sabato 11 marzo 2023

Gregorio di Nissa Omelie sul Cantico dei cantici 13.14.15

OMELIA XIII


L’Omelia offre attestazioni teologiche di grande valore, come la necessità dell’incarnazione per poter conoscere il Verbo di Dio, l’unità tra Cristo e la Chiesa. 

Vi scongiuro, fìglie di Gerusalemme, per le forze e le potenze del campo (oppure per le gazzelle e i cervi del campo)… 

(Ct 5,8). L’innamorata chiede alle altre ragazze un giuramento, un atto che sarebbe vietato dal Vangelo (Mt 5,33-37). Tuttavia, secondo G., questa sollecitazione è soltanto un modo per spingerle ad affermare la verità e a restare fedeli alle promesse formulate, ad imitazione di Dio (cf. Omelia IV B 966). 

La verità consolidata, in questo caso, è l’unità tra ortodossia e ortoprassi: la confessione della retta fede deve essere accompagnata dalla coerenza del comportamento a quanto si afferma di credere. L’anima che possiede la vista penetrante di una gazzella, nel concepire una retta fede, e la forza contro il male, simile a quella d’un cervo, sarà in grado di vedere lo Sposo senza macchia e di rimanere ferita dall’amore nella contemplazione di Lui. 

«Due sono i modi con i quali l'uomo si  avvicina a Dio. Uno di questi è avere un giusto concetto riguardo all'essere che veramente è, in modo da non venire sviati da concezioni false e assumere a riguardo della maestà divina, le opinioni dei pagani e degli eretici, fino a condividerle. L'altro modo consiste nell'acquisire un pensiero puro, in grado di espellere dall'anima ogni attaccamento passionale. La menzione delle gazzelle e dei cervi, introducendo queste immagini simboliche, ci da la possibilità di conoscere la forza che ci viene comunicata dal possesso di queste due qualità, per mezzo di esse possiamo sollevare lo sguardo verso il vero essere [gazzella] ed espellere dall'anima ogni attaccamento passionale [cervo]» (B 1372). 

Sono ferita d'amore

(Ct 5,8) La ragazza si scusa del comportamento strano che ha mostrato (quando non aprì la porta all’ innamorato) dichiarando che è presa da un amore folle.

Il passo espone una affermazione teologica di grande importanza: la nostra figliolanza adottiva o deificazione, consiste nell’acquisizione del dono della carità. La presenza di questa virtù testimonia la presenza di Dio e l’efficacia della sua azione di grazia in noi. Ribadisce quanto aveva già affermato nella quarta omelia: «Abbiamo imparato dalla sacra Scrittura che l'amore è Dio stesso il quale ha diretto la sua Freccia scelta, l'Unigenito Dio, verso quelli che vengono salvati» (B 960). Nello stesso contesto aveva affermato che la carità consiste nel possedere gli stessi sentimenti di Cristo, al punto da saper imitare gli esempi radiosi che irradiano da Lui (B 958).

«Belle sono le ferite dell'amore e giustamente leggiamo nel libro dei Proverbi: “Le ferite di un amico sono auspicabili, mentre i baci dell'inimicizia sono dannosi” (Pr 27,6 LXX). Chi non ignora i misteri della salvezza comprende facilmente chi sia questo amico le cui ferite sono preferibili ai baci di un nemico. Un amico sincero e fidato è Colui che non ha mai smesso di amarci, anche quando noi gli eravamo nemici. Al contrario, un nemico del tutto inaffidabile e spietato, è [il diavolo, colui che ha dato alla morte chi non gli aveva fatto alcun danno. I nostri progenitori pensavano che la proibizione del male, imposta dal comandamento, fosse per loro una ferita (pensavano che la rinuncia al piacere fosse una ferita) mentre invece l'esortazione a prendere ciò che era dolce e attraente fosse un bacio. L'esperienza insegnò loro che quelle che avevano considerato delle ferite, inferte dall’amic,o erano invece più utili e ptrferibili dei baci del nemico. Cristo, amico buono delle nostre anime, ha dimostrato il suo amore perché mentre eravamo peccatori è morto per noi (Rm 5,8). Allora la sposa, presa da un amore riconoscente per colui che l'ha amata, mostra nel suo corpo la freccia dell'amore, piantata in profondità, come una prova della sua partecipazione alla natura divina. Infatti Dio è amore, come è stato detto, amore che penetra nel cuore con la freccia della fede. Se poi bisogna anche precisare quale sia il nome di questa freccia, allora faccio riferimento a quel che ho appreso da Paolo: “freccia è la fede che opera mediante la carità” (Gal 5,6)» (B 1374.1376). 

«Che cosa è il tuo amato, o bella tra le donne? Che cosa ha di diverso il tuo amato dal suo amico, perché così ci scongiuri?». 

(Ct 5,9). La donna aveva chiesto alle amiche di aiutarla a trovare il suo diletto (5,8) ed ora esse le rispondono chiedendole il motivo di tanto ardore. Perché il giovane merita tanto amore?

Il valore del Cristo consiste nel fatto che nella sua umanità risplende la divinità del Verbo di Dio. Affermare la sua divinità, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, non significa attestare una verità astratta ma lasciarsi stupire dalla carità di chi ha dato se stesso a favore dell’uomo che gli era nemico. 

G. è interessato a mostrare gli effetti salvifici dell’evento dell’incarnazione. Cristo è la primizia dell’umanità nuova, libera dal peccato, animata dalla carità, partecipe della gloria della risurrezione. Tutta la massa dell’umanità può diventare partecipe di ciò che è la primizia, il Cristo. Per diventare una cosa sola con Lui ed essere come Lui, deve far parte del suo Corpo che è la Chiesa. L’unità tra Cristo e la Chiesa è così profonda da poter affermare che chi guarda alla Chiesa, vede Cristo ( πρς τν κκλεσιαν βλέπων, πρς τν Χριστν ντικρυς βλέπει) (B 1384). 

«Come descrive alle giovani lo Sposo da lei cercato? Come tratteggia nel discorso la fisionomia dell'amato desiderato?[…] In Cristo sono presenti l’increato e il creato (increata la natura divina, che esiste da sempre prima dei secoli e con la quale ha fatto tutti gli esseri; è creata la natura umana che rivestì per la nostra salvezza quando assunse il nostro umile corpo). 

Anzi, per esporre questa dottrina in modo più preciso serviamoci delle parole stesse di Dio. È increato colui che era il Verbo fin dal principio, per mezzo del quale tutto fu fatto e senza il quale nulla è stato fatto (Gv 1,1-4); è creato colui che è diventato uomo e ha piantato tra noi la sua tenda (Gv 1,14). […] Sebbene ciò che era manifestato fosse uomo, attraverso di lui conoscevamola gloria dell'Unigenito Figlio pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). La sua natura increata, anteriore al tempo ed eterna, era del tutto incomprensibile e ineffabile; mentre la natura manifestata a noi nella sua carne poteva in qualche misura essere conosciuta…» (B 1380.1382). 

«Per questo la maestra pone sempre grande attenzione a questo fatto e fornisce degli insegnamenti su un tale argomento, nella misura in cui gli ascoltatori possono comprendere. Mi riferisco al grande mistero della pietà (1 Tm 3,16), per mezzo del quale Dio è apparso nella carne, pur essendo di natura divina e si è rivolto agli uomini come un uomo, come un servo. Egli si è unito definitivamente alla natura umana effimera, poiché ne ha assunto una primizia mediante un parto verginale. [In conseguenza] può santificare per sempre, insieme a questa primizia, tutta la massa, la natura [umana] comune [a tutti]. [Compie questa santificazione] per mezzo degli uomini che si uniscono a lui nella comunione del mistero, quando nutre il suo corpo che è la Chiesa, quando integra ordinatamente nell'unità dello stesso corpo le membra rinate per mezzo della fede e porta il tutto alla perfezione adeguata, assegnando ai credenti il ruolo dell'occhio, della bocca, della mano e delle altre membra, in modo conveniente e armonioso. Così insegna Paolo: “Uno solo è il corpo ma molte le membra(1 Cor 12,12-28). […] Quindi chi vede la Chiesa, senza dubbio vede Cristo, il quale costruisce e ingrandisce se stesso aggregando a se altri uomini salvati» (B 1382.1384). 

II mio amato è bianco e rosso

(Ct 5,10) La ragazza spiega alle amiche i motivi per i quali è stata affascinata dal suo diletto. 

Secondo G., la carità presenta la medesima intensità di un innamoramento perché mostra una passionalità intensa  ma non dice che il semplice innamoramento sia già carità evangelica. 

La Sposa/Chiesa rimane trafitta dalla freccia dell’amore soltanto se rimane in contemplazione dell’umanità del suo Sposo/Cristo. La Chiesa, nel tempo presente non può ammirare il Verbo nella sua essenza divina ma lo può contemplare nella sua umanità, come si manifesta nel racconto evangelico. 

«La sposa che ha liberato gli occhi dal velo, vede con sguardo limpido la bellezza indicibile dello sposo e a causa di questa visione viene colpita dalla freccia spirituale e infuocata dell'amore. L’«eros» è la carità intensa ma di questo innamoramento nessuno si vergogna poiché il colpo di freccia non lo ha preso in modo carnale; anzi si vanta della ferita quando la freccia della passione immateriale viene accolta nella profondità del cuore. È proprio questo ciò che la sposa ha fatto e lo comunica alle giovani dicendo: “Sono ferita d'amore”»(B 1384).

«La sposa che è giunta a questo grande livello di perfezione, poiché deve rendere nota anche alle giovani la bellezza dello sposo, non le conduce immediatamente [al Verbo], a ciò che era fìn dal principio (non era possibile far conoscere solo con la parola colui che trascende ogni discorso umano) ma piuttosto alla manifestazione divina avvenuta per noi mediante l'incarnazione. Anche il grande Giovanni usa questo metodo; non dice nulla riguardo a ciò che era dal principio ma ci presenta accuratamente ciò che abbiamo visto e udito, ciò che le nostre mani hanno toccato riguardo alla parola della verità (1 Gv 1,1). La sposa annuncia questo alle giovani: “II mio amato è bianco e rosso, scelto fra mille e mille. Il suo capo è oro, i suoi riccioli sono come abeti, neri come corvi”. […] Tutti questi particolari introdotti per descrivere la bellezza dello Sposo, non intendono far conoscere la sua divinità, invisibile e inafferrabile, ma soltanto le sue perfezioni manifestate nella storia della salvezza, quando egli apparve sulla terra e conversò con gli uomini rivestito della natura umana» (B 1384.1386). 

Scelto fra mille e mille

Continua l’elogio del diletto da parte della giovane. 

Contemplare ed ammirare la sua splendida umanità è il primo modo di contemplare il Verbo fatto carne. L’altro è quello di vederlo proiettato nella Chiesa, il suo Corpo. Paolo aveva insegnato che le opere della creazione ci mostrano le perfezioni invisibili di Dio (Rm 1,20). Anche Cristo è ora visibile in quella creazione che è rappresentata dalla sua Chiesa. La costituzione della Chiesa è una sorta di creazione:  

«Secondo l'insegnamento dell'apostolo, basandosi sulle opere da lui [Cristo] compiute, si possono vedere le sue qualità invisibili, rese manifeste nella creazione di quel mondo che è la Chiesa. L'edifìcazione della Chiesa è creazione di un mondo; anzi in essa vengono creati sia un nuovo cielo, come afferma il profeta (che consiste nel firmamento della fede in Cristo, come insegna Paolo) sia una nuova terra. Bagnata da un'acqua che proviene dal suo seno, viene plasmato anche un altro uomo, a immagine del suo Creatore, rinnovato mediante una rinascita dall'alto; anche gli astri cambiano natura e a questi viene detto: Risplenderete come astri nel mondo (Fil 2,15), come una miriade di stelle apparse nel firmamento della fede. […] Chi osserva questo mondo sensibile, percepisce, nella bellezza degli esseri, la Sapienza che si manifesta in essi e riesce a cogliere anche la Bellezza Invisibile, per analogia, sulla scorta delle cose visibili e la Sorgente della sapienza che ha dato origine agli esseri emanando da Dio. Anche colui che osserva questo nuovo mondo, la creazione della Chiesa, vede in esso «Colui che è» e diviene «tutto in tutti». Egli, tenendoci per mano, ci conduce nella fede alla conoscenza della natura incomprensibile, fornendoci l'aiuto delle cose comprensibili, quelle che sono alla nostra portata» (B 1386.1388). 

