà si rifiuta radicalmente a Dio.

Le interpretazioni date dai Padri della chiesa sono a questo proposito estremamente interessanti. Essi hanno detto che ciascun uomo è in qualche modo Adamo per se stesso, nel senso che se si fosse trovato al posto di Adamo avrebbe fatto la Stessa cosa. Ciascun uomo che ricomincia a peccare, in certo qual modo comincia. Anche la tradizione spirituale ha fatto meditare al cristiano il peccato di Adamo come ciò che abita nel più profondo del suo proprio peccato. Tuttavia, questa riflessione non spiega tutto. Il 'prima' del peccato di Adamo non è simile al mio 'prima'. Adamo non ratifica una qualsiasi anteriorità del peccato umano.

Un'altra interpretazione considera Adamo come una 'personalità corporativa', secondo uno schema della tradizione ebraica. Ogni tribù antica - e molti gruppi moderni - ha il suo eroe 'eponimo'9, vale a dire un fondatore designato il cui nome diventa quello del gruppo e lo rappresenta simbolicamente nella sua totalità. Quanti uomini politici si trovano alla testa di un raggruppamento che porta il loro nome? L'eroe 'eponimo' dell'umanità è Adamo, il cui nome significa uomo e diventa il nome di tutti noi. Nel peccato di Adamo è il peccato di tutta l'umanità solidale che viene simboleggiato, in quanto radicalmente responsabile della situazione presente che le è propria,

A questa duplice luce si può dunque dire che il peccato di Adamo è l'espressione immaginifica e simbolica di un evento misterioso di libertà mediante il quale l'umanità rifiuta il dono di Dio e si orienta contro di lui. Come si esprime l'esegeta Pierre Grelot, «in queste condizioni, il peccato di Adamo diventa tutto insieme la figura del dramma umano nella sua generalità e la rappresentazione simbolica dell'evento originario che ne costituì il punto di partenza.

Il peccato del mondo, come abbiamo visto, è inoltre un peccato indotto. La figura di Adamo ci permette di risalire al peccato induttore. Ma quel peccato è induttore per il fatto che noi lo ratifichiamo tutti, non dimentichiamolo mai. San Paolo lo sottolinea: il peccato si è trasmesso «perché tutti hanno peccato» (Rom 5,12). Noi non possiamo mai isolare lo stato ricevuto dal peccato che a nostra volta abbiamo contratto liberamente. Questa origine non è possibile rappresentarcela, tuttavia noi possiamo parlarne solo attraverso rappresentazioni. Ma non possiamo andare oltre, perché il peccato è un mistero opaco. Non soltanto non possiamo raggiungere la forma empirica di un tale atto, ma non possiamo neanche spiegarlo razionalizzandolo, tentazione, questa, che la filosofia ha sempre avuto. Il filosofo Gaston Fessard (1897-1978) diceva una volta che, ponendo questa domanda, noi non sappiamo cosa domandiamo, pur domandando una cosa che sappiamo. Ciò perché noi abbiamo tutti l'esperienza di aver commesso un atto peccaminoso, che è frutto incontestabile della nostra libertà e che noi non possiamo assolutamente giustificare.

P. Grelot, Péché originel et rédemption a partir de l'Épitre aux Romains, Desclce, Paris 1973, 147.

Di quale peccato si tratta?

Quale fu la natura di questo peccato, cioè il suo senso profondo? Anche a questo proposito la Genesi ci dice l'essenziale. Il peccato si presenta come una disobbedienza ad un comandamento molto preciso di Dio. Ma c'è molto di più che una semplice disobbedienza. Tutto sta nella motivazione, vale a dire nel desiderio del-l'uomo di diventare come Dio mediante la propria forza. Quello che era appunto il progetto di Dio per un uomo creato «a sua immagine e somiglianza», nel modo del dono gratuito, diventa oggetto di una conquista. La vocazione dell'uomo a comunicare con Dio è diventata una tentazione. Questa disobbedienza si basa su una idea falsa di Dio, espressa nel testo sotto la forma della tentazione per eccellenza. Dio è considerato come un rivale, come colui che proibisce, insomma un Dio di cui è urgente sbarazzarsi, per riprendersi la propria libertà e costruirsi con le proprie mani. Il concilio Vaticano II interpreta così le cose: «L'uomo, lasciandosi convincere dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio».

Questo atteggiamento può assumere più nomi: rifiutare di rendere gloria a Dio e di conoscerlo (san Paolo), orgoglio assoluto e egoismo (sant'Agostino), incredulità e diffidenza.


Chi è il Maligno?

Abbiamo parlato poco fa della presenza di un tentatore accanto ad Adamo, cioè la rappresentazione di un'anteriorità del male in rapporto al nostro mondo visibile. L'ultimo testo del Vaticano II che abbiamo citato parla del 'Maligno', termine di cui conosciamo gli equivalenti: l'avversario, il diavolo, il demonio, Satana, ed è molto presente nella liturgia e nella catechesi cristiane. Che se ne deve pensare? Si tratta di un'esistenza personale? Qual è il suo rapporto con Dio?

