mercoledì 26 febbraio 2025

Profezia

 LIBRO DEL PROFETA ABACUC 

Capitolo 1

Prima protesta: non ha più forza il diritto!

1 1Oracolo ricevuto in visione dal profeta Abacuc. 2Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? 3Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. 4Non ha più forza la legge né mai si afferma il diritto. Il malvagio infatti raggira il giusto e il diritto ne esce stravolto. 

Abacuc protesta con Dio perché permette al male di dilagare mentre scompare del tutto la fraternità tra gli uomini. Le contese giudiziarie si moltiplicano e la società è dominata dalla violenza. Non c’è più rispetto della Legge, al punto che il prepotente raggira (machtir) con facilità il misero. L’attenzione è sui mali sociali; non compare in primo piano la lotta contro l’idolatria, come si riscontra in altri profeti. Grida (shivva’ti) e piange (ez’ak) per l’ingiustizia. Violenza e assenza di fraternità devono scuotere il credente di ogni tempo e considerarli fenomeni inaccettabili. 

Abacuc prolunga la sua invocazione inascoltata e formula una protesta. Questo fatto presuppone che egli goda d’una grande confidenza con Dio e una fiducia illimitata in Lui. È convinto che il Signore sia in grado rimediare al male e che solo lui possa farlo. È certo che Egli interverrà a motivo del suo amore e quindi che la sua noncuranza sia soltanto apparente o almeno temporanea. 

Nella Sacra Scrittura compare una protesta che è frutto di mancanza di fede e d’amore, chiamata mormorazione (Nm 14,36; 16,11; Gv 6,41; Fil 2,14) ma è attestata una protesta che si muove all’interno d’un dialogo accorato con Dio (Gb 7,19; Sal 6,4; 13,2). In questo secondo caso, chi solleva il lamento è anche pronto a passare al ringraziamento: «Fino a quando, Signore, starai a guardare? Libera la mia vita dalla loro violenza, dalle zanne dei leoni l’unico mio bene. Ti renderò grazie nella grande assemblea, ti loderò in mezzo a un popolo numeroso» (Sal 35,17-18). 

Nei momenti d’angoscia il credente ha la possibilità di parlare con Dio in modo sincero e spontaneo. «Affida al Signore il tuo peso ed egli ti sosterrà, mai permetterà che il giusto vacilli» (Sal 55,23). «Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi» (1 Pt 5,6). 

Geremia, formulando una preghiera simile: «Le nostre iniquità testimoniano contro di noi, ma tu, Signore, agisci per il tuo nome! O speranza d’Israele, suo salvatore al tempo della sventura…, perché vuoi essere come un uomo sbigottito, come un forte incapace di aiutare? Eppure tu sei in mezzo a noi, Signore, il tuo nome è invocato su di noi, non abbandonarci!» (Ger 14,7-9). Dio agisce per il suo nome, per quello che Egli è e non per quello che siamo noi; agisce come Salvatore soprattutto nel momento della sventura e quando siamo più indegni del suo aiuto; vuole beneficare il suo popolo con una presenza continua e non saltuaria. 

Prima risposta: faccio sorgere i Caldei!

5«Guardate fra le nazioni e osservate, resterete stupiti e sbalorditi: c’è chi compirà ai vostri giorni una cosa che a raccontarla non sarebbe creduta. 6Ecco, io faccio sorgere i Caldei, popolo feroce e impetuoso, che percorre ampie regioni per occupare dimore non sue. 7È feroce e terribile, da lui sgorgano il suo diritto e la sua grandezza. 8Più veloci dei leopardi sono i suoi cavalli, più agili dei lupi di sera. Balzano i suoi cavalieri, sono venuti da lontano, volano come aquila che piomba per divorare. 9Tutti, il volto teso in avanti, avanzano per conquistare. E con violenza ammassano i prigionieri come la sabbia. 10Si fa beffe dei re, e dei capi se ne ride; si fa gioco di ogni fortezza: l’assedia e la conquista. 11Poi muta corso come il vento e passa oltre: si fa un dio della propria forza!». 

La risposta del Signore, anziché tranquillizare, può esasperare l’inquietudine del profeta. 

vv. 5-6 Invita Abacuc ad osservare ciò che sta accadendo. I Babilonesi, denominati Caldei (hakkasdim), stanno emergendo sulla scena mondiale, suscitando grande amarezza e preoccupazione da parte degli altri sovrani che non si aspettavano una novità così perturbante. Infatti l’unica legge che riconoscono è la loro volontà di dominio. 