«La sposa inizia il suo insegnamento [partendo] da ciò che ci è familiare e di comprensione immediata: comincia l'istruzione dal corpo. Anche [l'evangelista] Matteo si comporta così. Tracciando la genealogia che prepara al mistero dell'incarnazione, da Abramo e da Davide, ha riservato al grande Giovanni il compito di annunciare, a quelli che avevano già ricevuto una prima formazione mediante questi elementi, il Principio conosciuto da sempre e il Verbo rivelato dal principio della creazione. La sposa introduce le giovani nel mistero seguendo anch'essa questo metodo. La nostra mente non giunge a cogliere l'incomprensibile e l’infinito se prima non ha abbracciato colui che può essere contemplato nella fede, poiché in questo caso ciò che viene visto appartiene alla nostra natura umana. Ella infatti esclama: II mio amato è bianco e rosso. Con la composizione di questi due colori descrive la sembianza caratteristica del corpo» (B 1390.1392). 

Cristo, essendo nato da un parto verginale, ha avuto una nascita dal carattere unico. Anche la Chiesa, ora, a somiglianza di Maria genera molti figli a Dio in modo verginale e Cristo è l’esemplare di molti altri fratelli. Metodio d’Olimpo, citando lo stesso versetto d’Isaia (66,7), aveva insegnato che la Chiesa genera nei battezzati degli altri Gesù ma, seguendo Galati 4,19, dichiara che la Chiesa partorisce nel dolore: «Se la Chiesa nella sua gestazione prova dolore finché il Cristo non sia formato e generato in noi, ciò è perché ogni uomo santo, con la sua partecipazione a Cristo, nasca in quanto Cristo»

«L’uomo viene all'esistenza con il parto. L'unione coniugale conduce al parto di coloro che vengono a questa vita per generazione. Nessuno, dopo essere venuto a conoscenza di quella nascita nella carne proclamata nel mistero della fede, deve credere erroneamente che essa sia avvenuta in modo uguale a tutte le altre nascite. […] Soltanto lui è entrato in questa vita con un nuovo genere di concepiment; la natura non offerse la sua collaborazione ma soltanto la sua sottomissione (B 1392). 

In conseguenza, la sposa afferma che colui che è stato ospitato in questa vita assumendo carne e sangue, è bianco e rosso; lui solo fra migliala e migliaia fu partorito da una vergine pura. La gravidanza non provenne da un congiungimento fisico, il concepimento fu immacolato e il parto fu senza dolore. La potenza dell'Altissimo sostituì l'unione fisica, coprendo la vergine come una nube. […] Non è possibile attribuire il nome di parto a questa nascita, poiché verginità e concepimento sono fatti inconciliabili tra loro. Allo stesso modo in cui fu donato a noi come Figlio senza padre, così anche viene generato un bambino senza concepimento. Come la vergine non capì in che modo prendesse forma, nel suo corpo, il corpo che ospitava la divinità, così non avvertì neppure le doglie del parto, avendo il profeta testimoniato per lei un parto senza dolore. Dice, infatti, Isaia: “Prima di provare i dolori ha partorito... ha dato alla luce un maschio” (Is 66,7) (B 1394)

Per questo viene considerato un eletto e trasformò in due modi l'ordine della natura: non cominciò col piacere, né proseguì col dolore. Questo è accaduto secondo un progetto ordinato. Se Eva che introdusse la morte nella nostra natura in seguito al peccato, fu condannata a partorire nelle lacrime e nel dolore, bisognava necessariamente che la Madre della Vita cominciasse la gravidanza nella gioia e portasse a compimento il parto nella gioia. L'arcangelo le disse: “Ti saluto, piena di grazia” (Lc 1,28) ed espulse con il suo saluto il dolore che accompagnava obbligatoriamente il parto fìn dal principio a causa del peccato. […] Forse la sposa attribuì a lui questo elogio tenendo presenti le altre forme di nascita, accadute in modi diversi dal parto. Tu non ignori quante volte sia stato generato colui che è il primogenito di ogni creatura, primogenito fra molti fratelli, primogenito tra i morti, il primo a dissolvere le angosce della morte e che con la sua risurrezione ha aperto a tutti la possibilità della rinascita dopo la morte. Egli viene generato in tutti costoro, viene alla luce senza essere concepito. La generazione dall'acqua avviene senza concepimento, così pure il ritorno alla vita dopo la morte, come anche la primogenitura di questa creatura divina. In tutti questi casi la nascita avviene senza concepimento. Per questo la sposa esclama: Tu sei stato scelto tra mille e mille» (B 1396). 

Il suo capo è oro di Kephaz

(Ct 5,11). G. spiega il senso dei due termini ebraici [ktem paz] (traslitterati in greco con “chrysion kephaz” anziché chrysion kai phaz): significano oro di qualità purissima. 

Per G., l’oro simboleggia il pregio enorme di Gesù che sta nell’aver vissuto senza peccato. 

«Questo termine ebraico, tradotto nella nostra lingua, indica l’oro puro e integro, privo di qualsiasi corruzione. Gli interpreti pare l'abbiano lasciato nella lingua originale, senza tradurlo, poiché non hanno trovato in greco un vocabolo adatto a rendere la pregnanza di quello ebraico. Ma noi, sapendo che questo termine indica qualcosa di integralmente puro, non inquinato da qualche materia grezza, anzi estraneo ad essa, riteniamo che sia questo il senso della frase citata: Cristo è la testa di quel corpo che è Chiesa (Col 1,18). Parlando ora del Cristo, non alludiamo con questo titolo alla sua natura divina eterna ma piuttosto all'uomo che ha rivelato Dio, a quell'uomo apparso sulla terra ed ha conversato con gli uomini, al frutto di una vergine nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9), alla primizia di tutta la massa (Rm 11,6), in favore della quale il Verbo rivestì la nostra natura e la rese pura liberandola da tutte le passioni che le si erano addossate. Il profeta parla di lui in questo modo: “Non commise peccato, non si trovò inganno nella sua bocca. È stato provato in ogni cosa, a somiglianzà di noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). Quindi l'oro puro, privo di ogni mescolanza col male ed estraneo ad esso è il capo del Corpo della Chiesa, la primizia di tutta la nostra natura» (B 1398.1400). 

I suoi occhi come colombe su ruscelli gonfi d'acqua, lavati nel latte, si posano su ruscelli gonfi d'acqua

(Ct 5,12). Celebrato il capo, G. cerca di trarre qualche altro insegnamento attingendolo dall’elogio espresso dalla sposa sulle altre membra del corpo. Prima di inoltrarsi nei dettagli, richiama l’insegnamento dell’apostolo che ricorda come ognuna delle membra ha bisogno dell’altra. L’occhio, ad esempio, ha bisogno della mano. Fuori metafora ciò significa che la riflessione sui misteri deve essere accompagnata dall’azione ma anche l’azione deve scaturire dalla contemplazione: 

«Insegna l'apostolo, in un passo delle sue lettere che l'occhio non può dire alla mano “Non ho bisogno di te” (1 Cor 12,21). Così dicendo avverte che entrambi sono utili al corpo della Chiesa e che è necessario coniugare una vista acuta con una attività efficace. La contemplazione da sola non conduce l'anima alla perfezione, se non compaiono anche le opere; queste conducono a termine una vita retta. Ma neppure una sapienza tutta volta all'attività raggiunge una vera utilità se non viene guidata nelle opere da uno spirito religioso. Se l'unione degli occhi e della mano è necessaria, allora, seguendo questi versetti, dobbiamo innanzi tutto capire chi siano le persone che svolgono la funzione di occhi (B 1404). 

Nell’elogiare le membra del corpo, G. si sofferma più a lungo sull’importanza degli occhi, perché sono un’immagine dei capi della Chiesa e dei profeti. Dopo aver svelato il contenuto della metafora, chiarisce il motivo per il quale la sposa dichiara: «I suoi occhi come colombe». La colomba è immagine di un’esistenza spirituale, vissuta secondo lo Spirito, e i ministri della Chiesa devono essere persone integre (cf Omelia IV B 926; VII, B 1106).

«La funzione naturale degli occhi è il vedere e per questo, nel corpo, sono collocati sopra gli altri organi di senso, posti là dalla natura allo scopo di guidare tutto il corpo. Quando dunque sentiamo che la Bibbia chiama alcune persone guide alla verità e tra questi dice che uno è veggente (1 Sm 9,9) un altro contemplante (Amos 7,12) e un terzo che è un osservatore (Ez 3,17) (questo nome viene posto da Dio stesso servendosi della profezia) allora dobbiamo concludere: le persone costituite per vedere, per contemplare e per osservare, vengono chiamate occhi» (B 1404). 

«Essi ormai non conducono più un'esistenza lordata da un comportamento carnale ma vivono e camminano nello spirito. L'esistenza spirituale e pura viene simboleggiata dalla colomba poiché anche lo Spirito Santo venne visto da Giovanni in questa forma mentre dal cielo scendeva in volo sulle acque (cf Gv 1,32). Chi nella Chiesa è stato posto da Dio a svolgere la funzione di occhio, se vuole vigilare e osservare in modo onesto, conviene che purifichi nell'acqua la sporcizia del male. Non esiste, tuttavia, un'acqua sola adatta a pulire gli occhi; al contrario il testo dice che c'è una grande abbondanza di queste acque. È necessario rilevare tante sorgenti di acqua purifìcatrice quante sono le virtù, per avere sempre gli occhi purificati da esse. La temperanza è una sorgente d'acqua di questo genere; un'altra consiste nell'umiltà, poi la sincerità, la giustizia, il coraggio, il desiderio del bene e l'estraneità al male. Queste e altre simili ad esse derivano dalla stessa sorgente; pur provenendo da diversi torrenti, confluiscono in un'unica corrente; per esse si effettua la purificazione degli occhi da ogni fango passionale» (B 1406).

Infine G. commenta un ultimo particolare: sono simili a colombe che si posano su ruscelli gonfi d'acqua. Oltre ad esserei estranei al male e agli interessi mondani, i ministri devono posarsi a lungo sui testi della Sacra Scrittura: prestare un'attenzione continua e assidua agli insegnamenti divini (τν γρ διηνεκ προσεδρείαν τς περì τ θεα μαθήματα προσοχς τοιτος ποτίθεται λόγος). «Come la pianta del salice verdeggia grazie all’acqua, così la verginità fiorisce e sboccia continuamente, se viene alimentata dalla sacra dottrina»; «La continua meditazione delle Scritture dei santi riempie l’anima di incontenibile stupore e di divina letizia». Non tutti i ministri però, lamenta G., corrispondono a questo progetto ideale che è quello di mantenere una assiduità di accostamento alla Bibbia (δι παραμονς κα προσεδρείας B 1410). 

«[Il testo] ordina allora di prestare un'attenzione continua e assidua agli insegnamenti divini mentre proclama la bellezza di questi occhi. Nello stesso tempo ci insegna come ottenere anche ai nostri occhi questa purezza, suggerendoci di rimanere sempre presso acque abbondanti. Molti di quelli che svolgono le funzioni di occhi, dopo aver dimenticato di accorrere a queste acque, sono rimasti presso i fiumi di Babilonia, compiendo così ciò che era stato proibito da Dio. “Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non tengono acqua” (Ger 2,13)» (B 1408.1410)

«Molti che fungono da occhi, avendo disprezzato queste acque spirituali e impegnandosi poco per mantenere una assiduità  con la parola divina, hanno scavato per sé la cisterna dell'avarizia o hanno forato la pietra della superbia o hanno scavato il pozzo della vanagloria oppure hanno aperto, con diligenza, altre cisterne di menzogna (B 1410). 


