Il re Saul aveva cominciato a perseguitare David per invidia, per paura che questo giovane coraggioso gli strappasse il trono. David aveva dovuto fuggire nel deserto e altri giovanni, scontenti del governo del re, l’avevano accompagnato. La faccenda da privata era diventata pubblica; la fuga di Davide era diventava una questione sociale. Saul reagisce cercando di catturarli, impiegando una parte dell’esercito. La reazione di David, invece, è invece un tentativo di riconciliazione. Si avvicina al re mentre dorme e gli sottrare una brocca d’acqua e una lancia. Gli dimostra che avrebbe potuto ucciderlo ma che non ha voluto farlo. A questo punto Saul avrebbe dovuto sospendere l’inseguimento e integrarlo di nuovo a corte. Con il suo gesto Davide voleva inpedire che lo scontro tra lui e il re diventasse col tempo una guerra civile.
A differenza di lui, il suo amico Abner voleva invece uccidere Saul con il pretesto che era stato Dio stesso a metterlo nelle sue mani. Qui vediamo l’importanza del discernimento. Di fronte allo stesso fatto, vediamo due interpretazioni differenti. Abner parla subito del volere di Dio (è Dio che te l’ha messo nelle mani). In realtà accampa un argomento religioso per fare ciò che desidera, ossia vendicarsi. Davide invece vede un'opportunità di riconciliazione e pensa che fare questo sia la volontà di Dio. Egli ragiona così perché tra lui e Saul mette in mezzo il Signore. Spera nell’aiuto e nella giustizia di Dio. Anche Gesù farà così: insultato non rispondeva con oltraggi, soffrendo non minacciava vendetta ma rimetteva la sua causa a Colui che giudica con giustizia. Anche noi dobbiamo porre il Signore tra noi e il nostro prossimo. Quando, ad esempio, c’è un conflitto, la persona che ama Dio cerca sempre la riconciliazione; mentre chi ama se stesso pensa subito che non ci sia più niente da fare e che bisogna arrivare alla rottura.
Questo purtroppo non avviene solo tra le persone ma anche tra le nazioni. Se uno desse fuoco alla casa, per far fuggire i ladri, lo considereremo uo stupido eppure spesso ci comportiamo con il prossimo seguendo le leggi della stupidità. La prima: Fare a noi stessi un danno doppio di quello che infliggiamo all’avversario, pur di spuntarla contro di lui.
Porgere l’altra guancia. Che cosa significa? Usiamo degli esempi concreti. Se un mafioso costringe a pagare il pizzo per qualche attività, chi paga non sta porgendo l’altra guancia come insegna il Vangelo sta soltanto agendo per paura cercando una falsa opportunità. Se uno a cui è stato imposto il pizzo, reagisce con violenza e procura danni al suo agressore, si ribella giustamente ma neppure lui si comporta secondo il Vangelo. Gesù chiede di reagire al male senza aggiungere altro male, come ha fatto lui. L’imitazione della bontà di Gesù richiede un lungo percorso di vita.
Pensiamo al perdono. C’è chi non compie alcun male contro il nemico, e questo è il primo passo del perdono. Se sente tuttavia, che un altro gli ha procurato del male e lui ne gode. Questo non è ancora perdono. Uno può rattristarsi nel sentire che il suo avversario ha ricevuto un male però si rattrista se egli ha ricevuto un bene o se è stato onorato. Questa tristezza è una specie di rancore. Se uno invece è contento che il suo avversario riceva del bene, questi ha perdonato in modo perfetto.
Il perdono è una possibilità grande che Dio ci concede, non è un ulteriore aggravio. La felicità più grande consiste nel diventare amore, non soltanto nel fare cose buone
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