sabato 11 marzo 2023

Gregorio di Nissa Omelie sul Cantico dei cantici Conclusione

Conclusione


Riassumiamo le convinzioni più importanti di G., esposte nella sua predicazione, confrontandole con i risultati conseguiti dalla riflessione teologica contemporanea. Un tema centrale delle Omelie è il ripristino della costituzione dell’uomo ad immagine di Dio, annunciata dalla Sacra Scrittura (non soltanto in Gen 1,26). 

 «Secondo l’immagine» nella Bibbia

Gli esegeti e i teologi contemporanei hanno cercato di cogliere, con precisione, il significato letterale del dono concesso da Dio all’uomo: essere a sua immagine. 

Nel libro della Genesi, infatti, viene affermato che l’uomo è stato creato «ad immagine, secondo la somiglianza» (Gen 1,26). Sembra questo la traduzione più precisa dell’espressione: betzalmenu kidmutenu

Il primo termine, immagine (zelem), allude ad un dipinto o ad una statua che ha la funzione di rendere visibile ciò che è assente, o invisibile. L’uomo, quindi, pur nella fragilità della sua umanità, viene incaricato di rappresentare Dio invisibile. Il secondo termine somiglianza (demut) indica un rapporto di similitudine tra due realtà, come tra una persona reale e la sua riproduzione artistica. 

Il Dio incomparabile ha voluto che ci fosse una similitudine privilegiata con l’uomo, e questo dono apre alla possibilità d’una Alleanza o amicizia con lui (Sir 17,12). 

Il significato dell’essere ad immagine, quindi, viene compreso soltanto nell’intero sviluppo storico della riflessione biblica: «Egli ci ha fatti e noi siamo suoi» (Sal 100,3). Non è possibile, allora, comprendere il significato completo dell’immagine limitandosi al contenuto enunciato in Gen 1,26. 

L’essere ad immagine, quindi, è molto di più della semplice superiorità sugli animali, molto di più del dominio del mondo, sia pure nello stile di rispetto per ogni creatura, proprio di Dio. È anche di più della capacità di generare vita («maschio e femmina li creò»). 

L’alito divino che ha reso vivente l’uomo, viene identificato, in seguito, con lo spirito di sapienza (Sap 1,5-6; 7,22-30). L’uomo può imitare Dio nella via della giustizia e, in questo senso, diventare figlio di Dio e sua riproduzione visibile. 

Un ulteriore sviluppo avviene nel Nuovo Testamento. La riflessione del Nisseno sull’uomo non si basa soltanto sugli enunciati della teologia veterotestamentaria ma soprattutto sulla quelli aperti in seguito alla Pasqua di Cristo. Il Nuovo Testamento, riprendendo le indicazioni profetiche dell’Antico Testamento, le sviluppa e le completa. 

Una prima grande apertura consiste nel vedere in Gesù l’Immagine di Dio: «Tutto ciò che il Creatore aveva voluto donare alla creatura umana con l’alito soffiato nelle narici di adam, tutto ciò che i sapienti avevano desiderato e i profeti avevano promesso, ciò che il Salmista aveva ammirato come prodigio riversato sul figlio dell’uomo, si è realizzato nella persona di Gesù. Un uomo fra gli uomini, un vero uomo»

Inoltre Egli è definito anche non soltanto come l’Unigenito del Padre (Gv 1,18) ma anche come il Primogenito dei figi di Dio (Rm 8,29). Nei Vangeli troviamo l’invito ad essere perfetti come il Padre, ad imitare la sua misericordia di Dio, per divenire suoi veri figli. Perciò la tradizione teologica, sviluppata in particolare da Paolo e dalla sua scuola, ripropone con forza il tema ideale dell’immagine di Dio (2 Cor 3,18). 