OMELIA XIV


Commentando un passo che elogia le singole membra della Sposa/Chiesa, G. tramite l’uso dell’interpretazione allegorica, evidenzia alcune funzioni rilevanti della Chiesa. Compare il tema della Nuova Alleanza (la Legge scritta nel cuore) (B 1436 ss) e la presentazione di Cristo come Buon Samaritano (B 1460 ss). 

Le sue mascelle sono come fiale di balsamo che effondono profumi.

(Ct 5,13) Le guance, o meglio le mascelle (in greco σιαγών significa sia guancia che mascella), richiamano a G. il compito, assegnato agli annunciatori della parola, di sminuzzare il pane della Scrittura per renderlo commestibile ai fedeli meno esperti ma desidersi di nutrirsi con un alimento più sostanzioso.

«I perfetti, grazie alla conoscenza dei buoni insegnamenti, possiedono dei sensi spirituali esercitati e perciò sono predisposti a ricevere il pane della sapienza ma hanno bisogno, per cibarsene, che la mascella dei denti spirituali, lo sminuzzi. Bisogna allora che nel Corpo di Cristo ci siano anche delle persone che svolgono la funzione di mascelle per quei fedeli che non devono più succhiare alle mammelle del Verbo ma sono desiderosi di un cibo più nutriente» (B 1414.1416). 

[Le mascelle sono come fiale di profumo], Con il nome di fiala viene indicata la verità esposta con chiarezza, senza doppi sensi ingannatori. Questa fiala è costituita da un unguento e il suo scopo è quello di effondere profumo (B 1418). 

Paolo era una fiala di questo genere perché egli non falsificava la parola con astuzia ma s’accreditava annunziando apertamente la verità. Non volle più essere costituito di materia terrena, dal momento che col battesimo si tolse, insieme con la natura di carne, le squame che gli coprivano gli occhi; divenuto figlio dello Spirito Santo, fu riplasmato in unguento profumato. […] Non ebbe più bisogno che qualcuno gli riversasse la conoscenza dei misteri (non era ricorso, infatti, alla carne e al sangue [Gal 1,16]), ma fece scaturire in sé e sgorgare la bevanda divina. Preparava molteplici fiori di virtù a favore di quanti lo ascoltavano. Risultava essere un profumo che rispettava le necessità e le caratteristiche di quanti accoglievano la parola, provvedendo del bisogno di quanti lo cercavano, sia che fossero giudei o greci, donne o uomini, padroni o servi, genitori o figli, persone senza la Legge o osservanti della Legge. Veramente egli possedeva il dono dell'insegnamento insieme ad ogni forma di virtù. Mediante i suoi molteplici insegnamenti, questa Fiala spargeva profumo secondo la necessità degli ascoltatori» (B 1420-1422). 

Le sue labbra sono gigli che stillano abbondante mirra

(Ct 5,13) «Usando una doppia similitudine, il testo ci parla di due virtù differenti richiamate dalla medesima immagine. La prima consiste nella verità chiara e luminosa, quella che può essere contemplata negli insegnamenti ricevuti.[…] La seconda corrisponde al fatto che il messaggio del testo si riferisce in modo esclusivo alla vita spirituale e immateriale, in quanto l'attenzione assidua alle cose spirituali provoca la morte a quel tipo di vita che deriva dalla debolezza umana. La mirra che scorre dalla sua bocca e che riempie l'anima di chi la assume sta a significare la morte del corpo. Nell'uso dei testi ispirati, spesso il termine «mirra» sta a significare la morte» (B 1422). 

«Questo significa, in pratica, che essi [gli annunciatori del Vangelo] inculcano la noncuranza per la vita terrena negli uomini che, invece, si affannano per essa e li rendono come inerti e morti istillando in loro il desiderio dei beni trascendenti (B 1424)». 

«Ancora per mezzo di essi, i grandi combattenti della fede si colmarono di mirra mediante una bella confessione al momento del loro martirio, quando lorttarono per difendere la vera religione» (B 1426). 

Le sue mani sono cesellate, sono d'oro, ricolme, sono di Tharsis

(Ct 5,14) «Nel corpo della Chiesa, la funzione propria dell'occhio non raggiunge il suo scopo se viene disgiunta dall'aiuto offerto dalle mani. Anche questo lo abbiamo già appreso dal grande Paolo, il quale afferma: “Non può l'occhio dire alla mano: non ho bisogno di te (1 Cor 12,21)”. La funzione assegnata agli occhi risalta pienamente quando le opere compiute dimostrano l'acutezza della nostra vista e ciò accade quando esse provano che procediamo sulla strada retta poiché tendiamo verso il bene (B 1426). 

«Ci siamo proposti di esaminare l'elogio rivolto alle mani di quel corpo divino. E necessario, allora, che ci lasciamo guidare dal testo stesso per scoprire come conviene che siano preparati i ministri che nella Chiesa evocano la funzione delle mani. Abbiamo compreso che la Testa è il Cristo […] Egli è d'oro puro, poiché privo di ogni peccato («Egli non commise peccato e non si trovò inganno nella sua bocca» (1 Pt 2,22) ma il testo ispirato aggiunge anche che le sue mani sono d'oro. È chiaro, allora, quanto viene suggerito da questo messaggio: la Bibbia comanda alla mano di fare quel che è assolutamente puro, senza peccato, libero ed estraneo da qualsiasi male. Ritengo, senza dubbio, che la mano rappresenti chi amministra i beni comuni della Chiesa per condurre a termine i servizi stabiliti e che il suo vanto sia quello di assomigliare alla testa nella santità e nell'innocenza. La mano diventerà pura quando, mediante la sua forma affusolata, avrà tolto via quanto ostacola il raggiungimento della sua perfezione» (B 1428).

 Tutti sanno molto bene che gli elementi che, se non vengono tolti, rovinano la bellezza della mano. Mi riferisco, ad esempio, al desiderio di piacere agli uomini, all'avarizia, all'amore della gloria, all'interesse esclusivo dei beni visibili, all'adoperarsi per il proprio vantaggio e i piaceri nostri. Tutti questi atteggiamenti e altri simili devono essere tolti via utilizzando come strumento i buoni pensieri e bisogna che rimanga soltanto l'oro puro e incontaminato della vita retta, corrispondente alla testa immacolata» (B 1430).

Il suo ventre è come una tavoletta d'avorio posta su una pietra di zaffiro

(Ct 5,14) «Quando il Signore della natura affidò a Mosè la legge scolpita su tavole di pietra, le chiamò “tavolette di pietra” sulle quali erano stati incisi i caratteri divini. […] In seguito, dopo che la legge fu purificata da ogni elemento corporale e terreno mediante l'illuminazione del vangelo, la tavoletta nella quale vengono incise le lettere non è più di pietra ma di avorio splendente e raffinato. Il luogo che accoglie i comandamenti e le leggi, chiamato ventre, dice che è una tavoletta di avorio su una pietra di zaffiro (B 1436.1438). 

Se la Parola divina ordina che la visione divina venga scritta diligentemente sulla tavoletta, forse col termine ventre vuole significare la purezza del cuore nel quale, mediante il ricordo, scriviamo le visioni che ci vengono da Dio. Dio che ha aperto la bocca al grande Ezechiele e che gli ha fatto inghiottire il rotolo del libro scritto interamente da ogni lato, all'esterno e all'interno, gli ha detto: “Lo riceverai in bocca e il tuo ventre se ne riempirà” (Ez 11,19); chiama ventre l'elemento conoscitivo e razionale della tua anima, nella quale vengono riposti gli insegnamenti divini, come un ventre.  Da queste frasi siamo indotti a pensare che il ventre indichi il cuore puro, che diventa una tavoletta della legge di Dio e viene annoverato tra quelli che dimostrano, secondo l'attestazione dell'apostolo, come il comando della legge sia scritto nei loro cuori (2 Cor 3,3); queste lettere infatti vengono incise nell'anima non con l'inchiostro ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra ma sulla tavoletta veramente pura, morbida e chiara del cuore, come afferma l'apostolo. Tale deve essere il vertice dell'anima così che in esso venga impresso il ricordo della Parola divina, incisa con caratteri ben visibili» (B 1440.1442). 

Le sue gambe sono colonne di marmo, posate su basi di oro puro 

(Ct 5,15) «Per quanto riguarda il significato che bisogna attribuire a questa immagine allusiva delle colonne, se ci lasceremo istruire da s. Paolo non devieremo dalla retta interpretazione. Egli chiama col nome di colonne della Chiesa i più eminenti tra gli apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni (cf Gal 2,9). […] Vengono rappresentate qui le persone che sostengono e rafforzano con una vita luminosa e con una dottrina sana il corpo comune della Chiesa, mediante le quali la base della fede rimane solida, la virtù consegue il suo corso e tutto il corpo diventa celeste, innalzato dagli slanci della speranza in Dio e per mezzo di esse si ottengono due beni, la verità e la solidità. L'oro, poi, va interpretato come il segno della verità, la quale viene considerata, ed è realmente, il fondamento dell'edifìcio divino. Così insegna Paolo. Egli scrive: “Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo (1 Cor 3,11)”. La verità è Gesù Cristo, per mezzo di essa le gambe rimangono solide, fungono da colonne della Chiesa. Noi pensiamo inoltre che il marmo rappresenti lo splendore della vita indirizzata al bene in modo stabile e irremovibile. Tuttavia poiché erano molte le colonne della tenda della Testimonianza e molte erano anche quelle che sostenevano la casa della Sapienza, mentre ora due sole sono sufficienti a sostenere tutto il corpo, forse era un altro il messaggio a cui voleva condurci questa immagine misteriosa. Penso che mediante queste colonne si alludeva a questo fatto: la legge offriva molteplici strade per giungere alla virtù ed erano molti anche i precetti suggeriti dalla sapienza miranti tutti al medesimo scopo. Ritengo, però, che il messaggio del Vangelo, Parola Abbreviata, abbia ricondotto a una forma più semplice e più essenziale tutta la perfezione necessaria per raggiungere una vita virtuosa dal momento che il Signore ha insegnato così: “a questi due comandamenti sono sospesi tutta la Legge e i Profeti (Mt 22,40» (B 1444.1446). 

II suo palato è tutta dolcezza, tutto ardore 

(Ct 5,16). «Ora pronuncia la parola di presentazione: Questi è lo sposo desiderato! Egli è diventato nostro fratello, germogliando per noi da Giuda (Eb 7,14). In questo modo potè farsi prossimo dell'uomo incappato nei briganti (Lc 10,30-35), ne curò le ferite usando olio e vino e le fasciò, lo caricò sul giumento, lo fece ristorare nell'albergo, offrì due denari per l'alloggio promettendo perfino che, al suo ritorno, avrebbe reso ciò che sarebbe stato necessario in aggiunta per questa opera doverosa. Il significato di ogni particolare della parabola è evidente. Un dottore della legge che voleva mettere alla prova il Signore — era preso dalla brama di mostrarsi superiore agli altri e per vanagloria rifiutava di essere stimato alla pari degli altri, gli rispose sprezzantemente: Chi è il mio prossimo? Allora il Verbo espose, nella forma di un racconto, l'intero piano di salvezza operato per amore degli uomini. Raccontò del viaggio di un uomo, intrapreso partendo da un luogo elevato, dell'agguato dei briganti, dello spogliamente dell'abito dell'incorruttibilità, delle ferite del peccato, dell'incedere della morte fino a colpire una metà della persona umana mentre l'anima rimaneva immortale. Raccontò dell'inutile comparsa della Legge, fece vedere come né il Levita né il Sacerdote avevano curato le ferite dell'uomo incappato nei briganti (non era possibile che il sangue dei tori e dei capri ottenesse la remissione dei peccati) (Eb 9,12-13). Disse che egli, ponendosi come primizia di tutta la massa, si rivestì di tutta l'umanità, assumendo la rappresentanza di ogni popolo, degli ebrei, dei samaritani, dei greci e di tutti gli uomini. Fece sapere che, mediante il suo corpo rappresentato dal giumento, si recò al luogo dove l'uomo si trovava ammalato e ne curò le ferite. Lo fece riposare sul suo giumento e, spinto dal suo amore per gli uomini, gli aprì l'ingresso a quel luogo in cui trovano ristoro tutti gli affaticati e gli oppressi. Chi si dirige verso il Signore, riceve poi dentro di sé il Signore verso il quale si era spinto perché lui stesso lo afferma con queste precise parole: “Dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Quando lo riceve nel suo intimo, l'uomo ospita in sé l'Immenso e da lui riceve due denari, dei quali uno rappresenta il comando di amare Dio con tutta la forza dell'anima, mentre l'altro quello di amare il prossimo come se stessi, come anche il dottore della Legge aveva risposto (Lc 10,27). Tuttavia “non coloro che ascoltano la Legge sono giusti davanti a Dio ma coloro che mettono in pratica la Legge saranno giustificati” (Rm 2,13). Allora non basta ricevere questi due denari (parlo della fede verso Dio e della buone disposizione verso gli uomini) ma è necessario accogliere lui stesso mediante la pratica di questi comandamenti. Per questo il Signore dice al suo ospite che tutto quello che egli avrà fatto per curare quel malcapitato, nella sua seconda venuta, verrà stimato in base al suo sforzo. Il Signore che ha voluto farsi nostro prossimo preso da un grande amore per gli uomini, che è diventato nostro fratello, proprio lui viene ricordato dalla sposa nel suo discorso. Egli viene presentato alle figlie di Gerusalemme dalla sposa immacolata in questi termini: Così è il mio amato e così è il mio amico, fìglie di Gerusalemme. Mi auguro che anche noi, seguendo i contrassegni che ci sono stati offerti, riusciamo a trovarlo e ad afferrarlo per salvare le nostre anime, condotti dallo Spirito Santo, al quale sia gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen» (B 1460.1462.1464.1466). 