Il vv. 8-9 fanno risaltare la tempestività dell’avanzata dei Caldei (o Babilonesi); vengono paragonati a leopardi, a lupi famelici che si gettano sulla preda, ad aquile predatrici. Sono protesi in avanti come i corridori, intenti soltanto ad assogettare gli altri popoli. Gli uomini, quando adottano un comportamento violento, vengono assimilati ad animali feroci, come se non fossero più riconoscibili come vere persone umane

vv. 9-11 Passano veloci come una bufera di vento. Il risultato della conquista è il gran numero di prigionieri catturati e delle fortezze occupate. Disprezzando ogni altra autorità, “venerano” la loro volontà di dominio. 

A motivo della potenza dispiegata, applicata con ferocia, Babilonia diventa d’ora in avanti il simbolo del male che opprime la storia degli uomini (Cf Sal 137,8; Is 21,9; 47.1; 1 Pt 5,13; Ap 14,8). 

L’aspetto più sorprendente di questo passo (1,5-11) emerge nel v.6. dove viene detto che la devastazione è suscitata da Dio. Nei versetti precedenti il profeta si mostrava stupito che il Signore gli facesse vedere (tare’eni) e osservare (tabbit) l’iniquità, senza impedire il prevalere del male. Nella risposta il Signore rende più grave la sua responsabilità perché non solo si limita ad osservare la situazione senza intervenire, come ha pensato Abacuc, ma dichiara di essere corresponsabile del fatto più drammatico che si sta verificando. 

Lo costringe ad osservare con attenzione ciò che sta consentendo che accada. Un passo del Deuteronomio conferma la spietatezza di Babilonia ma precisa ancora più chiaramente di quanto ha insinuato Abacuc che il suo espandersi è consentito da Dio: «Il Signore solleverà contro di te da lontano, dalle estremità della terra, una nazione che si slancia a volo come l’aquila: una nazione della quale non capirai la lingua, una nazione dall’aspetto feroce, che non avrà riguardo per il vecchio né avrà compassione del fanciullo. Mangerà il frutto del tuo bestiame e il frutto del tuo suolo, finché tu sia distrutto. Ti assedierà in tutte le tue città, finché in tutta la tua terra cadano le mura alte e fortificate, nelle quali avrai riposto la fiducia» (Dt 28,49-52). Per bocca di Geremia, chiama il re di Babilonia «mio servo» (Ger 25,9).

Gli eventi drammatici che si stanno verificando sono ciò che Dio che vuole (o meglio permette) che avvenga. L’esplosione della malvagità, simile ad un’eruzione vulcanica, sfugge del tutto al controllo degli uomini ma è conosciuta e dominata da Dio. Si trova sotto il suo sguardo. L’uomo non può rasserenarsi nel verificare ciò che vede ma può confidare nella visione che ne ha Dio. «Ciò che tu osservi, o uomo, è già visto anche da me e questo ti basti!». 

Ottenuta questa risposta dal Signore, il disappunto di Ab non s’acquieta. È facile che il lettore condivida il disagio del profeta e lo accompagni nella ricerca di ottenere una risposta più persuasiva. 


Seconda protesta: gli uomini sono come pesci?

12Non sei tu fin da principio, Signore, il mio Dio, il mio Santo? Noi non moriremo! Signore, tu lo hai scelto per far giustizia, l’hai reso forte, o Roccia, per punire. 13Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male e non puoi guardare l’oppressione, perché, vedendo i perfidi, taci, mentre il malvagio ingoia chi è più giusto di lui? 14Tu tratti gli uomini come pesci del mare, come animali che strisciano e non hanno padrone. 15Egli li prende tutti all’amo, li pesca a strascico, li raccoglie nella rete, e contento ne gode. 16Perciò offre sacrifici alle sue sciàbiche e brucia incenso alle sue reti, perché, grazie a loro, la sua parte è abbondante e il suo cibo succulento. 17Continuerà dunque a sguainare la spada e a massacrare le nazioni senza pietà? 

Abacuc non è soddisfatto dal sapere che gli eventi di cui è spettatore sono conosciuti e dominati dal Signore ma cerca rassicurazioni più persuasive e più pacificanti. Dio può pazientare all’infinito, gli uomini no! Soprattutto vuole sentir pronunciare da Dio la promessa che Israele non verrà annientato: «Noi non moriremo». Dai tempi antichi, dall’epoca dei patriarchi e degli eventi dell’Esodo, Dio ha voluto mostrarsi come alleato del suo popolo e per questo motivo Israele è certo che non verrà meno. 

