Che cosa dobbiamo intendere con l’espressione “Legge e Profeti'? Materialmente, tutta quella parte dell’Antico Testamento che comprende il Pentateuco, i profeti più antichie più recenti, a partire dai libri dei Giudici, di Samuele, dei Re, fino ai profeti propriamente detti. Dal punto di vista oggettivo, invece, parlando di Legge e Profeti si intendono due realtà. Anzitutto, ciò che Dio vuole compiere, dal momento che la Legge e i Profeti dicono qual è l’intenzione di Dio, qual è la “promessa”, ciò che Dio vuole fare per l’uomo.
ln secondo luogo, ciò che l'uomo è chiamato a fare per rispondere all’amore di Dio e rendersi degno della sua promessa. Con “Legge e Profeti” si esprime l’invocazione del Padre nostro: «Sia fatta la tua Volontà», cioè il suo disegno. Gesù vuole portare a compimento questo disegno di Dio, questo beneplacito di Dio, che è contenuto nella Legge e nei Profeti e che Secondo lo schema dell’alleanza si compone di due parti: ciò che Dio fa o vuol fare o farà per l’uomo, e ciò che l’uomo è chiamato a fare per essere in comunione con Dio. Per questo, Gesù non è venuto ad abolire; si tratta del piano di Dio, ed egli e venuto per darvi compimento. Notiamo che Gesù parla di “dare compimento” non di “confermare”. Perché la Legge e i Profeti non sono una realtà statica, una serie di precetti, bensì una realtà dinamica: cio che Dio vuole fare per l’uomo, ha fatto e farà fino alla Gerusalemme celeste, e ciò che l’uomo è chiamato a fare per entrare in questa comunione con Dio Amore.
Che cosa Significa per l’uomo rispondere alle promesse e alle azioni Salvifiche di Dio? Significa la carità, espressa molto concretamente come misura delle azioni umane: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro questa infatti è la Legge e i Profeti».
Gesù preferisce sminuzzare la morale, dando delle esemplificazioni che ci invitano a non accontentarci mai di principi astratti, bensì a metterci di fronte alle situazioni così come sono, per cercare di valutare e di discernere: in questa situazione qual è il meglio mio o il meglio assoluto della persona? In questa precisa situazione che cosa vogliono dire misericordia e carità?
Se noi rifuggiamo da questa analisi concreta, rischiamo di essere rigidi, di essere imperativi e non umani; di sbilancifiarci nel senso di una esigenza rigorista o nel senso del lassismo, sempre sulla base di principi generali che non tengono conto di come le situazioni concrete rendono la figura del prossimo davanti a noi nella sua verità.
Il superamento dei conflitti
Vediamo allora gli esempi offerti da Gesù e di cui mi limito a richiamare le coordinate fondamentali. Anzitutto le prime battute del discorso riguardano il tema del superamento dei conflitti. Cè un modo radicale di superare il conflitto, che è l’eliminazione dell’altro; se l’altro è diverso da me, se non mi accetta, io lo elimino. Contro questa radicale soluzione si pone già la legge morale fondamentale dell’Antico Testamento: non uccidere. Ma Gesù sa che ci sono altre forme non così macroscopiche e tuttavia negative di comportamento nei conflitti: il rancore, la collera, il ferire l’altro con parole. Tutto questo è il medesimo atteggiamento riportato nella quotidianità: non accettare l’altro, non volere che l’altro sia così, e quindi attaccarlo, ferirlo, emarginarlo, banalizzarlo.
Qui Gesù appunta il suo insegnamento: il conflitto, che è inevitabile nella vita, non deve avvelenare il cuore e perciò non si devono dire parole velenose che trasformano una differenza di vedute in una inimicizia. E insiste molto: il conflitto non può mai essere risolto o degenerare in quelle forme. La soluzione sbagliata non è soltanto quella estrema, ma pure ogni parola e ogni sentimento cattivi. Viene chiarito in tal modo che cosa significa rispettare il prossimo dall’intimo, dal profondo.