OMELIA XV


È l’omelia culminante, nella quale si trova esposto il massimo traguardo a cui tutti i battezzati possono pervenire. La bellezza della Sposa/Chiesa consiste nel possedere la stessa carità (eudokìa) che ha spinto il Verbo a discendere nel mondo. Tutti i fedeli aspirano a raggiungere questa perfezione e quando tutti avranno ottenuto tale possibilità, ci sarà l’unione perfetta tra di loro e Dio sarà tutto in tutti. 

Dov'è andato il tuo fratello, o bella fra le donne? Dove ha rivolto lo sguardo il tuo fratello, perché noi lo possiamo cercare con te?

(Ct 6,1) Le ragazze, amiche dell’innamorata, chiedono di poter cercare l’amato insieme a lei e vogliono sapere da lei dove sia possibile trovarlo. Compare di nuovo il tema della scomparsa e della ricerca della persona amata. 

Nell’ambito della spiritualità, la ricerca di Dio avviene in un rapporto solidale tra i credenti: chi aderisce al Signore Gesù, come fosse una fiaccola, vede divampare in sé quel Fuoco luminoso al quale si è accostato e può accendere anche altre fiaccole ancora spente. A parere di G., è  questo il modo d’evangelizzazione previsto dal Vangelo di Giovanni. I principianti, perciò, devono farsi guidare da persone più mature nella fede e nell’amore .

«Quando il Battista indicò ad Andrea chi era l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29 ss), questi comprese il mistero e si mise a seguire Colui che gli era stato segnalato. Venuto a conoscenza del luogo ove rimaneva, annunciò al fratello [Pietro] che il Preannunziato dai profeti era presente [nel mondo]. Costui che, a motivo della sua fede, aveva quasi anticipato la notizia, si donò con tutta l'anima all'Agnello. Il Signore, cambiandogli il nome, lo innalzò a una condizione più divina; egli fu chiamato Pietro, anziché Simone e divenne anche tale veramente (cf Gv 1,37-42). Del resto anche ad Abramo e a Sara, dopo essere apparso loro più volte, concesse le benedizioni [indicate] dai loro nomi, e dopo averle dilazionate nel tempo. Costituì l'uno come padre e l'altra come progenitrice d'Israele (Gn 17,5.15). In modo analogo, Giacobbe, dopo una lotta protrattasi lungo tutta una notte, meritò di ricevere il nome di Israele e divenne ciò che il titolo comportava (Gn 32,39). Il grande Pietro, tuttavia, non ottenne un dono tanto meraviglioso avanzando gradualmente verso di esso; al contrario, non appena udì il fratello e credette all'Agnello, divenne perfetto nella fede e, assimilato alla Pietra, divenne Pietro (B 1470). 

Filippo, […], dopo essere stato trovato dal Signore (come si legge nel Vangelo: “Gesù trova Filippo” [Gv 1,43]), venne costituito discepolo del Verbo, che gli disse: Seguimi! Avvicinatosi alla vera luce, come fosse una fiaccola, accese anche in sé quella luce e illuminò Natanaele, trasmettendo a lui il mistero della pietà (B 1472). 

Andrea fu guidato verso l'Agnello dall'esortazione di Giovanni; Natanaele fu condotto alla luce da Filippo e, uscito fuori dall'ombra della Legge che l’avvolgeva, si trovò nella vera luce. Ora le giovani, indirizzate alla ricerca del bene indicato loro, si servono come guida, di un'anima che abbia raggiunto la perfezione e sia diventata bella e perciò chiedono alla sposa: Dov'è andato il tuo fratello, o bella tra le donne? (B 1474). 

Vogliono sapere dove egli abita per potersi prostrare là dove pone i suoi piedi ed essere informate sul luogo ove egli volge il suo sguardo, per potersi trovare là, nella speranza che la sua gloria appaia riflessa anche su di loro […]. La maestra, imitando l'esempio di Filippo che disse all'amico “vieni e vedi”, conduce le anime alla conoscenza del Desiderato e, anziché esclamare: “Eccolo”, mostra loro il luogo in cui si trova colui che cercano e dove egli guarda, affermando: “il mio fratello è sceso nel suo giardino”» (B 1476). 

II mio fratello è sceso nel suo giardino…

(Ct 6,2). Il giovane è sceso nel suo giardino, una metafora per alludere al corpo dell’amata. 

Il Verbo partecipa dell’umanità da Lui soccorsa. Il versetto annuncia, profeticamente, il cuore del Vangelo, ossia la con-discesa (συνκατάβασιν B 1478) del Verbo con l’uomo che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, cadde nelle mani dei ladroni. L’uomo della parabola, finito nelle mani di criminali, rappresenta tutta l’umanità ed il Verbo accetta di  rivivere la sua medesima sventura. Scende in basso percorrendo la stessa discesa di chi cadde sotto i nemici (ατος τ καθόδ το μπεσόντος τος πολεμίοις συγκατέρκεται B 1478). Si svuota della sua grandezza indicibile per assumere la povertà della nostra natura. L’umanità che era un deserto diventa un giardino. La Chiesa (composta per lo più da ex-pagani) diventa sorella d’Israele. 

«Con questa affermazione veniamo a conoscere il mistero del vangelo, rivelato dal senso più profondo di ognuna di queste parole. Il Dio apparso nella carne, sorgendo da Giuda, allo scopo di illuminare i popoli che sedevano nelle tenebre e nell'ombra di morte (Lc 1,79; Is 9,1; 42,6), a ragione viene chiamato fratello da colei che dovrà unirsi a lui in sposa, in vista di una unione eterna, poiché ella è sorella del popolo che discende da Giuda (B 1476.1478). 

Il [termine] “discese”, manifesta il Signore che è disceso per colui che scendeva da Gerusalemme a Gerico e che incappò nei briganti. Anch’egli scende, compiendo la stessa discesa dell'uomo caduto in mano ai nemici. Con queste parole, si allude alla discesa amorosa dell'Immensità immortale nella miseria della nostra natura. Mediante la menzione misteriosa del giardino, veniamo a conoscere poi questo evento: Era lui [il Verbo] l'agricoltore che al principio, nel paradiso, si era preso cura della coltivazione umana piantata dal Padre celeste […] Quando il cinghiale devastò noi, il giardino (Sal 79,14), e rovinò la coltivazione divina, egli discese per creare di nuovo il deserto, trasformandolo in un giardino, facendo crescere in esso i germogli della virtù» (B 1478). 

… a pascolare il gregge nei giardini e a cogliere gigli

(Ct 6,2). Prosegue nella metafora del giardino: i credenti stessi diventano fiori ed erbe aromatiche. Dio, contenendo tutti gli esseri, fa di se stesso il luogo e lo spazio di chi attinge il bene. Le persone migliorano assumendo i pricipi vitali presenti in questo luogo che è Dio stesso. I ministri della Chiesa, se assecondano l’opera di Dio, conducono i fedeli verso ciò che è nobile e santo. 

«[Il Verbo] non conduce le pecore in luoghi deserti e spinosi costringendole a nutrirsi di erba secca, ma offre loro in cibo erbe aromatiche del giardino; anzi, invece di erba, [dona loro] il giglio, raccolto — come dice il testo — dal pastore stesso come nutrimento per le pecore. Mediante queste [parole] ci comunica un messaggio : Dio che contiene tutti gli esseri, stringendo a sé il tutto, fa’ di se stesso il luogo e lo spazio [degli uomini] che ricevono la purezza. In costoro spunta un giardino di fiori di giglio, coltivato con le diverse virtù, dove si avvertono intensi profumi. I gigli sono un simbolo di un cuore limpido e puro, mentre invece il profumo indica la ripugnanza verso il lezzo del peccato. 

Dice che tra questi [fiori] dovrà aggirarsi la guida delle greggi spirituali; [dovrà] condurle al pascolo nei giardini, tagliare e raccogliere gigli come cibo per le pecore. Per mezzo delle [parole] del grande Paolo, li offre alle pecore, dopo averli attinti per noi dalla dispensa divina, ponendo davanti ad esse gigli come alimento. Ecco in che cosa [consistono]: “Tutto quello che è vero, nobile, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode (Fil 4,8). Secondo la mia interpretazione, sono questi i gigli con i quali le greggi vengono nutrite da un buon pastore e maestro» (B 1480). 

Io sono per il mio fratello e il mio fratello è per me

(Ct 6,3). La donna testifica la sua appartenenza al giovane da lei amato, chiamandolo fratello. 

La dichiarazione della ragazza consente a G. di presentare la regola (κανν) e la definizione (ρος) della vita spirituale: l’uomo deve possedere soltanto Dio (πλν τοῦ θεο μηδν ἐν αυτ χειν) e diventare di nuovo un’immagine della Bellezza Archetipa, che è il Cristo. Possedere soltanto Dio significa eliminare da sé tutto ciò che è estraneo alla persona di Cristo, la copia fedele del Padre. 

«[Il versetto] costituisce la regola e la definizione della vita virtuosa perfetta. Ecco che cosa comprendiamo: l'anima che si sta purificando non deve possedere nulla in se stessa, eccetto che Dio, né prestare attenzione a qualcos’altro. Deve, piuttosto, liberarsi totalmente da interessi e da aspirazioni materiali fino a diventare un'immagine manifesta della bellezza archetipa, coinvolta ormai del tutto nel mondo intelleggibile e immateriale. Chi osserva sopra una tavoletta dipinta una figura che imita accuratamente un modello, vede che l'una e l'altro presentano il medesimo aspetto e, perciò, può affermare che la bellezza presentata dal dipinto è la stessa che appare nel prototipo, come anche che il modello può essere contemplato chiaramente nella sua riproduzione. Allo stesso modo la sposa, dichiarando: io sono per il mio fratello e il mio fratello è per me, lascia intendere di essere [ormai] conforme a Cristo, di aver ricuperato la sua propria bellezza, la beatitudine originaria della nostra natura umana, di essere bella a immagine e somiglianzà dell'unica, originaria e vera Bellezza (B 1482).