Abacuc, cercando di capire il senso degli avvenimenti, formula l’ipotesi che essi siano una punizione comminata da Dio, il quale non ostacolerebbe i Caldei perché Israele non meriterebbe alcun soccorso, anzi avrebbe bisogno di sperimentare una severa correzione. Considera probabile questa ipotesi ma ritiene che non sia in grado di offrire una spiegazione adeguata, anzi sia più problematica che risolutiva. Egli pensa: se Dio giustamente detesta la violenza e non può tollerare il dilagare della malvagità, a maggior ragione, dovrebbe intervenire proprio contro i Caldei. Oltretutto, per quanto sia peccatore, Israele è migliore di loro e non ha mostrato una perversità pari alla loro. Israele, poi, non sta subendo una punizione severa, per quanto meritata, ma sta rischiando d’essere annientato. 

Dall’attenzione sul suo popolo, Abacuc spinge lo sguardo su ciò che avviene ovunque. Babilonia sta comportandosi come un avido pescatore che continua a catturare pesci indifesi, uomini inermi. Accortasi della possibilità di ottenere una pesca molto abbondante, continua a lanciare il suo amo. Adopera anzi una rete a strascico. Gode del pescato ottenuto e venera gli strumenti del suo successo. 

Babilonia agisce come tanti altri potentati brutali. Dio, che dovrebbe aver cura delle sue creature, sembra trascurarle come se non contassero nulla. Il profeta si rivolge al Signore senza alcuna remora. Non dubita di lui e continua a mostrare grande rispetto ma non soffoca la sua angoscia né attenua la forza della sua protesta. 

Capitolo 2

La seconda risposta di Dio alla sentinella solerte

2 1Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà, che cosa risponderà ai miei lamenti. 2Il Signore rispose e mi disse: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. 3È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. 4Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede». 

v.1 Attribuisce a se stesso il compito della sentinella che deve prestare attenzione a ciò che sta accadendo. Altri profeti avevano paragonato se stessi ad una sentinella (Cf Is 21,8; Ez 3,17. 33,7; Os 9,8). Se si pone in attesa d’una risposta, perché è convinto che Dio voglia venirgli incontro. 

Non ritiene d’aver parlato con presunzione o di essere stato privo di rispetto nei confronti di Dio a motivo della sua vivace rimostranza (thocahthy) e spera che egli non la rifiuti. 

v.2 Il Signore non può non provare pietà. Riconosce la gravità della situazione e l’angoscia del profeta. Non è rimasto offeso dalla sincerità e dall’ardimento del suo interlocutore. Pur stando al di sopra di tutto, comprende la situazione in cui versa l’umanità e sa che gli interrogativi espressi dal suo profeta non sono segni di intemperanza ma un umile ricorso all’unico che accetta di rispondere e può salvare. 

Invita Abacuc a scrivere su tavolette il messaggio che gli rivolge in modo personale. Scrivere è rendere pubblica la rivelazione ricevuta ma anche perpetuarla nel tempo. In questo modo deve esporsi davanti a tutti e sollecitare tutti a condividere il suo atto di fede. I fedeli ansiosi hanno la possibilità di esseri rinfrancati dalla premura con la quali il Signore viene incontro alla loro angoscia. 

La promessa del Signore non si adempie nell’immediato ma neppure in un futuro troppo lontano. Egli ha fissato una scadenza precisa, prossima all’attesa dei suoi fedeli. 

Dio stabilisce delle scadenze ma queste non possono essere fissate dagli uomini. Stabilire delle scadenze o pretendere di far coincidere i progetti di Dio con le nostre attese è agire senza fede. Ricordiamo le parole sagge di Giuditta: «Se non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi disegni? No, fratelli, non provocate l’ira del Signore, nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere dai nostri nemici. E voi non pretendete di ipotecare i piani del Signore, nostro Dio, perché Dio non è come un uomo a cui si possano fare minacce, né un figlio d’uomo su cui si possano esercitare pressioni. Perciò attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da lui, supplichiamolo che venga in nostro aiuto e ascolterà il nostro grido, se a lui piacerà» (Gdt 8,14-17).

La risposta ultima del Signore viene incontro al dubbio più lacerante che inquieta il cuore di Abacuc. Nonostante la gravità della minaccia che incombe, Israele continuerà a sussistere, mentre la proterva Babilonia scomparirà dalla scena. L’essenziale della seconda risposta sta in questo. Non c’è, quindi, una risposta sul motivo per cui Dio permetta il male ma viene fatto conoscere in che modo l’uomo possa avere la forza di sfuggire a quanto può accadere (Lc 21,36).

