Il Padre come nome di Dio nelle Scritture
Il nome di padre è attribuito a Dio in molte religioni antiche: «l'invocazione della divinità con il nome di padre è uno dei fenomeni fondamentali della storia delle religioni». Nell'antico medio oriente, l'ambiente della Bibbia, più divinità si vedono riconosciuta questa qualifica, in quanto all'origine di tutti gli dei e gli uomini". Il divino viene normalmente rappresentato come padre-madre, da cui tutto ha origine, in senso quasi fisico-biologico. La divinità è il sommo generatore dell'intera catena dell'esistente. In forza di ciò gli compete un potere assoluto, tutto gli è sottomesso; egli è la base dell'ordine e dell'autorità sovrana. L'intero patrimonio mitologico veicola questa fisionomia del divino.
Il Dio dei padri. Una significativa reticenza del Primo Testamento
La figura di Dio nella Bibbia ebraica non si struttura attorno al simbolo del padre". Dio è anzitutto il Dio della liberazione e dell'alleanza; è il Dio che si è legato ai padri intervenendo in momenti precisi della storia tramite eventi che ne hanno segnato l'orientamento. E attraverso la sua azione di liberazione e riabilitazione che Dio vuole essere riconosciuto, il suo nome è indissolubilmente legato all'esodo (Es 3,13-16), dice il suo essere presente come risorsa di libertà che non può essere coartata, che fa passare Israele dalla condizione di schiavitù a quella filiale (Es 4,22-23). E il Dio che intrattiene relazioni personali con il suo popolo, che promette e mantiene, rivolge la parola e attende risposta. Di Lui si può parlare solo narrando la storia del suo popolo (Deut 26,4-9). Egli si dichiara attraverso ciò che fa diventare.
Soltanto con i profeti viene introdotta la qualifica della paternità in riferimento a Dio, anzitutto perché ama Israele come un figlio (Os 11). Per questa stessa ragione Dio è anche madre che mai abbandona (Is 49,14-15). E quasi sempre in formule di autopresentazione, e della invocazione che vi corrisponde, che Dio risulta qualificato come padre di Israele (Is 63,8.15-16; 64,7), o di alcuni suoi membri, come il re in forza del patto con la casa di David (2Sam 7,14; Si 2,7; 110,3), i giusti (Sir 23,1-4), i poveri e le vedove (Si 68,6).
Cosi nella fede ebraica la simbolica paterna attribuita a Dio conosce una profonda revisione. Essa è sciolta da ogni riferimento sessuale-generativo e viene vincolata a precisi eventi storici: Javhè è padre perché ama contestando ogni schiavitù e conducendo a libertà. Poiché mira a instaurare nel suo popolo un'esistenza filiale può essere riconosciuto come padre. Il Dio dei padri, che Israele apprende a riconoscere come un padre, risulta così molto lontano dalla proiezione del ruolo paterno proprio della struttura familiare tipica di una società patriarcale. Non il potere, e sue presunte deleghe nella società e nella storia, ne sono il marchio distintivo, ma la libertà nell'alleanza, come riconoscimento e condivisione della sua disponibilità.
Il Dio Padre di Gesù Cristo
Secondo il Nuovo Testamento, Gesù dice la paternità di Dio in modo così singolare da renderla riconoscibile dai discepoli come il nome proprio di Dio.
a. Gesù racconta la paternità di Dio attraverso ciò che dice e fa nel suo nome. Dare compimento al regno di Dio è la missione che Gesù riconosce come sua (Mc 1,15par.); essa significa per lui ritmare la propria azione sulla paternità di Dio che «fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45), e che «non vuole che si perda neanche uno dei piccoli» (Mt 18,14). Il riferimento al Padre è la ragione profonda della singolarità dell'agire di Gesù, che intende esserne consapevolmente la trascrizione nella storia (Lc 15). E questo riferimento che Gesù consegna ai discepoli come criterio decisivo della loro relazione con Lui e tra di loro (Mt 12,46-50 par.; 23,8-12).