«Secondo l’immagine» in Gregorio

Gregorio di Nissa è un autorevole testimone di questa tradizione neotestamentaria  iniziata dall’Apostolo. Al centro della sua spiritualità troviamo la possibilità, da parte del cristiano, di raggiungere una conformazione sempre più fedele all’Immagine di Dio che è Gesù Cristo. 

Ripropone, perciò, la metafora veterotestamentaria della relazione tra un modello (o Archetipo) e la sua riproduzione (artistica), secondo uno dei significati originari di Selem/Demut: «Chi osserva su una tavoletta dipinta una figura che imita accuratamente il modello, vede che l'uno e l'altro presentano il medesimo aspetto e perciò può affermare che la bellezza irradiata dal dipinto è la stessa che appare nel prototipo, come anche che il modello può essere contemplato chiaramente nella sua riproduzione»

Soprattutto, rimanda volentieri ad un passo paolino che dilata il senso di Gen 1,26: «Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3,18)

Vediamo alcuni casi: «Avvicinandoti alla Bellezza archetipa, tu stessa sei diventata bella perché rifletti la mia immagine come fossi uno specchio». «Lo specchio della natura umana non potrebbe immediatamente rifulgere di grazia, se non si fosse esposto alla bellezza e se non si fosse conformato al prototipo, al fulgore di Dio… Ora ella contempla la bellezza archetipa. Esponendosi alla luce, diventa luce»

G. non pensa alla vita cristiana come ad una sequela di Cristo (come era stato proposto ai discepoli durante la vita terrena del Maestro) e neppure come una imitazione delle sue virtù, sebbene questo elemento non sia assente. L’esistenza cristiana inizia dalla presenza del Risorto in noi che ci comunica la sua vita e vuole diffonderla in noi. Solo a partire da queste evento di pura grazia, è possibile parlare di sequela o d’imitazione delle sue virtù. 

In questo senso parla più volte della crescita di Cristo in noi. L’etica cristiana sta tutta nella conformazione a Cristo, intesa come una crescita in noi della sua forza divina: «Gesù, nato per noi come un bambino, cresce in sapienza, età e grazia nelle persone che lo accolgono, ma lo fa in modi diversi. Non si trova in tutti allo stesso modo ma appare come un bambino, come un adolescente o come un adulto a seconda della disponibilità di chi raccoglie e nella misura in cui ne è degno chi lo riceve»

Il ripristino dell’immagine

G. pensa che, nell’uomo, l’immagine divina si sia offuscata, ma non cancellata e che essa possa essere ripristinata nel suo splendore. 

L’uomo, nel momento stesso della sua creazione, si trovava in uno stato di perfezione. Afferma questa opinione per conformarsi al messaggio biblico, il quale attesta che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e lo ha collocato nel giardino. La perfezione, tuttavia, non esclude il mutamento, la continua trasformazione verso il meglio. In che cosa consiste, allora, questa perfezione originaria? La tradizione teologica ha parlato di doni preternaturali

La condizione primitiva dell’uomo viene delineata da G. in base a ciò che il credente, di fatto, ha già potuto recuperare, in seguito alla redenzione, nella grazia dello Spirito: l’amicizia con Dio, la fraternità, il dominio di sé, la dolcezza della fatica dell’amore. I beni di cui gode il cristiano nella nuova creazione rivelano con chiarezza l’intenzione originaria di Dio e ciò che era possibile all’uomo, se avesse corrisposto alla sua iniziativa d’amore. È lo splendore attuale dei santi a rivelare l’eventuale gloria dell’Adamo primitivo. Del resto, tutta la riflessione biblica sulla creazione, la condizione paradisiaca, la caduta e il ripristino del bene perduto, venne elaborata a partire dall’esperienza storica che Israele visse nell’alleanza con Dio, nel corso della sua storia. In questi racconti emergono i parametri costanti che sottostanno agli eventi; sono come i trascendentali della storia salvifica. 