Il contenuto del responso possiede una valenza tale da superare la circostanza storica in cui è stato espresso. La risposta contiene un messaggio che è valido per sempre perché ribadisce l’importanza decisiva della fede. Dio costruisce il futuro dell’uomo servendosi della collaborazione di chi crede in lui e s’affida a lui. Esaminiamo con maggior attenzione il contenuto del messaggio affidato ad Abacuc e a tutto l’Israele fedele a Dio, rappresentato dal profeta. 

La vittoria del giusto

Babilonia è descritta come un uomo il cui istinto vitale è ingordigia, il cui orientamento di vita è distorto: «Ecco è gonfia d’orgoglio e la sua brama in lui non è retta». Vuole divorare le ricchezze e i beni di tutti i popoli, non si ferma neppure davanti allo sterminio. È come il regno dei morti (kish’ol): «spalanca come gli inferi le sue fauci e come la morte non si sazia» (2,5). 

Israele, invece, viene chiamato giusto: «Il giusto vivrà per la sua fede (vetzaddik be’emunato yichyeh)». «Ho visto un malvagio trionfante, gagliardo come cedro verdeggiante; sono ripassato ed ecco non c’era più, l’ho cercato e non si è più trovato. Osserva l’integro, guarda l’uomo retto: perché avrà una discendenza l’uomo di pace» (Sal 37,35ss).

Giusto è l’uomo osservante della ma il termine presenta altre accezioni. 

1) Il giusto è la persona che si fida di Dio nelle situazioni drammatiche dell’esistenza, quando credere alla promessa di Dio diventa molto difficile. Leggendo la storia del patriarca Abramo troviamo che questi fu stimato da Dio come giusto perché ebbe grande fiducia in lui. Confidò nell’adempimento della sua promessa per la quale egli avrebbe potuto generare un figlio quando questo sembrava impossibile che si realizzasse (Gen 15,6). Ancora di più, nella circostanza del sacrificio d’Isacco, pensò che Dio avrebbe potuto restituire il figlio strappandolo anche dalla morte. Era convinto che Dio fosse capace di chiamare le cose all’esistenza dal nulla e far risorgere perfino dai morti. [San Paolo celebra la fede di Abramo per questa estrema fiducia nella sua benevolenza e non per altri motivi (Cf Rm 4)]. 

Ciò che ora viene richiesta ad Abacuc è una fede pari a quella espressa dal patriarca. Nelle gravissime condizioni del momento storico, mentre Israele sembra ormai destinato a perire insieme ad altre genti, è esortato a credere in una continuità di vita, per opera della fedeltà di Dio. La fiducia nella fedeltà di Dio rende il credente un giusto. Per questo sentire, viene stimato da Dio, anche se non potesse vantare un’osservanza inappuntabile. 

2) Il giusto è il povero oppresso. Ecco un testo chiarificatore: «Non impareranno dunque tutti i malfattori, che divorano il mio popolo come il pane e non invocano il Signore? Ecco, hanno tremato di spavento, perché Dio è con la stirpe del giusto. Voi volete umiliare le speranze del povero, ma il Signore è il suo rifugio» (Sal 14,5-6). In questo testo, il popolo d’Israele è denominato dapprima giusto e poi povero. I malfattori (gli imperi predatori) non invocano Dio, non sono aperti a lui, anzi si sostituiscono a lui. Presi da autosufficienza arrogante, cercano d’annientare il popolo di Dio, ma Egli si schiera dalla parte del perseguitato e in futuro gli aguzzini dovranno tremare di spavento. Israele è giusto semplicemente perché, nella sua povertà, invoca Dio. Quasi costretto dalla sua situazione d’impotenza, si apre alla speranza nel Signore. Dal momento che l’oppressore tenta di avvilire e di schiacciare il misero che confida in Dio, per questo stesso motivo lo rende solido ed invincibile perché attiva la solidarietà del Signore nei suoi confronti. 

Sofonia presenta un modo simile di vedere le cose. Secondo lui, il povero ideale non è soltanto il misero sofferente. Piuttosto è colui che, mentre si trova in situazioni sfavorevoli o drammatiche, pone la sua totale fiducia e speranza in Dio: «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero. Confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele» (Sof 3,12). È un dono prezioso di Dio, saper sperare contro ogni speranza. Questa scienza è la caratteristica del povero in spirito. 

La rivelazione consegnata al profeta contiene un messaggio semplice ma fondamentale: il giusto perseguitato continuerà a vivere a motivo della sua fede nei confronti del Signore. Vivrà, in ultima analisi, perché si mostra certo della fedeltà del Signore verso di lui. 