b. Gesù annuncia la paternità di Dio vivendo una singolare ed esclusiva relazione filiale con Lui. Si lascia intuire come l'intimo di Dio, come colui per il quale Dio non ha segreti (Mt 11,25-27; Lc 10,21-22). Si esprime non come porta-parola di Dio, al modo dei profeti, ma come il diretto e immediato proporsi di Dio. Per dare garanzia alle sue parole e azioni non dice: parola di Dio, ma: io vi dico, in verità io vi dico. Distinguendo, rivolgendosi ai discepoli, tra Padre mio e Padre vostro Gesù lascia ben intendere l'unicità della sua relazione con il Padre che trova la sua espressione più netta nella preghiera. Qualificando Dio come Abbà Gesù si pone come il Figlio unico davanti a Dio il suo Padre, si riconosce all'interno di Dio. Egli ne è certo distinto, ma senza nessuna estraneità, né è la visibilità proprio nella sua comunione-distinzione di Figlio uomo (Gv 14,6-11).
Non come superuomo, ma proprio come uomo che vive filialmente, Gesù dice il Padre. Gesù non esaurisce tutto l'umano, non è uomo e anche donna, né vive in sé tutte le situazioni della vita. Piuttosto promuove tutti, donne e uomini, tutto l'umano, dentro qualsiasi situazione. Anche in questo lascia intuire che Dio non ha bisogno di essere tutto, di assorbire tutto in sé, ma ha cura di tutto ed è in grado di condurre tutti a maturità, al loro compimento. Anche attraverso questa discrezione Gesù lascia intravedere quella del Padre". Il Padre è incessantemente colui che consente a Gesù di essere nella sua umanità, Figlio (Gv 11,41b-42).
c. Gesù dice definitivamente la paternità di Dio nella sua pasqua. E davanti a Lui e dall'interno della confidenza con lui che si inoltra decisamente nella passione (Mc14,32 par.). Rinunciando alla tentazione di farsi esonerare dalla sua condizione storica, esponendosi per questo al silenzio del Padre nella sua passione (Mc 15,29-32 par.), Gesù giunge a poter donare il suo spirito filiale nella risurrezione (Rm 8,14-17). In Lui il Padre risulta come il Dio che lo risuscita da morte (Gal 1,1; Rm 1,4), come colui che accoglie i discepoli di Gesù nella sua paternità donando ad essi il suo Spirito. Il dono dello Spirito del Figlio Gesù consente a tutti gli uomini di riconoscere Dio come il Padre e di avere accesso alla vita filiale (Gal 4,4-7; Rm 8,15). I tratti umani di Gesù e la ricchezza creativa del suo Spirito donato fissano la fisionomia paterna di Dio. Dio è «il Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef. 1,3; Col 1,3).
Dio il Padre nostro
Riferito a Dio come il suo proprio nome, "padre" non è oggi un termine libero da ogni sospetto. Timori e necessarie cautele vengono avanzate dalle scienze umane (psicologia del profondo e sociologia), dall'ermeneutica biblica femminista e, più in generale, dal carattere analogico e comunque problematico di ogni nostro discorrere di Dio, in quanto realtà che ci supera all'infinito. Rimandando a studi specifici per l'approfondimento di queste tematiche, ci riproponiamo ora la domanda: chi è Dio il Padre? Proprio lasciandosi rigorosamente guidare dai dati offerti dalle Scritture, e dalla meditazione che essi hanno a più riprese sollecitato nella chiesa, l'intelligenza della fe de viene a trovarsi nella condizione di dialogare correttamente con la sensibilità contemporanea per dire la buona notizia della paternità di Dio. Si tratta di un dire che deve di continuo lasciarsi guidare e convertire dal dirsi di Dio a noi. Da quest'ultimo attinge la sua franchezza, pur dovendo sempre riconoscere al tempo stesso la non adeguatezza.