La riflessione sull’offuscamento dell’immagine e sul recupero della sua integrità originaria non intende sollecitare curiosità sul passato, ma ha una valenza per il presente in quanto intende sostenere il progetto di conversione. Tale intento emerge con evidenza nella Omelia II. La Sposa/Chiesa narra la sua vicenda nella sua interezza (il passaggio dalla bontà iniziale alla decadenza con il successivo ritorno alla bellezza primitiva) per incoraggiare le giovani (ossia i credenti) a non perdere la speranza ma ad imitare il suo esempio. L’ascoltatore al quale G. dirige la sua predicazione è un uomo che porta in sé, nello stato misero di persona decaduta, le tracce di gloria dell’essere ad immagine e, in questo contrasto, rivive in sé la situazione dell’umanità intera.

L’esegesi attuale insiste nel rilevare come nella Bibbia lo stato paradisiaco non era una situazione utopica ma una condizione positiva, affidata alla libertà dell’uomo. 

G. condividerebbe questa opinione. A suo giudizio, il bene ricevuto doveva essere consolidato e l’uomo doveva esercitare la sua libera propensione al bene. «Non si era ancora consolidata l’abitudine al bene» ma il radicarsi nella bontà e crescere in essa, è una possibilità ancora aperta. G. non vuole sviluppare fantasie mitiche ma tracciare un cammino possibile di vita. 

Essere benevolenza

Possiamo ora mettere a fuoco il messaggio centrale. L’immagine corrisponde alla presenza dell’amore. L’amare si esprime in una molteplicità di azioni positive che hanno tutte, come denominatore comune, l’imitazione del buon volere di Dio (eudokìa). 

Secondo la visione teologica attuale, già nell’Antico Testamento, «la natura filiale si realizza concretamente quando Israele imita Dio. Il Signore si è riposato il settimo giorno, e Israele farà lo stesso. Dio ha liberato il popolo dalla schiavitù e il padre di famiglia deve allora nel il giorno di sabato adempiere lo stesso gesto nei confronti dei suoi sottoposti. Il Signore ama lo straniero; agendo allo stesso modo Israele opera come Dio. La somiglianza con Dio sarà reale nella misura in cui Israele seguirà Dio nella via della giustizia e della santità»

Secondo G., la massima manifestazione della carità di Dio si è vista nella persona di Gesù, per questo Egli è l’Immagine più autentica del Padre. 

La persona di Cristo, oppure, il suo amore viene scagliato in noi come la punta di una freccia. Di conseguenza, come Egli è stato totale donazione, il recupero in noi dell’essere ad immagine avviene quando riusciamo a fare nostra la sua carità. Dio vuole contemplare nella Chiesa l’immagine del Figlio

Per imitare la carità di Cristo, bisogna far nostre le sue virtù, acconsentendo che Egli le trasfonda in noi, mentre noi, in collaborazione, viviamo la fatica di esercitarci in esse. Non è possible conseguire questo obiettivo se Egli non è presente in noi per svilupparle nella nostra esistenza e se noi non collaboriamo alla sua opera. 

Infine l’essere ad immagine si realizza nell’ospitare Dio in noi. Il fedele ospita Cristo e, con lui, il Padre e lo Spirito. G. sa prospetta quali potrebbero essere le esperienze mistiche suscitate dalla inabitazione di Dio nell’interiorità dell’uomo. All’uomo viene concesso di conoscere la vita del terzo cielo e del paradiso. In modo più concreto, egli vede risvegliarsi in sé i sensi spirituali ed altre esperienze di vicinanza con Dio incluse in quella più comprensiva, denominata percezione della presenza. Forse il Nisseno allude a ciò che gli è stato riferito da altri. In effetti autori mistici contemporanei (Macario/Simeone), o successivi a lui (Diadoco di Foticea, Isacco di Ninive), descriveranno con maggiore precisione ciò che è stato annunciato da G. in modo piuttosto generico. Teodoreto di Cirro potrà esporre le esperienze mistiche degli asceti siriaci usando le categorie elaborate dal vescovo di Nissa. 

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