È un messaggio, come ho detto, che va ben oltre il momento storico in cui il profeta l’ha pronunciato. È stato ripreso da san Paolo per annunciare un elemento fondamentale della vita in Cristo, ossia la giustificazione per fede. 

L’apostolo denuncia anch’egli i mali della società, in linea con la critica dei profeti, evidenziando come non esista un solo uomo che sia privo di peccato (Rm 3,23-24). Gli uomini da soli non sono in grado di uscire dalla loro situazione dolorosa ma hanno bisogno di un intervento solidale da parte di Dio, che non intende abbandonare l’umanità a se stessa. Paolo annuncia l’intervento decisivo operato dal Signore. Egli invia il Redentore, che è stesso Figlio di Dio, Gesù. Divenuto gradito a Dio Padre per la sua fedeltà fino alla croce, può intercedere per tutti. Grazie all’intercessione di Gesù, gli uomini ottengono il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo che li rende capaci di vivere come visse Gesù. Ora il giusto è l’uomo che, venendo a conoscere l’opera misericordiosa di Dio, l’accoglie nello stupore e si fida della sua misericordia. L’uomo era destinato alla morte a motivo del Peccato, un dominatore più crudele di Babele, ma ora può sperare di vivere per la redenzione di Gesù. 

Come ho già rilevato, il giusto delineato dal Vangelo percorre un cammino simile a quello del patriarca Abramo. Come questi, confida nella misericordia di Dio e crede che Egli sia sia in grado di suscitare la vita là dove ormai la morte, provocata dal peccato, sembra avere il dominio incontrastato. 

Il messaggio di Abacuc ha ottenuto, quindi, una risonanza molto vasta, imprevedibile per il profeta stesso. 

Da qui in avanti il libro si dilata in due direzioni: da una parte troviamo esposta e ribadita la malvagità di Babilonia, minacciata dal giudizio del Signore nella forma di cinque “guai”; dall’altra troviamo un inno e una supplica a Dio che sembra la risonanza nel cuore del profeta della risposta ricevuta. 

Il punto cruciale di Abacuc è un acuto problema di teodicea. «Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?» (Gen 18,25). Già la fede di Abramo aveva dovuto raccogliere la stessa sfida e misurarsi con Dio in un aperto confronto dialogico dall'esito incerto, per arrivare a un grado maggiore di conoscenza del mistero. La forma letteraria impiegata è la lamentazione, cui viene impressa però una diversa prospettiva rispetto al passato. Vi è ancora l'eco del lamento tipico dei Profeti prima dell'esilio che denunciano l'infedeltà del Popolo a fronte della Giustizia di Dio ma qui risuona quella del dopo esilio di cui l'esperienza della vittima (giusta almeno in relazione all'oppressore) induce a mettere in discussione la rettitudine del Signore. Il suo modo di fare giustizia risulta infatti problematico: se egli usa pazienza, l'ingiusto prospera a danno dei deboli indifesi; se invece punisce, sembra farlo indiscriminatamente e anche i giusti vengono colpiti. La risposta a questo dilemma si scorge nel culmine teologico Abacuc che raggiunge in 2,4 all'interno di un oracolo profetico annunciato nella forma di una massima sapienziale. Il giusto non è chi compie opere buone, ma è la vittima del violento. Dio non sembra intervenire in sua difesa e per questo il profeta protesta. A un primo lamento accusatorio del Profeta secondo la logica del Riv, era già seguita una risposta Divina: l'affermazione della sovranità di Dio sulla storia. Insoddisfatto, aveva replicato, e adesso vi è questa nuova risposta: il giusto oppresso (che è la vittima innocente del malvagio), ma a patto che mantenga e custodisca la sua fedeltà. Tale atteggiamento credente assume con coraggio la prospettiva paziente che arriva a sostenere il martirio, nella certezza che l'ultima parola sarà comunque del Dio della vita. Come per Giobbe la vera risposta del problema della sofferenza del giusto non va tanto cercata in qualche mirabile formulazione teologica. Dio risponde, solo chi accetta di coinvolgersi in modo autentico in questo rapporto, nella fede (Luca 18,38) perché la risposta è già contenuta, serbata e pronta a svelarsi, in questa esperienza esperienza di comunione sofferta. Il giusto quindi vivrà, ma mediante la fede/fedeltà che si esprime in questo stesso rapporto. (Da “La Bibbia. Scrutate le Scritture”, San Paolo 2020, p. 2297).