1. Chi è Dio, il Padre?
La ricerca di significato da parte dell'uomo approda a molteplici presentimenti di Dio e quasi ad altrettante domande e dubbi; è solo la sua autopresentazione che ce ne offre il nome, l'identità, senza che noi possiamo pretende re di afferrarla adeguatamente. «Nessuno può conoscere Dio se non è Dio ad insegnarglielo; non si può conoscere Dio senza Dio».
La riflessione cristiana antica ha interpretato più volte in questa linea l'affermazione che conclude il prologo di Giovanni: «Dio, nessuno lo ha mai visto: l'unico Figlio, che è Dio, ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). Il dire Dio presuppone e rimanda al dirsi di Dio nella rivelazione. L'unico Dio professato dalla fede cristiana è il Padre raccontato dal Figlio unico Gesù. Il monoteismo cristiano è profondamente innovativo. La concezione monoteista porta certo con sè la coerenza del reale, ma secondo quale modalità? C'è posto per l'alterità, per il suo valore? E come?
Il Dio uno e unico della fede cristiana è qualificato non semplicemente da fatto che non ha origine da altro, ma dal suo essere da sempre, in maniera costitutiva, totale apertura e donazione al Figlio.
L'essere padre non è semplicemente e anzitutto indicativo di una sua attività (la creazione), ma gli è costitutivo. Quest'unico Dio Padre non è immaginabile da noi, è reso riconoscibile dal Figlio Gesù. Questi ne è l'immagine perfetta (Col 1,15), non nel senso che ne sarebbe un duplicato, un secondo padre, ma nella sua alterità di Figlio divenuto uomo tra noi, nel suo vivere filialmente la reale condivisione della nostra umanità. «Il Padre è l'invisibile del Figlio, e il Figlio è il visibile del Padre».
Il Padre è la permanente fonte di quella eccedenza di gratuità e di amore che ogni parola-azione-relazione umana di Ge- sù lascia trasparire e che la sua pasqua sigilla. Il visibile di Gesù lascia emergere un inesauribile che noi non possiamo circoscrivere e rappresentare, non perché indeterminato o evanescente, ma in quanto oltrepassa ogni misura.
Grazie al Figlio Gesù la non rappresentabilità del Padre ne indica la massima concretezza, la sua ipostasi paterna. L'interlocutore ultimo dell'uomo, della sua storia e della sua libertà, ha volto e identità paterna. Ma questo volto non è appropriabile da nessuno, è svelato nel Figlio fatto uomo e reso accessibile nello Spirito. Così si qualifica, tramite il Cristo e lo Spirito, nel suo volgersi storico a noi, la paternità di Dio e così è all'inter- no stesso di Dio. Per non vanificare ciò che Dio ha detto e comunicato di sé in Gesù e nel suo Spirito, la tradizio- ne della chiesa e il suo magistero si sono opposti ad ogni riduzione modalista e subordinazionista. Il Figlio e lo Spirito non sono riducibili a semplici ruoli (modi) del propor-si dell'unico Dio, né Figlio e Spirito sono esterni a Dio come figure intermedie tra Lui e il mondo. Il Padre che ci incontra in Gesù gli è da sempre Padre e Gesù come l'u- nico Figlio gli è da sempre intimo nello Spirito Santo, segreto di comunione senza estraneità. Con ciò è tolta alla conoscenza ogni pretesa di possesso e le viene indicato il proprio luogo adeguato nella accoglienza-comunione. Solo in questa avviene conoscenza. "Padre" non è nome di og- getto di sapere astratto, ma nome di incontro. Continuando ad ascoltare l'umano esprimersi del Figlio Gesù nel suo Spirito effuso noi incontriamo e apprendiamo il Padre. Non c'è altra via oltre questa.