Uno specchio, se è stato costruito con accuratezza, e se è tale da corrispondere al suo scopo, riflette con precisione, sulla superfìcie nitida, la fisionomia della persona che si pone davanti. Allo stesso modo l'anima che ha plasmato se stessa in modo conforme al suo compito, e che ha rimosso da sé ogni bruttura materiale, porta impressa la forma pura della bellezza immacolata. Uno specchio vivente, dotato di libero arbitrio, pensa: se io, in tutta la mia superfìcie, contemplo la persona dell'Amato, allora tutta la bellezza della sua figura viene ammirata anche in me. Paolo fa sue tali affermazioni quando dichiara di vivere per Iddio (Rm 6,11), di essere morto a questo mondo (Gal 2,20) e d’aver vivere in sé soltanto il Cristo (Fil 1,21). 

Chi dice: per me il vivere è Cristo, è come se affermasse, nello stesso tempo, che in lui sono scomparse tutte le passioni umane e terrene: schiavitù al piacere, tristezza, risentimento, astio, irascibilità, avidità, vanagloria e ambizione. È come se dichiarasse che in lui non c'è più alcuno di questi vizi che macchiano l'uomo con la loro impronta e che, invece, appartiene a lui soltanto Colui che è del tutto opposto a queste cose. Ha eliminato tutto ciò che risulta incompatibile con Cristo, e non ha conservato niente di ciò che non può esistere in lui. Quindi se si può dire “per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21) oppure, come dichiara la sposa: “Io sono per il mio fratello e il mio fratello è per me”, allora egli è santificazione, purificazione, incorruttibilità, luce, verità e altre qualità come queste. Egli pasce la mia anima con gli splendori dei santi, non con erba e sarmenti (B 1484). 

È l'aspetto stesso del giglio, con la luminosità del loro colore, a suggerire questo messaggio. Il Pastore che fa pascolare tra i gigli, perciò, conduce il suo gregge ai pascoli trapuntati di gigli, affinchè si avveri l'invocazione: “Sia su di noi lo splendore del Signore nostro Dio” (Sal 89,17)» (B 1486). 

Tu sei bella, amica mia, come la Benevolenza, splendida come Gerusalemme, terribile come un esercito schierato

(Ct 6,4). “Tu sei bella amica mia come Tirza (antica capitale del Regno del Nord)” (TM). “Tu sei bella amica mia come Eudokìa (buona volontà)”(LXX). 

La versione ebraica diverga dalla greca ma possono accordarsi se si connette Tirza alla radice “razah”, compiacersi (il verbo è usato per significare il buon volere [di Dio], il suo compiacimento), che sarebbe simile al verbo “eudokeo”, compiacersi. 

Nel paragrafo precedente, aveva ricordato che il credente deve eliminare gli elementi corruttori per divenire una riproduzione perfetta dell’Archetipo (Cristo). Ora, più positivamente, presenta quale sia il tratto caratteristico dell’essere simili a Dio, ossia la benevolenza (εδοκία). La benevolenza (il volere buono o la carità) corrisponde al proposito di Cristo di assumere la nostra condizione di miseria perché noi potessimo condividere la sua condizione gloriosa. La Sposa viene onorata per aver assimilato la medesima carità del Signore, il suo sentimento di totale “proesistenza”. Tutti gli uomini spirituali sanno condividere l’amore del Cristo. Il tema era già stato annunciato nell’Omelia IV (la Sposa riceva la feccia dell’amore (γάπη B 960) e soprattutto nell’Omelia VII (La Sposa imita l’amore grande [φιλανθρωπία B 1100] di Dio verso tutti gli uomini). 

«La sposa si è dedicata al suo fratello ed ha assimilato la bellezza dell'amato, nel suo spetto. Di quali elogi verrà considerata degna da Colui che glorifica coloro che lo glorificano (1 Sm 2,30)? Lo possiamo comprendere dai versetti che ora esaminiano, proseguendo con ordine. Il Verbo così dichiara alla sposa: “Tu sei bella, amica mia, come la Benevolenza, splendida come Gerusalemme, terribile come un esercito schierato”. 

I pastori, quando videro che la Pace era nata sulla terra, udirono anche l'esercito celeste glorificare Dio altissimo per la sua benevolenza verso gli uomini (Lc 2,13-14); Gerusalemme, dallo stesso Signore di ogni creatura, venne chiamata la città del Gran Re (Mt 5,35). Quelli che hanno familiarità con il Vangelo sanno molto bene tutto questo, e di conseguenza possono intuire quale grandezza il Verbo buono attribuisca alla sposa, accostandola a Gerusalemme e alla Benevolenza divina. È chiaro che il Verbo ci fa sapere che ella ha conseguito queste qualità. Completando la sua ascesa, si è innalzata fino a Lui, e così può ripetere le meraviglie operate dal Signore. 

Il Signore che abita nelle altezze, il Verbo di Dio che dimora nel seno del Padre, spinto dalla sua benevolenza verso gli uomini, si è unito alla carne e al sangue per portare la pace sulla terra. Allora la sposa che ha conformato la sua bellezza a quella benevolenza, imita il Cristo nelle sue opere mirabili, divenendo per gli altri ciò che Cristo fu per l’umanità. 

Paolo stesso, l'imitatore di Cristo, ce ne da l'esempio: egli era disposto a morire per scambiare le proprie sofferenze con la salvezza di Israele, come egli stesso attesta: “Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9,3). Sarebbe giusto dire a suo riguardo, quanto ora ci viene riferito della sposa: la bellezza della tua anima è molto grande, quanto lo fu la benevolenza del Signore verso di noi. 

Egli spogliò se stesso assumendo la condizione di servo (Fil 2,7); diede se stesso come riscatto per la vita del mondo (Mc 10,45), anzi da ricco che era, si fece povero per noi, perché noi vivessimo mediante la sua morte, diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (2 Cor 8,9) e potessimo regnare grazie alla sua condizione di servo (Rm 5,17)» (B 1488.1490). 

L'avvenenza stessa della sposa viene stimata simile alla bellezza di Gerusalemme. Si parla, ovviamente, della Gerusalemme di lassù, quella che è libera ed è madre di uomini liberi (Gal 4,26), la città del Gran Re, come abbiamo appreso dal Signore stesso (Mt 5,35). La sposa che ha racchiuso in sé Colui che è Immenso, fino a rendere possibile che il Signore in persona venisse ad abitare e a vivere in lei, adornata ormai dello splendore stesso di colui che la inabita, diventa anch'essa una Gerusalemme celeste, avendo imitato la bellezza di quella città. Lo splendore e il fascino della città del Gran Re consistono interamente nella maestà stessa del Re; infatti, come attesta il salmo, maestà e splendore appartengono a lui, così almeno leggiamo: “Nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte, avanza per la verità, la mitezza e la giustizia” (Sal 44,4-5). La bellezza divina appare caratterizzata proprio da queste qualità, ossia dalla verità, dalla giustizia e dalla mansuetudine. L'anima diventa bella perché si rende conforme a queste qualità, come Gerusalemme riflette, a sua volta, la bellezza stessa del Re (B 1490.1492). 

Le tue chiome sono come un gregge di capre che scendono da Galaad

(Ct 6,5) G. vuole onorare il movimento ascetico, a lui contemporaneo, che si ispirava al profeta Elia e al Battista

«Elia, che proviene da Galaad, si comportò in questo modo; rivestito il corpo di una pelle di capra, abituato alla fatica e all'austerità, rimase imperterrito di fronte alle minacce del tiranno. Quelli che imitano la nobiltà del profeta e si ergono sopra questo mondo, che sopportano l'indigenza, i patimenti e le molestie, sui monti, nelle caverne, nelle spelonche della terra — sono uomini che il mondo non merita di avere ( Eb 11,38)— costoro, apparsi a schiere attorno alla testa di tutto il corpo, diventano una gloria della Chiesa e salgono insieme col Galaadita alla grazia celeste (B 1502.1504). 

Ogni arte, anche se scoperta da una persona sola, si trasmette poi a molte altre. Ad esempio, riguardo all'arte del fabbro, la sacra Scrittura, dopo aver rilevato che lo scopritore fu Tubalkaim, riconduce a lui questa cultura, riconoscendolo come padre di tutti quelli che hanno lavorato i metalli dopo di lui (Gen 4,22). Lo stesso, si dice, fece Abele per la pastorizia e Caino per l'agricoltura (Gen 4,2); si dice che Nimrod fa l'iniziatore dell'arte venatoria (Gen 10,9) e Noè della viticoltura (Gen 9,20) e che Enos fu il primo a sperare in Dio (Gen 4,26). Dalla Scrittura santa si possono imparare molte altre cose a questo riguardo. Di conseguenza una volta che qualcuno ha introdotto qualche arte scoperta da lui, questa poi passa nella cultura degli uomini, tramite l'imitazione. Ora, se nello zelo verso Dio Elia è stato il migliore di tutti, sotto ogni punto di vista, gli asceti che, dopo di lui, imitano il suo zelo e ripropongono la sua franchezza con lo stesso ardimento, sono come il gregge del profeta che ha fatto da guida in questo genere di vita. Costoro diventano gloria e vanto della Chiesa, costituiti per essere come l'ornamento dei capelli poiché la loro sensibilità sembra quasi distinta e separata da loro» (B 1504.1506). 

Sessanta sono le regine, ottanta le concubine e le giovani sono innumerevoli

(Ct 6,8). L’innamorato afferma che, per quanto numerose siano le donne che i sovrani possono vantare di avere a disposizione, la sua ragazza ha per lui un valore incomparabile: sebbene sessanta siano le regine…, la mia donna è unica. 

Secondo G. le varie donne, per la diversa relazione che hanno con il sovrano, rappresentano condizioni spirituali diversificate, quella propria dei principianti, quella dei progrediti e quella dei perfetti. L’avanzamento nella virtù dipende dalla qualità dell’amore, che deve essere spontaneo, libero, privo di secondi fini (Cf Omelia I, B 774.776). 

«Nella prima creazione non c'era niente che potesse impedire all'uomo il raggiungimento della sua perfezione originaria, perché non c'era alcun male, ma nella seconda fase, quella della nuova creazione, le persone che vogliono ottenere la bontà primordiale devono affrontare un cammino piuttosto lungo, diviso in tappe. Infatti la nostra anima, impregnata di materia a causa del peccato, come se fosse avvolta di una scorza, si libera dalla commistione col male solo un po' alla volta, mediante il comportamento retto. 

Questo spiega come mai ci sia stato insegnato che nella casa del Padre vi stanno molte dimore (Gv 14,2) poiché viene preparata a ognuno una ricompensa corrispondente alla buona condotta realizzata, al suo distacco dal male (B 1514).

Sono molto numerosi quelli che, usciti da poco dall'errore come da un utero profondo, sono come dei neonati, ancora incapaci di accogliere in se stessi il messaggio della fede nella sua articolazione, mediante un assenso non confermato dalla ragione. Sebbene abbiano creduto alla predicazione salvifica del mistero, non possiedono in sé la verità confermata saldamente dalla scienza e dall'abbondanza dell'istruzione. Tutti costoro sono le giovani, perché ancora teneri nell'età spirituale. Condotte dalla loro immaturità e imperfezione lasciano perdurare in loro una mentalità irrazionale (B 1518). 

Quelli invece che mediante un impegno adeguato sono cresciuti spiritualmente e hanno superato ormai l’infanzia, vengono distinti dal testo in due categorie. Tutte queste anime divengono concorporee con il Verbo, le une come le altre, ma alcune si uniscono perfettamente al Signore grazie all'intensità del loro amore [simili a queste erano le anime di Davide e di Paolo, la prima diceva: “II mio bene è stare vicina a Dio” (Sal 72,28); l'altra perché affermava: “Nulla può separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù: né morte né vita, né presente né avvenire, né alcun'altra creatura” (Rm 8,32. 38-39)], mentre altre fuggono l'adulterio solo per paura del castigo. Anch'esse, quindi, rimangono nell'incorruttibilità e nella santità, ma evitano il peggio guidate più dalla paura che dalla spontaneità del desiderio. Le prime, dunque, spinte da un sentimento migliore, unendo il loro desiderio di incorruttibilità con la purezza divina vengono chiamate regine poiché partecipano della sovranità mentre le altre anime, quelle che faticano nella vita virtuosa per paura della minaccia, vengono definite concubine dal testo; infatti, per ora, nessuna di esse merita di diventare madre del Re e compartecipe del potere. Come infatti potrebbe regnare colei che non ha ancora fatto emergere dentro di sé la forza libera e sovrana della vita virtuosa, ma si separa dal male spinta soltanto da un sentimento da schiavi?» (B 1518.1520). 