Cinque denunce minacciose (“Guai”)

5La ricchezza rende perfidi; il superbo non sussisterà, spalanca come gli inferi le sue fauci e, come la morte, non si sazia, attira a sé tutte le nazioni, raduna per sé tutti i popoli. 6Forse che tutti non lo canzoneranno, non faranno motteggi per lui? Diranno: «Guai a chi accumula ciò che non è suo, – e fino a quando? – e si carica di beni avuti in pegno!». 7Forse che non sorgeranno a un tratto i tuoi creditori, non si sveglieranno e ti faranno tremare e tu diverrai loro preda? 8Poiché tu hai saccheggiato molte genti, gli altri popoli saccheggeranno te, perché hai versato sangue umano e hai fatto violenza a regioni, alle città e ai loro abitanti. 

9Guai a chi è avido di guadagni illeciti, un male per la sua casa, per mettere il nido in luogo alto e sfuggire alla stretta della sventura. 10Hai decretato il disonore alla tua casa: quando hai soppresso popoli numerosi hai fatto del male contro te stesso. 11La pietra infatti griderà dalla parete e la trave risponderà dal tavolato. 

12Guai a chi costruisce una città sul sangue, ne pone le fondamenta sull’iniquità. 13Non è forse volere del Signore degli eserciti che i popoli si affannino per il fuoco e le nazioni si affatichino invano? 14Poiché la terra si riempirà della conoscenza della gloria del Signore, come le acque ricoprono il mare. 

15Guai a chi fa bere i suoi vicini mischiando vino forte per ubriacarli e scoprire le loro nudità. 16Ti sei saziato d’ignominia, non di gloria. Bevi anche tu, e denùdati mostrando il prepuzio. Si riverserà su di te il calice della destra del Signore e la vergogna sopra il tuo onore, 17poiché lo scempio fatto al Libano ricadrà su di te e il massacro degli animali ti colmerà di spavento, perché hai versato sangue umano e hai fatto violenza a regioni, alle città e ai loro abitanti. 18A che giova un idolo scolpito da un artista? O una statua fusa o un oracolo falso? L’artista confida nella propria opera, sebbene scolpisca idoli muti. 

19Guai a chi dice al legno: «Svégliati», e alla pietra muta: «Àlzati». Può essa dare un oracolo? Ecco, è ricoperta d’oro e d’argento, ma dentro non c’è soffio vitale. 20Ma il Signore sta nel suo tempio santo. Taccia, davanti a lui, tutta la terra!

Capitolo 3

Lode e supplica

La preghiera di Abacuc è la risonanza personale alla risposta ricevuta da Dio che gli assicurava che il giusto avrebbe continuato a vivere grazie alla sua fede. La preghiera, soprattutto la lode, è sempre la risposta migliore alla parola ricevuta. 

Egli è in sintonia con il salmista: «Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita; contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano e la tua destra mi salva. Il Signore farà tutto per me. Signore, il tuo amore è per sempre: non abbandonare l'opera delle tue mani» (Sal 138,7-8). 

2Signore, ho ascoltato il tuo annuncio, Signore, ho avuto timore e rispetto della tua opera. Nel corso degli anni falla rivivere, falla conoscere nel corso degli anni. 

v. 2 Ha conosciuto il nome, la fama di Dio e ha udito il racconto delle grandi azioni del Signore. È ben consapevole della rinomanza che Dio si è procurato con l’operare le grandi meraviglie del passato, le quali suscitano ancora stupore e rispetto profondo nel suo animo. Chiede che Egli le mantenga in vita (hayyehu) e le manifesti nel presente (e nel futuro). 

Nello sdegno ricòrdati di avere clemenza.

Lo sconvolgimento determinato dai fatti perturbanti (be roghez) che stanno accadendo, deve essere dominata dallo “sconvolgimento” delle viscere materne del Signore (rachem tizkor). La misericordia di Dio deve superare la sua giustizia; il rinnovamento deve vincere il peccato. Dove abbonda il peccato, sovvrabbonda la grazia. 

3Dio viene da Teman, il Santo dal monte Paran. La sua maestà ricopre i cieli, delle sue lodi è piena la terra. 4Il suo splendore è come la luce, bagliori di folgore escono dalle sue mani: là si cela la sua potenza

v. 3 a Il profeta descrive la venuta del Signore (Eloha) che si è fatto conoscere al Sinai. Teman e Paran sono situate a sud-est di Giuda, regioni abitate da Edom, le prime percorse da Israele nel cammino dell’esodo. È rievocata, quindi, l’uscita dall’Egitto, un evento di liberazione che ora si sta rinnovando. Dio viene a salvare il suo popolo, il suo consacrato, in un nuovo Esodo (v.13). 

v.3 b Il suo splendore (la sua maestà) copre i cieli come se fossero avvolti da una nube luminosa e la sua lode riempie la terra. 