Il Padre nel Figlio Gesù
Sempre il luogo del nostro incontro con il Padre è il F glio Gesù, nella sua concreta umanità vivificata dallo Sp rito nella risurrezione. Il Padre non gli dà in gestione la sua paternità, tanto meno come potere assoluto che si in pone; fonda piuttosto la sua sorgiva capacità di introdurre chi lo accoglie all'esperienza e alla dignità di figli (G 1,12). L'essere Figlio ha costituito Gesù tra noi come maestro unico di fraternità. L'essere fratelli come figli ha in Gesù il suo paradigma e fondamento. Con Gesù la teologia diviene antropologia di Dio. È tale antropologia, nel suo attuarsi, che consente la teologia. La trama di relazioni che il Padre suscita tra gli uomini grazie al Figlio divenuto uomo dice chi è l'uomo presso Dio, proprio mentre lo promuove ad esserlo. Diventando un tale uomo ciascuno si avvia a riconoscere e ad incontrare il Padre.
3. Il Padre nello Spirito effuso
L'unica realtà che nella storia continua a raccontare la paternità di Dio è la fraternità nel nome e sullo stile di Gesù. Non si tratta di una fraternità uniforme. Sorelle e fratelli non sono copia uno dell'altro, sono singolarità inespropriabili, portatori nella loro libertà di un'eco della ric chezza di Dio per l'effusione dello Spirito del Padre tra mite il Figlio Gesù Risorto. Ogni dono e compito è funzione della fraternità, non sopporta confronto orizzontale dicalmente il riferimento all'unica paternità di Dio (1Cor e conseguente gerarchizzazione nella dignità, ma solo e ra che essere indicati analogicamente come paterni/materni 12, 4-7). Compiti e funzioni della fraternità possono anche essere indicati analogicamente come paterni/materni (paternità spirituale), ma non si deve mai perdere di vista l'unicità fuori di ogni misura del Padre del cielo, il Padre di Gesù Cristo. Egli instaura instancabilmente, nel soffio e nella ricchezza del suo Spirito l'umanità come spazio di fraternità. Gli appartiene, oltre ogni nostra immaginazione e nelle modalità concrete dell'umanità di Gesù, un'incessante iniziativa di misericordia e riconciliazione.
Dio il Padre di ogni benedizione
Accolta dal Padre tramite il Figlio e nel suo Spirito, la vita filiale e fraterna degli uomini porta con se i caratteri della promessa, della liberazione, dell'eredità e della benedizione. È l'intera storia della salvezza che consente di interpretare, proprio mentre lo porta alla luce, il significato dell'intera creazione, dell'uomo in particolare, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26). La gamma delle attrattive, delle possibilità che ogni esistenza umana porta con sé si lascia decifrare come prima eco in noi della promessa del Padre. Ad essa Egli rimane vincolato, li- berando dalla indeterminatezza, da modalità relazionali fuorvianti, che inducono schiavitù. In Cristo e nello Spi- rito ogni promessa matura in vocazione. Per la solidarietà con Gesù nella quale il Padre ci stabilisce, viene radicata in noi una fondamentale non espropriabilità della nostra libertà, la vita viene garantita nel suo risultato, non è più esposta a precipitare nel vuoto: siamo fatti eredi. La no- stra vita porta appunto il segno della benedizione, della disponibilità del nostro patrimonio umano a noi stessi, sicché possiamo renderci effettivamente disponibili agli altri e così significare la gloria di Dio. Nel non divenire nemici di noi stessi e di nessuno viviamo la benedizione del Padre, l'incessante processo di maturazione suggerito dallo Spirito che ci sintonizza all'identità filiale e fraterna del Figlio unigenito e primogenito Gesù. Vivendo nel nome e con lo Spirito di Gesù noi accogliamo la paternità dell'unico Dio, rassicurati del suo non abbandono per la ricchezza della sua misericordia e promossi a responsabilità dalla sua non invadenza fino al silenzio. Servendo la fraternità nella modalità propria di ogni differenza (uomo-donna, bambino, giovane, adulto, vecchio) e di ogni compito continuiamo a ricevere la grazia di narrare la inesauribile paternità di Dio per tutti.
G. Laiti (Verona)
Da "figli dell'unico Padre", 1999
Nessun commento:
Posta un commento