Dio è detto creatore del mondo visibile e di un mondo invisibile, sul quale l'insegnamento biblico è estremamente discreto. Per ipotesi, questo mondo invisibile è un mondo di esseri puramente spirituali, chiamati angeli. Anch'essi sono stati creati buoni, come Adamo. Come quella di Adamo, la loro libertà è stata messa alla prova. Tuttavia, la loro libertà non si realizza come la nostra attraverso la durata. La loro risposta, in piena lucidità, fu dunque la risposta di un sì o di un no, non soltanto iniziale, ma permanente. Sarebbe questa l'origine dei demoni. Il significato primo di questo 'racconto' ci dice che non c'è un principio del male eterno e antagonista al mistero di Dio.

Il o i demoni sono delle 'persone? La risposta non può essere che contraddittoria. Infatti, il no permanente a Dio decostruisce colui che era una persona e gli toglie qualsiasi unità e coerenza. «È un errore chiedersi se Satana sia una persona; ed è di nuovo un errore rispondere che egli certamente non è un essere personale. È un essere che non ha consistenza in se stesso, perché è l'atto di dire no che disfa tutto e ' se stesso. Come un forsennato che si affermasse uccidendo tutti gli altri se lo potesse, e finisse per uccidere se stesso».


Le conseguenze del peccato

II racconto del peccato delle origini ce ne mostra subito le conseguenze. Si tratta di una serie di divisioni a catena, simili a quelle che l'osservazione ci ha fatto descrivere: divisione tra l'uomo e Dio ovviamente; divisione tra l'uomo e la donna, che fanno a scaricabarili sulla responsabilità; divisione all'interno di loro stessi; infine, divisione tra l'uomo e la natura.

La divisione tra l'uomo e la natura è dunque anch'essa, almeno in parte, una conseguenza del peccato. Non è un fatto di creazione. Come ha sottolineato molto bene il filosofo Paul Ricoeur, tutto lo sforzo dei racconti delle origini è quello di separare l'origine buona del mondo e l'origine del male. Lo stato delle cose in cui ci troviamo noi non è una fatalità che scaturisce da un principio del male. È la relazione dell'uomo con la natura e con il cosmo che è perturbata, messa in disarmonia, Qualcosa s'è 'rotto' tra il mondo e l'uomo. Simbolicamente, l'uomo viene scacciato dal paradiso, cioè da un mondo pienamente armonioso, per vivere altrove in un mondo che egli faticherà ad addomesticare.

È così che l'Antico Testamento insiste nel dirci che «Dio non ha fatto la morte» (Sap 1,13). L'espressione rimanda all'ammonimento iniziale: "Quando tu mangiassi dell'albero della conoscenza del bene e del male, certamente moriresti» (Gen 2,17). San Paolo, da parte sua, afferma che è stato il peccato a far venire la morte (Rom 5,12) e che tutti gli uomini «muoiono in Adamo» (1 Cor 15,22), cioè per il fatto della loro solidarietà fondamentale con l'umanità, peccatrice da sempre. D'altra parte, la creazione stessa ha bisogno di essere liberata dalla schiavitù della corruzione e geme nelle doglie del parto (Rom 8, 20-22) di un mondo da trasformare. Il testo della Genesi attribuisce a questa situazione di peccato anche il carattere penoso del lavoro: «Guadagnerai il tuo pane con il sudore della tua fronte» (Gen 3,19). L'azione dell'uomo sulla natura, quindi, sarà sempre contrassegnata da una resistenza della natura stessa. Lo stesso dicasi per la donna e per i «dolori della gravidanza» (Gen 3,16), il che va inteso in senso molto globale. Dare la vita ad un figlio è cosa difficile e dolorosa, non soltanto durante i nove mesi dalla concezione al parto, ma fino a quando il figlio non sarà educato, formato e divenuto pienamente responsabile di se stesso. «Figli piccoli, guai piccoli; figli grandi, guai grandi», dice il proverbio. Queste difficoltà si verificheranno nella stessa relazione d'amore: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gen 3,l6). Che cosa significa, se non che l'esercizio della sessualità, luogo per eccellenza dell'amore, è senza posa minacciato di diventare un luogo di conflitto, di scontro, di dominio e di servitù?

Queste affermazioni, senza alcun dubbio difficili da accettare, sono oscure come tutto ciò che riguarda il peccato. Esse ci rimandano tuttavia ad un'esperienza molto umana. Il peccato è fonte di disintegrazione, guasta tutto, a volte distrugge quello che tocca. È veramente un male che l'uomo fa non solo a se stesso, ma anche a tutto ciò che lo circonda e a poco a poco a tutta la società. Pensiamo alla violenza, in tutte le sue forme, esteriori o nascoste, per non prendere che un esempio.

Questi discorsi devono essere ben capiti. Essi non escludono che una forma di non-bene o alcune delle difficoltà dell'uomo siano conseguenza di un mondo finito e in crescita. Nei particolari, noi non possiamo separare quello che dipende da questa prima 'fìnitudine' e quello che si aggiunge per il fatto della situazione di peccato. Tuttavia possiamo dire con Karl Rahner: «In questo senso, il lavoro, l'ignoranza, la malattia, la sofferenza, la morte - così come li incontriamo concretamente - sono indubbiamente caratteristiche della nostra esistenza umana, che così, come le sperimentiamo effettivamente in qualità di peccatori in un mondo condizionato dalla colpa, non sarebbero esistite in un'esistenza priva di colpa»".

C'è sempre di più in un racconto immaginifico, diciamo mitico, che nelle razionalizzazioni che se ne possono fare, È per questo che qualsiasi analisi del misterioso peccato originale rimane sempre al di qua del significato inesauribile del racconto.

13 K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, cit., 159.


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