La terra è piena di violenza (Gen 6,10; Ez 9,9) e d’inquietudine (Sap 9,15) ma, proprio per questo, l’intervento della misericordia di Dio diventa più sollecito così che essa diventi piena della gloria di Dio (Is 6,3; Sal 72,19); piena del suo amore (Sal 34,5), della sua giustizia (Sal 48,11) o delle sue lodi. «La misericordia non è necessaria dove non c'è miseria. Sulla terra abbonda la miseria dell'uomo e sovrabbonda allora la misericordia di Dio» (Agostino PL 36,287).

v. 4 Il suo splendore è luminoso. Bagliori, raggi potenti [corni] escono dalle sue mani con le quali agisce con grande forza. L’apparizione di Dio è così luminosa da abbagliare, da renderlo perciò invisibile. «Sei rivestito [Signore] di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto» (Sal 104,1-2). «Abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo» (1 Tm 6,16).

5Davanti a lui avanza la peste, la febbre ardente segue i suoi passi. 6Si arresta e scuote la terra, guarda e fa tremare le nazioni; le montagne eterne vanno in frantumi, e i colli antichi si abbassano, i suoi sentieri nei secoli. 7Ho visto le tende di Cusan in preda a spavento, sono agitati i padiglioni di Madian. 

v.5 La peste è simbolo delle gravi punizioni contro quelli che gli resistono e si rifiutano di credere a lui. «Diede in preda alla peste la loro vita» (Sal 78,50; Cf Dt 32,24). Nulla può resistere di fronte alla sua energia. «Il Signore avanza come un prode» (Is 42,13). Ora il Signore intende devastare le potenze che vogliono annientare il suo popolo (v.12), in modo particolare Babilonia. L’incedere del Signore suscita un forte timore nella natura (colli e montagne) e nei popoli nomadi del deserto (Cusan e Madian). 

8Forse contro i fiumi, Signore, contro i fiumi si accende la tua ira o contro il mare è il tuo furore, quando tu monti sopra i tuoi cavalli, sopra i carri della tua vittoria? 9Del tutto snudato è il tuo arco, saette sono le parole dei tuoi giuramenti. Spacchi la terra: ecco torrenti; 10i monti ti vedono e tremano, un uragano di acque si riversa, l’abisso fa sentire la sua voce e in alto alza le sue mani. 

Dio contrasta vigorosamente l’irrompere del caos, immaginato come un violento fortunale sul mare che è pensato come abitato da mostri. «I quattro venti del cielo si abbattevano impetuosamente sul Mare Grande e quattro grandi bestie, differenti l’una dall’altra, salivano dal mare» (Dan 7,2-3). Nel passaggio del Mar Rosso il Signore aveva combattuto contro le forze che contrastavano la sua opera liberatrice: «Allora gli Egiziani dissero: “Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!”» (Es 14,25). «Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio. Ti videro le acque, o Dio, ti videro le acque e ne furono sconvolte; sussultarono anche gli abissi. Le nubi rovesciavano acqua, scoppiava il tuono nel cielo; le tue saette guizzavano. Il boato dei tuoi tuoni nel turbine, le tue folgori rischiaravano il mondo; tremava e si scuoteva la terra. Guidasti come un gregge il tuo popolo per mano di Mosè e di Aronne» (Sal 77,16-20). 

11Il sole, la luna rimasta nella sua dimora, al bagliore delle tue frecce fuggono, allo splendore folgorante della tua lancia. 12Sdegnato attraversi la terra, adirato calpesti le nazioni. 13Sei uscito per salvare il tuo popolo, per salvare il tuo consacrato. Hai demolito la cima della casa del malvagio, l’hai scalzata fino alle fondamenta. 14Con le sue stesse frecce hai trafitto il capo dei suoi guerrieri che irrompevano per disperdermi con la gioia di chi divora il povero di nascosto. 15Calpesti il mare con i tuoi cavalli, mentre le grandi acque spumeggiano

v.11 Continua la descrizione della lotta vittoriosa del Signore contro il caos, che si ripresenta nelle nazioni nemiche invasori. La battaglia ha una risonanza sulla natura come accadde con Giosuè a Gabaon (Gs 10.12), al punto da coinvolgere il sole e la luna. Un’opera divina esercita una sua forte influenza sul mondo perciò il cosmo manifesta la sua partecipazione all’evento, come accadde alla morte di Gesù: «A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio» (Mt 27,45). 

v. 12 Il Signore calpesta tutte le nazioni con sdegno. Calpestare fino a ridurre in polvere segnala una vittoria significativa (Cf 2 Re 13,7). Compie ciò che fanno le superpotenze ma quest’ultime calpestano per opprimere mentre il Signore per annientare i loro progetti iniqui. «Rende vani i pensieri degli scaltri, perché le loro mani non abbiano successo. Egli sorprende i saccenti nella loro astuzia e fa crollare il progetto degli scaltri» (Gb 5,13.14). «Secca l’erba, appassisce il fiore ma la Parola del nostro Dio dura sempre» (Is 40,8). «Conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11).