Noi ci domandiamo: siamo capaci di vivere i conflitti nella Società e nella Chiesa non semplicemente scavalcandoli, ma almeno non esasperandoli con parole, giudizi, modi di ferire l’altro, che denunciano un cuore cattivo? Guardando la Storia della Chiesa, antica e recente, non possiamo dire che i conflitti interni siano stati vissuti senza una cattiveria reciproca. Il Signore mette oggi a nudo i nostri risentimenti, di cui siamo spesso carichi; e se facessimo un’analisi attenta, vedremmo quanti giudizi drastici, quanti rancori, quante forme larvate di ferimento degli altri, di non accettazione che diventa forma di comportamento negativo, sono dentro di noi.
Gesù dice in positivo come risolvere i conflitti: continuando il tentativo di ricon-ciliazione. Non dice dunque di passare sopra al conflitto, perché non dipende soltanto da noi, ma con un esempio concreto (andar d’accordo con l’avversario prima che ci consegni al giudice). Sottolinea la costante ricerca di una riconciliazione.
Traducendo l’insegnamento nella nostra vita quotidiana, nella nostra vita di parrocchia, di diocesi, significa che è necessario lo sforzo di capirci, sforzo che richiede una conversione evangelisga, un atteggiamento molto più difficile di quello che vuole scavalcare il problema esigendo che l'autorità provveda a cambiare una situazione. Questa fatica della riconciliazione è molto trascurata. Spesso noi giungiamo rapidamente a concludere: la soluzione è di separare una realtà dall’altra. Naturalmente, in parecchi casi, ci potrà essere una soluzione pratica, perché è possibile distribuire le forze in modo diverso, però non dovrebbe mai essere una soluzione che viene presa unicamente per mancanza di volontà di riconciliazione. L’esperienza dimostra che quando la riconciliazione avviene, le persone capiscono, e comincia magari una nuova fase di rispetto, di amore gli uni per gli altri.
A me pare che il messaggio si possa esprimere così: noi siamo messi qui a contatto con il dinamismo anche morale della rivelazione di Dio, del mistero di Dio comunicato all’uomo. Tale mistero Va verso il suo compimento e questo fa sì che la stessa vita morale dell’uomo debba essere sempre tesa a qualcosa che va oltre, fino ad arrivare a un limite che sembra quasi irraggiungibile.
Che cosa vuol dire amare il nemico, resistere al male, porgere l’altra guancia? Vuol dire, appunto, la tensione verso un limite che nelle circostanze ordinarie non riusciamo magari a raggiungere e che, però, ci sprona continuamente ad andare oltre, finché non vi Saremo arrivati. È molto importante cogliere questo carattere dinamico della morale neotestamentaria, per non essere ridotti a due fughe da questa morale: da una parte, la fuga perfezionistica, settaria, cioè solo chi fa così è veramente cristiano, gli altri sono fuori; dall’altra, la fuga lassista: siamo di fronte a una morale ipotetica, paradossale, che vuol fare unicamente cogliere la nostra peccaminosità; ciò che conta non è compierla in maniera rigorosa, ma riconoscere che si è peccatori, bisognosi della misericordia di Dio, e accontentarsi di ciò che possiamo fare. Queste due forme, che sembrano rispondere alla lettera al Discorso della Montagna, misconoscono in realtà il carattere dinamico della richiesta evangelista, che è di andare sempre al di là di noi stessi, di tendere sempre più in alto, e quindi di saperci umiliare per quanto non abbiamo ancora realizzato, né come singoli né come Chiesa. Il discernimento di questo atteggiamento pratico nella quotidianità non è facile, perche ci sono pure dei limiti. Anche Gesù parla di scomunica («Sia per te come il pubblicano e il peccatore»). Ci sono dei limiti del sì e del no, anche in una Chiesa che ha come riferimento la misericordia. Fare in modo che questi limiti non siano lassismo (accettiamo tutto e tutti, purché ci sia un minimo)
Ma proprio questa dinamica, fatta insieme di rigore e di misericordia, di obbedienza a Dio e di comprensione della fragilità umana, è la forza del Discorso della Montagna. È la strettezza della via che non permette di agire in maniera lassista o rigoristica.
Card. MARTINI
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