Unica è la mia colomba, la mia perfetta, ella è l'unica di sua madre

(Ct 6,9). L’amata, prediletta in modo incomparabile, rappresenta la condizione a cui un giorno perverranno tutti i fedeli, trasformati in modo completo dallo Spirito Santo

«Il Vangelo, mediante l'insegnamento esplicito del Signore, ci offre l'interpretazione di questo passo. Mentre conferisce tutta la sua potenza ai discepoli mediante la benedizione, il Signore comunica ai santi altri beni, ottenuti dalle suppliche rivolte al Padre. Aggiunge anche il dono più mirabile: non sarebbero mai stati divisi in vari partiti, a causa dell'incompatibilità dei pareri nelle decisioni su ciò che è bene, ma sarebbero stati una cosa sola, connaturati in un unico e solo bene, cosicché, mediante quel legame di unione che viene donato dallo Spirito, come dice l'apostolo, avvinti dal vincolo della pace, tutti sarebbero diventati “un solo corpo e un solo spirito, unificati dall'unica speranza alla quale sarebbero stati chiamati” (Ef 4,3-4)(B 1528). 

È opportuno, a questo passo, presentare, testualmente, le parole che troviamo nel Vangelo: “Tutti siano una cosa sola. Come tu. Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola” (Gv 17,21). 

Il legame che rende possibile questa unione è la gloria e lo Spirito Santo viene chiamato gloria; chi conosce il Vangelo non rifiuterà questa interpretazione, basta che ricordi le parole del Signore: “la gloria che tu hai data a me, io l'ho data a loro” (Gv 17,22). Donò veramente ai discepoli questa gloria quando disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22). Il Signore che si rivestì della natura umana ricevette questa gloria che aveva da sempre, prima che il mondo fosse. Dopo che questa natura venne glorificata mediante la presenza dello Spirito, consegna lo Spirito della gloria a tutto ciò che gli è connaturato, cominciando dai discepoli. Per questo egli dice: “la gloria che tu hai data a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità” (Gv 17,22).  

Chi dalla fanciullezza passa all'età matura, continuando a crescere e raggiungendo velocemente il culmine dell'età spirituale (Ef 4,13-14), passa anche dalla schiavitù e dal concubinato alla dignità propria della Regina, essendo ormai degno di ricevere lo Spirito della gloria in base alla sua libertà dalle passioni e alla sua purezza; appare anche come la colomba perfetta, verso la quale lo sposo fìssa lo sguardo esclamando: unica è la mia colomba, la mia perfetta, ella è l'unica di sua madre» (B 1530). 

Nella Chiesa tutti i battezzati aspirano a raggiungere la maturità, nell’unione piena con Dio. Dopo aver segnalato questo traguardo, che rapprenta il massimo che la Chiesa può raggiungere, G. sospende il commento al Cantico perché non era possibile aspirare ad un altro traguardo più elevato. 

«Le giovani la proclamano beata, la lodano le regine e le concubine. Tutti [i fedeli], a qualsiasi livello si trovino, vogliono ascendere, protesi verso questa beatitudine. […] Tutti, spontaneamente, si protendono verso ciò che è considerato beatitudine e viene stimata come tale. Se le giovani si congratulano con la colomba, questo significa che anche loro aspirano a diventare colombe. Se la colomba viene lodata dalle concubine e dalle regine, questo fatto prova che anche loro si sforzano di raggiungere quello stato. Così, quando tutti saranno diventati una cosa sola, - tutti quelli che tendono all'unica meta del loro desiderio -, quando in nessuno di loro sarà rimasta alcuna traccia di male, allora “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28), in tutti quelli che, mediante l'unione reciproca, per la comunione nel bene, diventeranno una cosa sola in Cristo Gesù Signore nostro, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen» (B 1532). 

Sintesi


1. La predicazione è un atto che realizza un evento sacro (B 772) perché vuole trasformare gli ascoltatori. Lo scopo della vita è entrare in comunione profonda con il Signore (B 774), simboleggiata dalle nozze, e il mezzo per raggiungerlo è l’amore (B 774). Amare è aprisi a Dio con un sentimento di gratuità, escludendo la paura o la ricerca del proprio vantaggio (Cf. Omelia XV B 1518.1520). La motivazione sbagliata corrode il senso della ricerca e dequalifica il ricercatore: la paura rende schiavi, la ricerca della ricompensa, semplici mercenari. Soltanto l’amore è il sentimento adatto per i figli. L’amore ci consente di aver parte a quello che Dio è. 

La Cantica è il terzo libro che la tradizione sapienziale attribuisce a Salomone dopo quello dei  Proverbi e del Qoelet. Il vero autore è il Verbo stesso di Dio, il Cristo, che si è servito del ministero prestato da Salomone (B 776,17-18). Il libro dei Proverbi che insegna il distacco dal male, l’orientamento al bene e i primi esercizi di vita virtuosa è adatto ai principianti. I più progrediti, vengo nutriti dal messaggio presente nel libro del Qoelet, che li esorta ad interessarsi soprattutto del vero Bene, staccandosi da ogni altro. Per i credenti maturati nell’amore, disposti alla comunione nuziale con Dio, è adatto in modo particolare il libro della Cantica. 

Conclusa l’istruzione preparatoria per mezzo dei primi due libri, Salomone (il Verbo), ci sprona all’unione con Dio, conducendoci all'interno dei «penetrali divini», predisposti da Dio per l’incontro con ogni fedele. Poter entrarvi, equivale ad un ritorno al paradiso delle origini. Il cristiano sperimenta ciò che il Signore aveva pensato per l’uomo fin dall’inizio: paradiso è il dialogo aperto con Dio al quale può partecipare chi si è reso simile a Lui. Il ritorno al paradiso non è vivere un’esperienza d’eccezione, ma corrisponde al godimento della  pacificazione interiore, sperimentata da chi ha dominato la propria passionalità. Aderendo profondamente al Signore, il battezzato diventa con Dio un solo spirito (Cf 1 Cor 6,16). «Gli uomini non possono, né comprendere, né trovare qualcosa di più grande da contenere» (B 794), e «… l'anima, rimanendo intenta alla bellezza inaccessibile della natura divina, viene presa dall'amore per essa, almeno quanto ci si innamora di un’altra persona (B 794). Di conseguenza, il racconto parla di una la relazione affettiva (bacio, profumo, membra del corpo), ma la realtà annunciata è qualcosa di molto più grande. I fedeli possono diventare così padroni delle loro passioni, in modo da poter ascoltare cose spirituali espressi in immagini appartenenti alla sfera della sessualità (B 798). La grazia, anzi, opera una trasformazione totale della persona, così da anticipare, in modo parziale, nel tempo, lo stato proprio della risurrezione. 

 Nel credente si fa avvertire una nuova sensibilità. La sensibilità dello spirito, analoga a quella fìsica, si risveglia nell'uomo purificato che, ponendo tutta la sua gioia in Dio, ha saputo rifiutare i piaceri egoistici. Si rende percepibile al credente nella misura della crescita in lui della vita di Cristo e corrisponde alla presa di coscienza dell'effìcacia della vita di grazia. Il risveglio della percezione spirituale indica il ritorno dell'uomo alla primitiva condizione di Adamo e permette di attingere, in forma prolettica, la beatitudine futura. 

 (Ct 1,4). La giovane, che ha goduto dell’unione con il suo amato, rappresenta la Chiesa delle origini che ha sperimentato una relazione molto viva con il Signore Gesù. Essa, poi, ha tramandato ai cristiani d’ogni epoca la sua esperienza perché tutti loro potessero parteciparvi (cf 1 Gv 1,1-4). È ben rappresentata dal discepolo amato che si posò sul petto del Signore per assorbire il suo mistero, come una spugna. La Tradizione non è soltanto una comunicazione di verità ma la consegna di sé, con cui Cristo si dona sempre alla sua Chiesa.

2. La giovane dichiara di essere tornata bella, recuperando la bellezza d’un tempo che aveva perduto. Questo fatto ricorda la giustificazione per grazia concessa da Dio a favore di chi era nella bruttezza morale. Dio, che ama anche chi è detestabile, ci ha salvati per mezzo di Gesù che ha preso su di sé la nostra corruzzione, per renderci partecipi del suo splendore. La ragazza rappresenta tutta l’umanità che, creata nella bellezza dell’innocenza, fu danneggiata, in seguito, dalla vampa del sole, cioè dalla tentazione del Maligno. Non è stato il Creatore la causa del male, ma la libera scelta di ognuno a dare origine ad esso. Il dramma delle origini che si ripete sempre anche in ogni periodo storico: il rifiuto dell’opera di Dio, la perdita della libertà e il dilagare dell’iniquità. Donò all’uomo la facoltà di desiderare il bene e di attuarlo perché il compiere il bene non doveva essere il risultato d’una costrizione ma una decisione volontaria. Se gli uomini comprendessero bene se stessi, custodirebbero la loro identità e rimarrebbero nel bene, più facilmente. La persona vale per ciò che è, non per i beni che ha conseguito o per talune capacità professionali. G. rileva la transitorietà e, quindi l’illusorietà dei beni cercati con ardore. Il tempo scorre veloce e distrugge gradualmente ogni illusione: non bisogna passare velocemente con ciò che è transitorio ma rimanere costanti nei beni immutabili. 

Infine, G. esalta l’uomo quale unica creatura costituita ad immagine di Dio. Come tale, non soltanto può imitare il Signore nel suo comportamento ma diventare anche sua dimora. Rivolgendo l’attenzione al Signore, come al suo modello, diventa ciò che Egli è. Il ritorno dell'uomo alle sue origini è possibile  tramite la contemplazione o imitazione del divino, un esercizio che richiede una purificazione permanente. 

3. Il Verbo, volendo elogiare la sua amata a motivo dell’energia da lei mostrata nel combattimento spirituale, la paragona alla cavalleria invisibile, ossia alla potenza divina, che sbaragliò quella egiziana al Mar Rosso. Il battesimo veniva considerato come un’attualizzazione sacramentale del passaggio del Mar Rosso. La Sposa, rafforzata dalla grazia battesimale, ha potuto contrastare l’esercito del male fino ad annientarlo. L’energia per operare una vera conversione si trova nel sacramento del Battesimo, la cui grazia si prolunga nell’intera esistenza.

Gli amici della ragazza, volendo adornarla in modo degno del suo amato, si propongono di predisporre per lei ornamenti preziosi. Non viene usato l’oro stesso ma un altro metallo di qualità, simile ad esso. G. interpreta questi ornamenti come un dono parziale e provvisorio, pegno di un bene più grande. Il dono ancora limitato consiste nella conoscenza concettuale di Dio, una realtà eccellente, ma più povera in confronto all’esperienza di Lui. Soltanto la partecipazione a Dio è considerata oro. L’oro rappresenta la divinità ed ora la Sposa viene adornata, in ogni caso, con virtù che sono proprie di Dio. Ella, dal punto di vista concettuale, non può cogliere l’essenza divina in tutta la sua profondità, ma può partecipare ad essa e, infine, ospitare in lei il Signore (Cf Omelia II B 864). Divenendo simile a Lui, giunge a conoscerlo per esperienza, mediante la fede. Conoscerlo soltanto tramite nozioni razionali, per quanto sublimi, sarebbe troppo poco. L’anima, piuttosto, grazie alla fede, fa abitare in sé Colui che supera ogni comprensione. Il Dio incomprensibile, quindi, si comunica e viene conosciuto grazie alla fede. 