Il salmo 33 offre un’indicazione dello stesso genere. Dio annulla i disegni [iniqui] delle nazioni e rende vani i progetti [nefasti] dei popoli (v.10). La dispersione avvenuta alla torre di Babele è esemplare in questo senso. Contro quei progetti deteriori, fa valere il suo, elaborato nel suo cuore, un piano dalla durata eterna (v.11). Inutile opporre i mezzi della presunta onnipotenza umana, simboleggiata nel grande esercito o nei prodi violenti e presuntuosi (v.16). Chi sarà il vincitore? «Ecco l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore» (v.18). Questi supera le situazioni di morte e viene nutrito misteriosamente in tempo di fame. «Chi fa affidamento sui carri, chi sui cavalli: noi invochiamo il nome del Signore, nostro Dio. Quelli si piegano e cadono, ma noi restiamo in piedi e siamo saldi» (Sal 20,9). 

In ultima istanza, il Signore annienta i peccati e i vizi degli uomini, non le persone; calpesta il peccato e la morte. «È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi» (1 Cor 15,25). 

V.13 Annuncia la demolizione totale della casa del malvagio che è lieto di divorare il misero. «Il Signore ha rovesciato i troni dei potenti, al loro posto ha fatto sedere i miti. Il Signore ha estirpato le radici delle nazioni, al loro posto ha piantato gli umili. Il Signore ha sconvolto le terre delle nazioni e le ha distrutte fino alle fondamenta. Non è fatta per gli uomini la superbia né l’impeto della collera per i nati da donna» (Sir 10,14-18). «Dio li scuoterà dalle fondamenta... Si presenteranno tremanti al rendiconto dei loro peccati; le loro iniquità si ergeranno contro di loro per accusarli» (Sap 4,19-20). 

16Ho udito. Il mio intimo freme, a questa voce trema il mio labbro, la carie entra nelle mie ossa e tremo a ogni passo, perché attendo il giorno d’angoscia che verrà contro il popolo che ci opprime. 17Il fico infatti non germoglierà, nessun prodotto daranno le viti, cesserà il raccolto dell’olivo, i campi non daranno più cibo, le greggi spariranno dagli ovili e le stalle rimarranno senza buoi. 18Ma io gioirò nel Signore, esulterò in Dio, mio salvatore. 19Il Signore Dio è la mia forza, egli rende i miei piedi come quelli delle cerve e sulle mie alture mi fa camminare

Riferisce il sentimento provato nell’ascoltare l’annuncio del Signore e nel contemplare la manifestazione luminosa della sua gloria. Il sentimento più importante sta nella fiducia del compimento della promessa divina. Spesso la manifestazione di Dio suscita reazioni sconvolgenti: «Quando la [gloria del Signore] vidi, caddi con la faccia a terra» (Ez 1,28). «Vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato… E dissi: sono perduto!» (Is 6,5). Soltanto dopo la Pasqua di Gesù, ogni battezzato «ottiene la libertà di accedere a Dio in piena fiducia» (Ef 3,12). 

Abacuc continua a soffrire per le conseguenze dell’invasione dei Caldei che ha devastato la campagna. Geremia aveva profetizzato la rovina causata dalla guerra: «[Babilonia] divorerà le tue messi e il tuo pane, divorerà i tuoi figli e le tue figlie, divorerà le greggi e gli armenti, divorerà le tue vigne e i tuoi fichi» (Ger 5,17). 

Ciò nonostante continua a sperare nel Signore e la speranza gli infonde una gioia profonda. «Allora troverai la delizia nel Signore» (Is 58,14). «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla» (Gc 1,2-4). «È retto di cuore l'uomo che, soffrendo per quanto gli accade, non ritiene che Dio sia insipiente. Un legno storto, anche se lo collochi sopra un pavimento liscio, non si adagia ma sempre si muove e traballa; così anche il tuo cuore, finché è distorto, non può allinearsi con la rettitudine di Dio, così da aderire a Lui» (Agostino, PL 36,273.274).


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