Il profumiere che prepara il nardo, compone un unguento che viene ottenuto dalla mescolanza di varie erbe odorose. Ora la Sposa ha fatto di se se stessa un nardo assimilando le varie virtù dello Sposo e ne espande, quindi la fragranza. Nel Vangelo si narra di una donna che versò il profumo sul capo di Gesù, riempiendo di buon odore tutta la casa dov’era stato ospitato (cf Gv 12,3). Non spargere unguenti, ma fare di sé un nardo odoroso che ricorda il buon odore di Cristo è, ora, il compito di tutta la Chiesa. 

Il diletto, infne, viene paragonato ad un grappolo che cresce sul tralcio d’una vite. G. sostine, con audacia, che è il Cristo stesso a svilupparsi, in modo graduale, in ogni battezzato che l’accoglie. La metafora esprime un evento reale e noi possiamo favorire (ma anche rallentare) lo sviluppo del processo di conformazione a Cristo. 

4. G. parla, di nuovo, del ripristino della condizione originaria dell’umanità. Gli orafi, per purificare l’oro da ogni scoria, lo fanno passare al fuoco, più volte, fino a far comparire la sua naturale lucentezza. Dio agisce allo stesso modo nei confronti della nostra umanità (Cf B 916 e 918). L’elogio rivolto alla Sposa/Chiesa da parte dello Sposo/Cristo, attesta che il tentativo di recuperare la bellezza originaria dell’amata, ha ottenuto l’esito sperato. Questo processo di trasformazione non può verificarsi senza il concorso della libera scelta della persona poiché diventiamo simili a ciò che vogliamo assomigliare. 

Il cambiamento etico, tuttavia, non ha soltanto un significato morale ma riveste un carattere cristologico, poiché  il cristiano diventa partecipe della luminosità di Cristo e brilla insieme alla luce che si è acces in lui. 

L’etica presenta anche un carattere pneumatologico: nelle pupille della Sposa appare l’immagine della colomba, simbolo dello Spirito e ciò significa che ella ha preferito i beni spirituali ad ogni altro. Quando lo Spirito prende possesso del credente, lo rende capace di volgersi a Cristo e di conformarsi a Lui. Avendo assimilato il dono dello Spirito Santo, la Sposa/Chiesa diventa capace di glorificare il suo Sposo, il Cristo, e di coglierne la bellezza. In un primo tempo, la ammira il carattere assoluto della natura divina (mentre tutte le cose sono relative, possono essere o non essere, Egli è necessario ed eterno). In seguito, osservando  e lo ammira dal punto di vista della sua bontà, a motivo della quale si è incarnato, divenendo fratello di tutti gli uomini. La considerazione dell’amore mostrato dallo Sposo, cattura in modo totale l’innamorata. 

Il Verbo, che compendia tutte le virtù che possono essere racchiuse nella carità, penetra in lei come freccia. Ella riceve, così, assieme a lui, la sua stessa capacità d’amore. Con l’amore riceve una gioia profonda. 

5. Al ritorno della primavera, il giovane vuole invitare la ragazza ad uscire con lui nella campagna fiorente. Ella lo vede avanzare velocemente mentre varia di continuo la sua posizione e il suo aspetto. In modo simile, la nostra relazione con Dio non è mai statica ma sempre in cambiamento, perché, attraverso le vicende dell’esistenza, crea nuove situazioni salvifiche. Di conseguenza, non possiamo pensare di averlo compreso in modo esaustivo. 

La venuta del Verbo, nella nostra carne umana, annuncia la primavera per tutta l’umanità e gli uomini pietrificati dall’idolatria ritornano ad essere persone viventi. 

L’Amata riceve di nuovo l’invito ad accostarsi sempre di più al giovane che la sta desiderando. Avvicinrsi al Signore presuppone la disponibilità a percorrere un cammino che avanza all’infinito. Dio è un Bene inesauribile, perché non è limitato mai da alcun male. Ogni concetto positivo che vienne assegnato a Lui si protende nell’infito e nell’illimitato (B 1010). Mentre Dio non ha bisogno d’esercitare il libero arbitrio (che oscilla tra bene e male) poiché è sempre orientato verso ciò che è ottimo, l’umanità rimane stabile nel bene, ma può muoversi in direzioni opposte. Il Signore, allora, cerca di rendere l’uomo, quanto più possibile, partecipe della sua stabilità e, a questo scopo, lo stimola ad crescita senza posa nel bene, che rimarrà sempre più grande di lui. La scelta del bene non può che essere libera e volontaria. Per scegliere il meglio e slanciarsi in un miglioramento senza posa, bisogna passare dal muro dell’antica Legge alla Roccia del Vangelo: il cristiano non è istruito da una Legge ma da una Persona. 

6. L’uomo partecipa all’infinità divina per grazia in quanto, sostenuto da Dio, avanza verso il bene in un movimento inarrestabile. G. espone la dottrina dell’infinità divina e distingue, con estrema chiarezza, tra essere creato ed Increato (Dio). Traccia una classificazione generale degli esseri: essi si dividono in materiali e spirituali (o intellegibili). A loro volta, gli essere spirituali si distinguono in questo modo: da una parte troviamo la natura increata e creatrice di tutto ciò che esiste (Dio); dall’altra l’essere creato che esiste per partecipazione all’essere eterno e che non potrebbe esistere se non venisse creata di continuo. 

Gli essere spirituali creati, che aderiscono a Dio, godono di una perenne crescita nel bene. Riafferma, quindi, quanto aveva insegnato nell’omelia precedente. L’uomo che è partecipe di Dio, Bontà infinita ed inesauribile, sperimenta un continuo superamento di ogni limite (cf epektasis Omelia VIII B 1154). La ragazza che, risvegliatasi, non trova più accanto a sé il giovane amato, si pone alla sua ricerca ed, infine, ricosce la sua incapacità a conoscere il mistero di Dio in modo adeguato. La mente dell’uomo non può giungere fino a tanto. Per conoscere Dio è più opportuno sperimentare di continuo la sua grazia, elargita dalla sua azione nel credente. Grazie alla pratica della fede, l’uomo può divenire partecipe di Dio. La crescita nel bene, con la comitante esperienza di Dio, avviene grazie alla nostra partecipazione alla Pasqua del Signore: dobbiamo morire con Cristo per poter risorgere con Lui. 

La bellezza divina attrae per il suo carattere di forza tremenda, affascina mentre sembra respingere. In altri termini, la comunione con Dio esige la totale purificazione. 

7. Compare un’interpretazione teologica (allegorica) dell’elogio delle membra del corpo dell’amato e dell’amata. 

Le amiche della giovane, sono invitate a recarsi ad ammirare il suo amato; è paragonato a Salomone, ornato della corona regale procuratagli dalla madre. L’invito diventa l’occasione par parlare della natura divina che presenta le caratteristiche della paternità e della maternità, pur trascendendo il genere. La corona di cui si adorna la Sposa/Chiesa è la carità. L’amata ha acquisito la stessa carità del Cristo; in questo consiste la sua bellezza e per questa virtù è amata particolarmente dallo Sposo/Cristo. Nell’interpretazione allegorica delle varie membra del corpo, risalta il valore degli occhi, poiché la vista richiama il carisma profetico dell’annuncio della Parola e della vigilanza pastorale delle autorità ecclesiali. Chi svolge questi servizi deve essere una persona spirituale, guidata dallo Spirito, simboleggiato dalla colomba. 

I capelli sciolti e disordinati, ricordano che l’amore è qualcosa di vitale, di misterioso come le forze della natura. L’elogio della capigliatura, paragonata a quelle delle capre del Galaad, spinge G. a ricordare la figura del profeta Elia che proveniva da quella regione (1 Re 17,1). Elia era un personaggio a cui si ispirava il movimento ascetico contemporaneo a Gregorio, molto stimato da lui. 

8. G. celebra l’inconprensibilità e infinità di Dio. L’uomo può conoscerlo e comunicare con Lui perché Egli, nella sua bontà, ha voluto rivelarsi a lui ma, mentre lo conosce, non può né afferrarne l’essenza mediante il concetto, né comprendere appieno le ragioni della sua provvidenza. Tuttavia l’inafferrabilità della conoscenza di Lui, non deve essere avvertita dall’uomo come uno smacco o un’umiliazione ma come un’opportunità, perché egli può crescere di continuo nella ricerca e, a sua volta, dilatarsi all’infinito per grazia. Il concetto dell’infinità di Dio si unisce, quindi, a quello della crescita permanente possibile all’uomo (epektasis). Tale disponibilità non sorge dalla bontà originaria della Sposa ma dalla continua chiamata del suo Amato che la cerca senza dimenticarsi mai di lei. Dopo aver infuso il desiderio del bene nell’atto stesso della creazione, ha cominciato ad invitarla a partire dal battesimo. 

La Sposa/Chiesa, avendo ottenuto una bellezza stupenda, suscita l’ammirazione degli angeli poiché ormai è simile a loro. Il dominio delle passioni la rende congenere degli spiriti celesti, ed ha raggiunto questo obiettivo mentre è carne (B 1168). 

Gli angeli, stupiti, si sentono toccati in profondità. Per esprimere questo loro sentimento, G. usa il verbo kardioo, ossia essere feriti nel cuore ma, in questo caso, in senso postivo: hai posto in noi il cuore (B 1168), ci hai incoraggiato, ci hai reso ancora più convinti. Gli angeli per comprendere Dio venerarlo nel modo dovuto, devono volgere il loro sguardo sulla terra e considerare le opere paradossali che Dio ha compiuto a favore degli uomini, grazie all’Incarnazione del Verbo. Dio è manifestato più grande nell’operare la salvezza che nel creare l’universo. Il suo capolavolo è la costituzione della Chiesa sulla quale si riflette la bellezza del suo Sposo. 

9. Il traguardo della vita virtuosa sta nel raggiungere la somiglianza con Dio (B 1196). Acquisire le virtù è come tessere per sé la veste dell’immortalità. La tunica realizzata profuma d’incenso, l’odore che simboleggia la divinità, perché le virtù umane imitano il modo d’essere di Dio. G. approfondisce il tema della deificazione dell’uomo, già proposto in precedenza nella metafora della veste profumata d’incenso. Ora la Sposa/Chiesa è diventata così simile al Signore da essere paragonata ad una sorgente d’acqua viva, un titolo proprio di Dio. Non azzarda, però, ad affermare un annullamento della differenza tra Dio e l’uomo, tra l’increato e la creatura, tra l’infinito e il finito. La Sposa appare una sorgente d’acua perché porta in sé il Signore che la rende sempre più simile a lui. 

10. G. si diffonde sul tema dell’incompatibilità tra il bene e il male. La Sposa di Cristo allontana il vento cattivo del male e ordina a quello buono di avvicinarsi. poiché esiste una totale incompatibilità tra il bene e il male. Chi si protende al bene, deve escludere in modo radicale ciò che gli è contrario. L’innamorata, poi, invita il suo diletto ad entrare nel giardino per gustarne i frutti. G. dapprima parla dei frutti di cui si nutre lo Sposo, il Cristo, e solo successivamente si sofferma sul senso del verbo verbo discendere. Il nutrimento di Cristo è la fede dei credenti. Egli si nutre nel compiere la volontà di Dio, la quale consiste nella nostra salvezza; quindi si nutre di noi quando verifica che noi siamo stati salvati da Lui. Paradossalmente noi nutriamo, così, il Colui che, in precedenza, ci ha nutrito. Un altro modo ancora con cui possiamo ringraziare e alimentare il Signore ed è quello di nutrirlo soccorrendo i bisognosi nei quali si identifica. In seguito, G. si sofferma sul significato del verbo discendere (katabaino). La discesa è un’opera di filantropia divina (B 1252). G. è molto sensibile all’evento dell’accondiscendenza del Verbo, grazie alla quale lascia una condizione di privilegio per poter condividere la nostra situazione di miseria ed elevarci fino a Lui. È il tema che compendia tutto il significato del Vangelo: il Figlio di Dio diventa uomo affinchè l’uomo diventi figlio di Dio. 

Il cristiano offre al Signore i beni che Egli ha già prodotti in lui, perché è Lui la fonte di ogni bene. Anzi, nella sua misericordia, si trasforma in tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno. G. compone un passo del libro della Sapienza, che parla di questa versatilità della manna (16,20-21), con un altro passo della lettera ai Corinzi là dove l’Apostolo attesta che la predicazione si adatta alla capacità di comprensione dei fedeli (1 Cor 3,2; cf Eb 5,12). 

Continuando a parlare del cibo offerto dal Signore ai suoi fedeli, G., nell’invito a mangiare e bere, coglie una prefigurazione dell’Eucarestia. Riguardo a questo rito, privilegia l’assunzione del calice e parla degli effetti del vino, ossia dell’ebrezza. Chi segue il Signore con radicalità, opera delle scelte che possono essere valutate come manifestazioni di pazzia, simili ai comportamenti delle persone ebbre. 

11. G. richiama, ancora una volta, il compito della vigilanza, la quale non riguarda soltanto l’ultimo avvento di Cristo, ma anche la sua venuta nel tempo presente. Chi resta vigilante, imita la vita propria degli angeli. Queste creature celesti non vengono posti come modelli a motivo della loro incorporeità  ma per la loro santità e la loro prontezza nel porsi a servizio di Dio (Cf. Omelia I, B 800; Omelia IV B 972). La santità degli angeli è caraterizzata dalla libertà dalle passioni  e proprio per questo motivo diventano i modelli dei monaci e degli asceti e di quanti, già al presente, anticipano la vita futura. Mentre la ragazza è in stato di dormiveglia, sente il richiamo dell’amato che si è avvicinato alla sua casa. Non si era abbandonata al sonno del tutto. In modo analogo il cristiano deve vegliare ed attendere l’arrivo dello Sposo, imitando gli angeli. 

G. si sofferma ad illustrare il significato del momento in cui avviene questo dialogo, ossia nel culmine della notte, mentre l’uno e l’altra si trovano immersi nella tenebra. Attribuendo ad essa un senso simbolico, non pensa alla tenebra come ad un elemento negativo, ma la vede come un simbolo adatto a richiamare la trascendenza di Dio, la quale rimane anche nell’atto stesso della sua rivelazione. Il fedele che si avvicina a Dio, s’addentra in un’oscurità sempre più fitta. Questa notte non produce angoscia o terrore; non è assimilabile alla sensazione dell’essere abbandonati da Dio, non è altro che la scoperta dell’infinita trascendenza di Dio, inacessibile ai sensi e alla ragione. L’incomprensibilità non esclude, però, una possibilità di conoscenza del Signore. Il Verbo, sebbene non possa rivelarsi appieno con concetti razionali o con immagini sensibili, non rinuncia a farsi conoscere dal fedele e ad entrare in contatto con lui. Si serve, allora, di una comunicazione che trascende parole e concetti ed avviene tramite eventi di carattere mistico: la percezione della presenza. 

G. commenta poi la richiesta rivolta dal giovane all’amata di aprirgli la porta perché possa entrare nella sua casa. A suo parere, l’ingresso nella casa equivale ad una iniziazione misterica. Tuttavia, a differenza dei misteri ellenistici dove bastava svolgere un’azione rituale per aprire una relazione amicale con la divinità, in questo caso, non è affatto sufficiente officiare un rito ma è indispensabile attuare una conversione di carattere etico. Solo chi ha ben operato, possiede le chiavi per aprire la propria abitazione al Verbo che sollecita l’anima di ogni persona. 

La ragazza cerca dei pretesti per fare la preziosa; vuole ricordare al suo innamorato che l’amore deve esser sempre richiesto e riconquistato. G. vede ribadita qui la necessità di un cambiamento di vita ma tale esigenza non è circoscrivibile nell’ambito etico, ma proviene da un evento sacramentale. Cambiare vita significa rivestirsi di Cristo stesso. La metafora del nuovo abito rinvia al Battesimo, dove, col rito della spogliazione dell’abito vecchio e nell’assunzione di quello nuovo, si indicava l’azione trasformante di Cristo, operante nel battezzato. 

Il ragazzo, premuroso d’entrare, tenta di togliere il chiavistello della porta; la ragazza s’intenerisce ed avverte il profumo lasciato da lui. Secondo G., nonostante la sposa abbia cercato infine di corrispondere alle richieste dello sposo, questi, il Verbo, non entra nella casa ma si limita a mostrarle la sua mano. La mano è simbolo dell’operatività solerte. Il Verbo si manifesta non nella sua persona ma mediante le sue opere: la creazione e la redenzione operata da Gesù. Rimanendo incomprensibile nella sua essenza divina, Egli, proprio mediante si è fatto conoscere agli uomin per il suo agire. L’apparizione della mano sta a significare questo genere di comunicazione. Questa conoscenza di Dio, vera ma molto parziale, sarà trascesa in futuro, nella vita eterna, da una conoscenza molto più completa e portatrice di gioia. In secondo luogo la mano richiama l’azione salvifica di Cristo sulla terra. 

12. Il diletto insiste a voler entrare nella casa della sua innamorata e cerca di smuovere il chiavistello. Quando la ragazza si decide ad aprirgli, egli si è già allontanato. Profumato di mirra, ha lasciato una traccia del suo profumo. 

G. commenta in seguito questo dramma di sfasutura dei sentimenti e si sofferma, subito, sul simbolo della mirra. Sapendo che fu l’unguento usato per la sepoltura di Cristo (Gv 19,39), ricorda che il Battesimo rappresenta l’inizio della nostra partecipazione alla Pasqua di Cristo. Consentendo la nostra partecipazione alla morte del Signore, questo Sacramento mostra la pienezza della sua efficacia quando facciamo morire in noi tutti i germi del male. La ragazza, sentendosi come morire per aver causato l’allontanamento del suo amato, si mette subito alla sua ricerca. Compare ora una nuova menzione della corsa continua verso il bene (epektasis), il tema più ricorrente di queste Omelie, al punto da costituire, forse, il messaggio principale dell’opera. Menziona poi di nuovo l’esperienza della percezione della presenza, questa volta però in senso negativo: il Signore si sottrae all’anima che lo cerca. (La mistica successiva conoscerà l’esperienza dell’abbandono di Dio). 

La giovane parla della disavventura incontrata mentre, di notte, cercava il suo innamorato per le vie della città. Alcuni custodi, scambiandola, forse, per una prostituta, l’hanno percossa e le hanno tolto il velo dalla fronte. Nel commento di G. le umiliazioni, dal lato spirituale, finiscono per ottenere un risultato positivo. 

13. La ragazza si scusa del comportamento strano che ha mostrato (quando non aprì la porta all’ innamorato) dichiarando che è presa da un amore folle. 

Il passo espone una affermazione teologica di grande importanza: la nostra figliolanza adottiva o deificazione, consiste nell’acquisizione del dono della carità. La presenza di questa virtù testimonia la presenza di Dio e l’efficacia della sua azione di grazia in noi. 

La donna aveva chiesto alle amiche di aiutarla a trovare il suo diletto (5,8) ed ora esse le rispondono chiedendole il motivo di tanto ardore. Perché il giovane merita tanto amore?

Il valore del Cristo consiste nel fatto che nella sua umanità risplende la divinità del Verbo di Dio. Affermare la sua divinità, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, non significa attestare una verità astratta ma lasciarsi stupire dalla carità di chi ha dato se stesso a favore dell’uomo che gli era nemico. 

G. è interessato a mostrare gli effetti salvifici dell’evento dell’incarnazione. Cristo è la primizia dell’umanità nuova, libera dal peccato, animata dalla carità, partecipe della gloria della risurrezione. Tutta la massa dell’umanità può diventare partecipe di ciò che è la primizia, il Cristo. Per diventare una cosa sola con Lui ed essere come Lui, deve far parte del suo Corpo che è la Chiesa. L’unità tra Cristo e la Chiesa è così profonda da poter affermare che chi guarda alla Chiesa, vede Cristo. Contemplare ed ammirare la sua splendida umanità è il primo modo di contemplare il Verbo fatto carne. L’altro è quello di vederlo proiettato nella Chiesa, il suo Corpo. Paolo aveva insegnato che le opere della creazione ci mostrano le perfezioni invisibili di Dio (Rm 1,20). Anche Cristo è ora visibile in quella creazione che è rappresentata dalla sua Chiesa. La costituzione della Chiesa è una sorta di creazione. 

Cristo, essendo nato da un parto verginale, ha avuto una nascita dal carattere unico. Anche la Chiesa, ora, a somiglianza di Maria genera molti figli a Dio in modo verginale e Cristo è l’esemplare di molti altri fratelli. 

Nell’elogiare le membra del corpo, G. si sofferma più a lungo sull’importanza degli occhi, perché sono un’immagine dei capi della Chiesa e dei profeti. Oltre ad esserei estranei al male e agli interessi mondani, i ministri devono posarsi a lungo sui testi della Sacra Scrittura: prestare un'attenzione continua e assidua agli insegnamenti divini. Non tutti i ministri però, lamenta G., corrispondono a questo progetto ideale che è quello di mantenere una assiduità di accostamento alla Bibbia (B 1410). 

14. Rilettura allegorica delle varie membra del corpo.

15. Le ragazze, amiche dell’innamorata, chiedono di poter cercare l’amato insieme a lei, vogliono sapere dove sia possibile trovarlo. Nell’ambito della spiritualità, la ricerca di Dio avviene in un rapporto solidale tra i credenti: chi aderisce al Signore Gesù, accende in sé quel Fuoco luminoso al quale si è accostato, come fosse una fiaccola e può accendere anche altre ancora spente. I principianti s’affidano alle persone mature nella fede e nell’amore. 

Il giovane è sceso nel suo giardino, una metafora per alludere al corpo dell’amata. Il Verbo scende presso l’umanità da Lui amata. Il versetto annuncia, profeticamente, il cuore del Vangelo, ossia la con-discesa (synkatabasis B 1478) del Verbo con l’uomo che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, cadde nelle mani dei ladroni. L’uomo della parabola, finito nelle mani di criminali, rappresenta tutta l’umanità ed il Verbo accetta di  rivivere la sua medesima sventura. Scende in basso percorrendo la stessa discesa di chi cadde sotto i nemici (B 1478). Si svuota della sua grandezza indicibile per assumere la povertà della nostra natura. 

La donna testifica la sua appartenenza al giovane da lei amato, chiamandolo fratello. 

La dichiarazione della ragazza consente a G. di presentare la regola e la definizione della vita spirituale: l’uomo deve possedere soltanto Dio e diventare di nuovo un’immagine della Bellezza Archetipa, che è il Cristo. Possedere soltanto Dio significa eliminare da sé tutto ciò che è estraneo alla persona di Cristo, la copia fedele del Padre. 

Presenta quale sia il tratto caratteristico dell’essere simili a Dio, ossia la benevolenza (eudokia). La benevolenza (il volere buono o la carità) corrisponde al proposito di Cristo di assumere la nostra condizione di miseria perché noi potessimo condividere la sua condizione gloriosa. La Sposa viene onorata per aver assimilato la medesima carità del Signore, il suo sentimento di totale “proesistenza”. Tutti gli uomini spirituali sanno condividere l’amore del Cristo. 

L’innamorato afferma che, per quanto numerose siano le donne che i sovrani possono vantare di avere a disposizione, la sua ragazza ha per lui un valore incomparabile: sebbene sessanta siano le regine… la mia donna è unica. Secondo G. le varie donne, per la diversa relazione che hanno con il sovrano, rappresentano condizioni spirituali diversificate, quella propria dei principianti, quella dei progrediti e quella dei perfetti. L’avanzamento nella virtù dipende dalla qualità dell’amore, che deve essere spontaneo, libero, privo di secondi fini (Cf Omelia I, B 774.776). L’amata, prediletta in modo incomparabile, rappresenta la condizione a cui un giorno perverranno tutti i fedeli, trasformati in modo completo dallo Spirito Santo. 

Nella Chiesa tutti i battezzati aspirano a raggiungere la maturità, che èl’unione piena con Dio. Dopo aver segnalato questo traguardo, che rapprenta il massimo che la Chiesa può raggiungere, G. può sospendere il commento al Cantico perché non era possibile prospettare un altro esito più elevato. 

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